Al netto del frastuono di fondo, della propaganda e delle notizie più o meno fake, resta una domanda: che cosa vuole, davvero, Donald Trump? Il crescendo retorico anti-Zelensky degli ultimi giorni è fin troppo trasparente. Trump sa benissimo che non è stato il presidente ucraino a cominciare la guerra e che gli aiuti versati dagli Usa in questi anni non valgono i 500 miliardi di “indennizzo” e la spoliazione dell’Ucraina che ora chiede. Come sa che Zelensky non è un angioletto ma nemmeno un dittatore, e che se in Ucraina non si vota è perché lo prevede la Costituzione in tempo di legge marziale. Ma questo poco importa perché il vero messaggio è: Zelensky è ormai troppo ingombrante e deve andarsene. Con il sistema opposto, ovvero con un silenzio ostentato e più pesante di mille parole, Trump manda lo stesso messaggio all’Europa. Ignorandola fa capire che non la vuole tra i piedi mentre procede nel negoziato con la Russia.
È la politica nella versione più cinica e crudele. L’Ucraina e la Ue sono state sedotte e abbandonate dagli Usa. La prima per le necessità imposte dall’aggressione russa e, diciamolo, prima ancora per l’inconcludenza della mediazione di Francia e Germania negli anni tra il 2014 e il 2022, quelli della guerra nel Donbass e degli Accordi di Minsk. La seconda per scelta, per nascondere all’ombra del grande fratello Usa la propria incompiutezza istituzionale e l’incapacità di elaborare una politica estera originale. Quello della Casa Bianca sembra un voltafaccia clamoroso ma non lo è poi tanto: il faro della politica statunitense è, da sempre, la “sicurezza nazionale”, declinata nelle specie della politica, della difesa e dell’economia. Joe Biden lo diceva: aiutiamo l’Ucraina per proteggere anche noi stessi. E Trump…
La sensazione è che questo presidente abbia in mente un quadro più ampio, una sorta di reset delle relazioni tra le grandi potenze, nel caso specifico Stati Uniti, Russia e Cina. Come a voler ricondurre la politica internazionale ai suoi termini più essenziali e brutali, al ristretto circolo dei Paesi che hanno volontà e soprattutto forza. Lo si è visto anche su altri fronti, nel modo assai diverso con cui Trump si è accostato da un lato al Canada e al Messico e dall’altro all’India, interlocutore fondamentale di qualunque strategia rivolta all’Asia.
Si è parlato molto, negli ultimi tempi, di una “nuova Yalta”, con Trump, Putin e Xi Jinping al posto di Roosevelt, Stalin e Churchill. C’è anche l’occasione per immaginarla: il 9 maggio a Mosca, in occasione della Parata della Vittoria per l’80° anniversario della sconfitta del nazismo. Difficile che fosse casuale quel riferimento, durante la prima telefonata tra Putin e Trump, alle battaglie che Usa e Urss condivisero durante la seconda guerra mondiale… Ma al di là delle relazioni tra i diversi leader e i singoli Paesi, questa impostazione, oltre a essere punitiva per l’Europa (adesso sì giardino circondato da giungle, come diceva Borrell), porta con sé un’ammissione di fondo: in un modo o nell’altro, e comunque con un gran dispiego di guerre e conflitti, questo nostro mondo sta uscendo dal “secolo americano” per prendere un assetto più multipolare. Gli Usa come sempre, ma in misura minore anche Russia e Cina, non sono più singoli Paesi ma aggregatori di interessi sovrannazionali di cui persino la Casa Bianca ora deve tener conto. Pensiamo alla penetrazione cinese in Africa e in America Latina, al multiforme e mai abbandonato progetto della Via della Seta. Alla Russia nel Sahel, ai suoi buoni rapporti con l’intero Medio Oriente, al ruolo propulsivo nei Brics.
Donald Trump è convinto che gli Stati Uniti abbiano tutti i mezzi e gli strumenti per volgere a proprio profitto questa nuova spartizione del mondo. E forse ha ragione. La Cina porta la sfida dell’economia e dell’innovazione tecnologica ma gli Stati uniti restano avanti e la loro potenza militare è insuperata. La Russia è ricca di materia prime e non ha paura di combattere, ma la sua economia è tuttora troppo dipendente da gas e petrolio. Resta il fatto che per lunghi anni si è detto che sia la Cina sia la Russia non riuscivano a diventare un modello per alcuno. Ma proprio l’aspro confronto con l’Occidente di questi anni ha mostrato che, invece, una certa forza di attrazione riescono a esercitarla. Trump lo riconosce e ha deciso che agli Usa non conviene più far finta di niente. La ho detto lo stesso segretario di Stato Marco Rubio nelle scorse ore: «Ci piaccia o no la Russia resta una potenza globale con influenza in aree decisive del mondo». Così l’Ucraina diventa una zavorra e l’Europa una zietta petulante che non riesce a prendere in mano il proprio destino. È tutto cinico, brutale. Ma come dice anche Mario Draghi, sarà meglio che ce ne facciamo una ragione. E in fretta.
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