Protezionismo e guerra finanziati coi salari dei lavoratori pubblici. Compresi quelli della scuola

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La riunione dell’assemblea generale della FLC CGIL Roma e Lazio del 7 febbraio è stata occasione per discutere tra il gruppo dirigente dell’organizzazione sulla fase politico-sindacale e sul che fare. L’organizzazione esce da due scioperi nazionali, uno di comparto e uno generale, avvenuti nello scorso autunno contro la manovra finanziaria del governo Meloni, che non sono stati all’altezza di una fase complessa come quella attuale, presentando basse adesioni tra i lavoratori del settore [1] e non essendo di conseguenza in grado di incidere sulla manovra economica.

La fase internazionale è caratterizzata da una guerra in Ucraina ancora aperta e da un peggioramento della situazione di approvvigionamento del gas all’Europa; infatti il primo gennaio non è stato rinnovato dall’Ucraina il contratto per il passaggio del gas russo tramite il gasdotto ucraino, che dal terminale russo di Sudzha portava il gas in Slovacchia e da lì all’Europa occidentale, compresa l’Italia. Gli stoccaggi di gas europei si stanno riducendo sempre di più in modo preoccupante [2], raggiungendo i minimi del 2022, sintomo che i fornitori alternativi non sono in grado di sopperire ai consumi, aumentati da un inverno più rigido di quello precedente, sebbene le manifatture del continente siano in evidente recessione. 

Negli Stati Uniti è avvenuto l’insediamento della nuova amministrazione Trump, che ha intenzione di usare i dazi come un’arma politica per ottenere da alleati e avversari delle sostanziali concessioni. Le misure protezionistiche, annunciate da Trump, prevedono dal 1 marzo dazi del 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio, e altre misure, più dirette contro l’UE, potrebbero seguire a queste. Il governo Trump usa i dazi e ne minaccia in continuazione di nuovi per ottenere due concessioni da parte dei Paesi Europei. Vuole un aumento delle spese militari nel Vecchio Continente, che porti la spesa per la Nato al 5% del PIL, in modo da disimpegnare le truppe americane in Europa per dislocarle contro il nemico numero uno, la Cina. Inoltre vuole che l’Europa aumenti l’acquisto di merci statunitensi, e non solo il GNL di cui l’UE avrà sempre più bisogno, in modo da ridurre drasticamente il deficit della bilancia commerciale americana. 

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E’ vero che non è escluso che tra Stati Uniti e Russia si possa arrivare ad un accordo che determini la fine del conflitto tra Russia e Ucraina, anche se a mio avviso la strada è piuttosto in salita per via di diverse controversie importanti; tuttavia dubito che ciò  avrà impatti positivi per l’UE, in quanto essa ha reciso sostanzialmente i rapporti economici e drasticamente peggiorato quelli politici con la Russia. Nel breve e medio periodo un ritorno alle forniture di gas a basso prezzo dalla Russia è da escludersi, per via del deterioramento delle relazioni e in quanto gli Usa potrebbero aver chiesto proprio questo come contropartita alla Russia in cambio delle concessioni offerte al tavolo dei negoziati. 

Le misure protezionistiche e l’aumento del costo dell’energia avranno importanti ricadute sul costo della vita nei Paesi europei, dove sono assai probabili nuove ondate dell’inflazione. La situazione in Italia è aggravata dalla misura inflazionistica dell’aumento dell’accisa sul gasolio, voluta dal governo Meloni, e dalla compressione salariale, con la conseguente riduzione del mercato interno che non può sopperire alle maggiori difficoltà di esportazione. Pesanti responsabilità sono da attribuire all’attuale governo, sebbene quelli precedenti abbiano le proprie responsabilità, che è stato sostanzialmente assente nel risolvere i problemi del settore produttivo, programmando invece misure in Finanziaria che hanno aggravato le condizioni economiche della classe lavoratrice. Governo che, nonostante la campagna elettorale mistificatrice, è anche pienamente responsabile per il ritorno dell’austerità in Ue e nel nostro Paese. A ciò si aggiunge la richiesta americana di aumento delle spese militari che impatterà su un bilancio già difficile da far quadrare, considerando che l’attuale spesa italiana in armi, sebbene sia quasi raddoppiata dal 2021 al 2025 passando da 7,3 miliardi a 13 miliardi di euro, è ancora sotto il 2%. Tutto ciò determinerà la necessità di tagliare ulteriormente la spesa pubblica, con pesanti ricadute sulle condizioni di vita delle classi subalterne e sui salari dei lavoratori pubblici, compresi quelli della scuola

I salari reali dei lavoratori della scuola, fortemente ridotti dalle politiche decennali di compressione salariale, non sono stati in grado di recuperare la ulteriore perdita recente di potere d’acquisto con il contratto del 2019-2021. Contratto che, sebbene sia stato siglato dalla FLC dopo il picco massimo di inflazione del 2022, non è stato assolutamente in grado di far ottenere ai lavoratori quanto perso negli anni, limitandosi a recuperare l’inflazione del triennio 2019-2021, quando ormai il costo della vita era ulteriormente avanzato. Siglare quel contratto, come sostenemmo come area sindacale “Le radici del sindacato”, fu un errore, così come è un errore continuare a negoziare in ritardo la parte economica sul costo della vita pregresso mentre i prezzi corrono già avanti. Errore di cui mi sembrano sempre più consci i vertici sindacali, sebbene continuino ad avanzare proposte deboli, come la contrattazione biennale della parte economica, mentre sarebbe necessario tornare a meccanismi di aggancio diretto dei salari ai prezzi delle altre merci, come una nuova scala mobile. 

Per quanto riguarda il triennio 2022-2024 la contrattazione nazionale non è ancora stata avviata non essendo ancora stata presentata l’ipotesi di contratto da parte dell’Aran, a contratto ormai già scaduto. La FLC ha registrato per il triennio, che verrà contrattato, un’inflazione del 17,3%, mentre il governo Meloni ha previsto risorse nelle finanziarie per coprire un adeguamento salariale soltanto del 6%; questo comporterà aumenti mensili medi di 99 euro per i collaboratori scolastici e di 156 euro per i docenti della scuola superiore [3]. Secondo l’inflazione registrata, per non avere perdite di potere d’acquisto sarebbero necessari aumenti mensili medi di 285 euro per i collaboratori scolastici e di 450 euro per i docenti della scuola superiore. Di conseguenza la perdita mensile di salario per i lavoratori andrà dai 185 euro dei collaboratori ai 294 euro dei docenti della scuola superiore. Non realizzando i dovuti adeguamenti salariali il governo ha risparmiato 5,7 miliardi di euro per l’istruzione e ricerca e 19,8 miliardi di euro per tutto il pubblico impiego. Lo stipendio mensile netto di un collaboratore scolastico con anzianità di servizio di 21/27 anni passerà dai 1150 euro ai 1210 euro, con la necessità di impiegare circa l’80% del proprio salario per l’affitto di una casa di 70 metri quadri, il cui costo medio nazionale è stato stimato in 980 euro mensili, mentre nel 2019 era necessario per lo stesso collaboratore il 56% del proprio salario per l’affitto. Da questi dati appare il peso dell’emergenza salariale dei lavoratori della scuola, che sono tra i meno pagati in Europa e presentano i salari più bassi del pubblico impiego.

Nelle funzioni centrali la FP CGIL è stata conseguente non firmando un contratto che non prevedeva gli aumenti necessari ad adeguare il salario dei lavoratori del settore all’inflazione, anche la FLC deve tenere la barra dritta e non firmare il prossimo contratto, non essendoci le condizioni per farlo. Certo nelle funzioni centrali il contratto firmato è diventato il contratto di settore, avendo i sindacati firmatari, tra cui la CISL, più del 50% della rappresentatività. Anche nella scuola è assai probabile che la CISL, in piena intesa con il governo Meloni e con la penna sempre pronta a firmare, si siederà al tavolo delle trattative accettando la riduzione di salario reale e cedendo sulla parte normativa con sostanziali peggioramenti delle condizioni di lavoro. Per questo il rinnovo delle RSU del 14, 15 e 16 aprile sarà un appuntamento centrale della prossima primavera, essendo assai probabile che la trattativa per il rinnovo contrattuale verrà rimandata successivamente a questo rinnovo per non danneggiare elettoralmente i sindacati pronti ad avallare le proposte governative. Superare la CISL è l’obiettivo della FLC in questo rinnovo, che darebbe maggiori possibilità di contrastare la firma di contratti al ribasso. Certo saranno importanti anche i risultati di tutti gli altri sindacati, da quelli che vogliono firmare a ogni costo a quelli che non hanno nessuna intenzione di farlo, ma ad oggi la FLC con tutti i suoi limiti è la maggiore resistenza alla sigla di un contratto peggiorativo.

È assai probabile che la parte datoriale cercherà di far riconoscere nel contratto aspetti già introdotti per legge. Rallentata la privatizzazione e gerarchizzazione della scuola, prevista dalla renziana “buona scuola”, mediante una forte protesta autoconvocata e grandi mobilitazioni sindacali, i ministri che si sono succeduti hanno progressivamente portato avanti gli elementi della legge 107/2015, sostituendo all’assalto frontale di una legge organica gli attacchi ai fianchi di singoli provvedimenti legislativi. La gerarchizzazione è ad esempio prevista nei provvedimenti legislativi che impongono la formazione del personale docente secondo idee e progetti di scuola orientati dall’alto che si sostituiscono alla libera crescita culturale del personale, prevista contrattualmente con i 5 giorni di permesso retribuito per partecipare a corsi di formazione e aggiornamento o con i permessi per il diritto allo studio, demandati dal CCNL ai contratti integrativi regionali. Il PNRR con le sue missioni procede in questa direzione, mediante l’apologia dell’utilizzo del digitale nella didattica o delle innovazioni metodologiche proposte. Da parte della FLC si è sottostimato l’impatto trasformatore del PNRR, non svolgendo l’analisi e il contrasto necessari alle sue nefaste missioni e considerandolo, invece, un’opportunità per integrare i bassi salari dei lavoratori della scuola. Nei piani del governo c’è inoltre la volontà di mettere in cantiere una riforma degli organi collegiali finalizzata a svilirne il ruolo democratico accentrando ulteriormente i poteri nella figura del dirigente scolastico. In questo contesto mi sembra significativo evidenziare l’ottimo incontro di formazione “Come cambia la scuola” organizzato a Roma, su iniziativa dell’area di minoranza, il 17 febbraio da Proteo e dalla FLC Roma e Lazio sul tema dei tutor e orientatori, che si pone in controtendenza rilanciando analisi e pratiche comuni di contrasto alla privatizzazione e gerarchizzazione della scuola pubblica. 

Le riforme neoliberali della scuola hanno aggravato i carichi di lavoro del personale scolastico, soprattutto degli ATA il cui personale è sempre più insufficiente a portare avanti il lavoro ordinario. I bassi salari spingono gli stessi lavoratori a ricorrere allo straordinario o ad accettare incarichi aggiuntivi, sempre pagati peggio per via della riduzione del FMOF, ovvero il “fondo per il miglioramento dell’offerta formativa”. La scuola si regge sostanzialmente su questo lavoro aggiuntivo sottopagato, anche per via del numero insufficiente di organici. Un blocco di tali attività, da effettuare a partire da settembre, quando sono effettivamente assegnate, comporterebbe grandi disagi per l’utenza e un aumento dei posti di lavoro a tempo determinato necessari, rendendo evidente a tutta la popolazione l’insufficienza dei finanziamenti statali. In passato sono stati lanciati dalla FLC scioperi di questi incarichi, ma nella parte finale dell’anno e senza aver opportunamente lanciato questa proposta tra i lavoratori. Pertanto queste mobilitazioni non sono riuscite, a mio avviso più per mancanza di convinzione del sindacato che per inefficacia delle stesse. Anche la riforma dei giudizi della primaria introdotta nel 2020, e abolita recentemente dal ministro Valditara, comportava un grande aggravio di lavoro burocratico per i docenti. Il ritorno al passato, ovvero ai giudizi sintetici, anche se per l’ultimo periodo dell’anno scolastico, è stato accolto come una liberazione da parte delle maestre. La FLC ha invece criticato questa misura a costo zero e di buon senso del ministro Valditara, non cogliendo a pieno le ricadute sul lavoro dei docenti dei giudizi descrittivi, strettamente connessi alla valutazione delle competenze e alla personalizzazione del percorso didattico. 

Dagli interventi dell’assemblea generale regionale, compreso quello della segretaria nazionale Gianna Fracassi, è emersa una grande attenzione per le elezioni delle RSU e la campagna referendaria, visti come delle “elezioni politiche” in vista della partita sull’autonomia differenziata e sulla riforma del premierato. È, invece, risultata assente nell’attuale dibattito FLC una riflessione collettiva sulle cause dell’insuccesso degli scioperi e della passività dei lavoratori della scuola. Passività probabilmente connessa al percepire, anche come organizzazione sindacale, più credibili gli aumenti mediante il lavoro aggiuntivo che mediante il conflitto. Una profonda riflessione sull’azione sindacale sarebbe necessaria, invece di rincorrere gli eventi, per essere in grado di incidere di più in futuro. Dall’intervento della Fracassi emerge una lettura chiara della fase e delle difficoltà della CGIL, tanto che il contratto sulla mobilità, il quale riconosce di fatto le figure di tutor e orientatori alle quali la FLC è contraria, è stato firmato per parare il colpo del governo. Governo che probabilmente proverà ad andare all’incasso anche sulla parte normativa del contratto nazionale con contenuti inaccettabili, in particolare sulla parte della docenza nella scuola pubblica e sull’ordinamento del personale degli enti di ricerca. Sul contratto non è chiara del tutto la posizione delle altre organizzazioni sindacali, a parte CISL e SNALS che hanno stipulato un patto politico per andare alla firma. La Fracassi esclude per la FLC un rifiuto a priori senza procedere alle trattative, ponendosi l’obiettivo di non avere peggioramenti normativi e di ottenere le risorse necessarie per siglare il contratto. Trattative che mi sembrano oggettivamente in salita, non essendo in campo nessuna grande iniziativa sindacale che possa cambiare i rapporti di forza, ad eccezione della sperata affermazione elettorale.

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Note:

[1] Le adesioni registrate sono state rispettivamente del 4,76% per quello di comparto del 31 ottobre 2024 e del 6,30% per lo sciopero nazionale del 29 novembre 2024, a fronte di un dato stimato del 70%, a mio avviso ottimistico, per i settori non pubblici.

[2] I dati della piattaforma Gie-Agsi riportano un calo del gas stoccato nei depositi nei diversi Paesi europei, che sono passati dal 56,51% del 25 gennaio al 44,01% del 17 febbraio, con cali diffusi in tutta Europa, ad eccezione del Portogallo, con la situazione più critiche in Ucraina (con depositi pieni meno dell’8%), Regno Unito, Croazia, Francia e Paesi Bassi. La piattaforma per rendere meno evidente visivamente la situazione difficile ha ridotto la % necessaria per colorare i Paesi di rosso, usato come segnale visivo di allarme. Non saranno però i giochi di colore a risollevare la situazione.

[3] I valori riportati sono quelli forniti dalla FLC nel dossier “Investire in istruzione e ricerca per far ripartire il paese e si riferiscono al salario lordo, quello netto è inferiore. Nel dossier si riportano dei valori medi che si riferiscono per la scuola al personale con anzianità di servizio di 15/20 anni, che rappresenta la media della categoria.

21/02/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.


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