Il bancario finanzia le guerre e poi fa il duro con il salumiere
Le banche si presentano come custodi della legalità e della moralità. Redigono codici etici intrisi di principi altisonanti, impongono regolamenti ferrei ai clienti, dispensano lezioni di correttezza finanziaria e sostenibilità. Ma dietro questa maschera di virtù si cela una realtà ben diversa: sono tra i principali finanziatori dell’industria delle armi, un settore che alimenta non solo le guerre, ma anche le attività criminali.
I numeri parlano chiaro: nel 2023, oltre 20 istituti bancari hanno finanziato la produzione e la vendita di armi con miliardi di euro. Unicredit, Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank, BNP Paribas, Barclays: tutti protagonisti di un sistema che ingrassa le industrie belliche, sostenendo indirettamente guerre, dittature, traffici illeciti.
Ma le armi non finiscono solo nei conflitti ufficiali: una parte significativa di queste forniture prende strade oscure, alimentando il mercato nero e le organizzazioni criminali. Terrorismo, mafie, bande armate: senza finanziamenti e supporto logistico, molti di questi gruppi non potrebbero operare. E allora viene da chiedersi: si può parlare di concorso in reati come il finanziamento al terrorismo o il riciclaggio? Se un privato cittadino venisse sorpreso a trasferire denaro a un’organizzazione sospetta, finirebbe immediatamente sotto indagine. Ma quando a muovere miliardi verso industrie belliche che armano regimi e gruppi paramilitari sono le banche, tutto passa sotto silenzio. Nessuno le accusa, nessuno le processa. Anzi, spesso godono persino di protezione politica e istituzionale.
Si continua a parlare di etica e responsabilità, ma nei fatti si finanzia la violenza, direttamente o indirettamente. È forse giunto il momento di mettere in discussione questa impunità di sistema. Eppure, queste stesse banche che alimentano guerre e criminalità si trasformano in inflessibili giudici morali quando si tratta di piccoli imprenditori e cittadini comuni. Il singolo funzionario bancario, spesso arrogante e protervo, si sente in diritto di trattare il piccolo imprenditore in difficoltà come un criminale, colpevole di non riuscire a pagare un prestito o di trovarsi in sofferenza.
Quante volte abbiamo visto imprenditori umiliati, aziende distrutte da una segnalazione in Centrale Rischi, famiglie rovinate da un mutuo negato? E quante volte, invece, abbiamo visto le banche chiudere entrambi gli occhi davanti ai capitali opachi che finanziano guerre e traffici di armi? Se c’è qualcuno che dovrebbe vergognarsi, non è certo il piccolo imprenditore in difficoltà. È il bancario che si sente padrone della vita altrui, mentre lavora per un sistema che finanzia la morte. È il dirigente che approva operazioni multimilionarie per sostenere l’industria bellica, mentre finge di indignarsi per una rata non pagata. È l’intero sistema bancario, che da una parte si presenta come custode della legalità e dall’altra contribuisce alla proliferazione di armi nel mondo.
La questione non è solo morale, ma giuridica. Se finanziare il crimine è reato, perché quando a farlo sono le banche tutto passa sotto silenzio? Se la legge punisce chi sostiene attività illecite, perché non vale lo stesso per chi finanzia la produzione e la vendita di strumenti di morte?
C’è un paradosso evidente: le banche sono il perno della normativa antiriciclaggio, gli enti deputati a segnalare movimenti di denaro che potrebbero derivare da attività criminali o terroristiche. Ogni imprenditore, ogni cittadino, può finire sotto la lente per una transazione sospetta, anche solo per una somma insolita accreditata sul conto. Ma allora, se il denaro che finanzia il crimine passa necessariamente attraverso il sistema bancario, perché nessuna banca viene mai considerata “sospetta”? Perché quando si tratta di piccoli risparmiatori o aziende in difficoltà le regole diventano inflessibili, mentre quando si finanziano industrie belliche che vendono armi a governi dittatoriali, a eserciti privati, o addirittura a intermediari dai contorni oscuri, tutto viene tollerato, giustificato, normalizzato?
Il doppio standard è evidente e inaccettabile. Se la legge vale per tutti, allora anche le banche dovrebbero essere chiamate a rispondere per il loro ruolo in questo sistema di finanziamento occulto delle guerre e delle attività criminali. E invece, mentre gli istituti di credito impongono rigidissimi controlli ai cittadini comuni, loro stessi si muovono nel torbido senza mai essere messi in discussione.
La società civile non può più accettare questa ipocrisia. Serve trasparenza, servono regole chiare, serve una presa di responsabilità. Ma soprattutto, serve che chi oggi veste i panni del censore impari a guardarsi allo specchio e a riconoscere la vera natura del sistema che serve. Un sistema che, sotto la patina della legalità, è uno dei principali motori della violenza globale.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link