L’ordinanza n. 2464 del 2025 ribadisce una “apertura” della Suprema Corte rispetto al “granitico” orientamento da sempre manifestato, secondo cui la presunzione di distribuzione di utili ai soci si fonderebbe su fatti certi, rappresentati dalla ristrettezza della base societaria e dalla prevalenza dell’interesse dei soci, ritenuti “complici” al fine della distribuzione degli utili extra-bilancio. Lo spiraglio (certamente “esile”) lasciato aperto dalla Cassazione ribadisce che la prova contraria alla presunzione può essere rappresentata dall’avvenuto reinvestimento di tali utili occulti da parte della società, dal loro accantonamento a riserva, ma anche dall’estraneità dei soci alla conduzione sociale. Una circostanza, quest’ultima, di non agevole dimostrazione…
a) sulla ristrettezza della sua base societaria (o sul rapporto di familiarità fra i soci);
b) sulla circostanza che tale società abbia realizzato utili extra-bilancio (nella specie l’esistenza di tali utili derivava da accertamenti di costi ritenuti fiscalmente indeducibili divenuti definitivi in quanto non impugnati);
c) sulla generale esistenza fra i soci di un “rapporto di complicità”, volto a percepire tali utili extra-bilancio (e ciò senza tuttavia mai considerare che l’interesse dei soci può essere anche quello del rafforzamento della compagine sociale, in proiezione futura).
In particolare, secondo tale orientamento della Suprema Corte, la presunzione di distribuzione di utili ai soci si fonderebbe su fatti certi, rappresentati:
a) dalla ristrettezza della base societaria e
b) dalla prevalenza dell’interesse dei soci, ritenuti “complici” al fine della distribuzione degli utili extra-bilancio.
Tali fatti, supporterebbero la presunzione di distribuzione di tale maggior utile ai soci.
L’ordinanza ricordata evidenzia espressamente anche la infondatezza della eccepita configurabilità di una “praesumptio de praesumpto” secondo la quale punto certo della ricostruzione presuntiva sarebbe invece correlata al fatto (spesso tutt’altro che certo) dell’esistenza di un maggiore utile realizzato dalla società poi presuntivamente distribuito ai soci (c.d. “doppia presunzione”).
a) dall’avvenuto reinvestimento di tali utili occulti da parte della società;
b) dal loro accantonamento a riserva, ma anche
c) dalla dimostrata estraneità dei soci alla conduzione sociale; circostanza che evidentemente esclude quella “complicità” fra i soci cui ho fatto riferimento che, secondo la Suprema Corte rappresenta elemento sul quale fondare la ricostruzione presuntiva sopra individuata.
Invero, la dimostrazione di tale “estraneità” del socio rispetto alla conduzione sociale può non essere agevole, in quanto tale dimostrazione deve necessariamente essere particolarmente significativa e pregnante, onde poter “superare” le configurabilità di tale supposta “complicità”.
Ciò considerato, ritengo che nell’ambito dei rapporti familiari, al fine di tale dimostrazione potrebbe non avere un risultato positivo la sola circostanza che della conduzione sociale si occupi esclusivamente un “genitore” e non i figli (o l’altro coniuge) che pur rivestano la qualità di soci.
L’esistenza di un rapporto di “familiarità” (specie se tali soci fossero conviventi o privi di autonome fonti reddituali) a mio avviso, in forza di situazioni di “normalità” (id quod plerumque accidit) potrebbe confermare la configurazione, fra tali soci “familiari”, di quel rapporto di “solidarietà” o “complicità” che (come abbiamo visto) costituisce elemento di tale costruzione presuntiva.
In proposito può invece opporsi la dimostrazione, da parte dei soci che si dichiarino “estranei” alla conduzione sociale, della esistenza di “dissapori” economici e personali (oltre che eventualmente familiari) specie se poi dovessero sussistere azioni (anche giudiziali) fra i soci, volte all’accertamento di irregolarità commesse nella gestione societaria, assumendo rilevanza anche la mancata approvazione da parte dei soci dissenzienti del bilancio nel quale avrebbero dovuto comparire i maggiori utili realizzati e considerati occultamente distribuiti.
Come detto, la sentenza ricordata ribadisce una “apertura” della Suprema Corte rispetto al “granitico” orientamento (sopra ricordato) e da sempre manifestato, ribadendo un (certamente “esile”) spiraglio che già aveva avuto occasione di manifestare.
In ogni caso – a conferma del fatto che in materia di presunzione di distribuzione di utili da parte di società a ristretta base le pronunce giurisprudenziali difficilmente esaminano puntualmente il caso specifico, ma spesso procedono per categorie “astratte” – si evidenzia che nel caso di specie si sarebbe potuto tener conto che:
a) l’accertamento di un maggior utile della società derivava (come sembra emergere dallo scarso approfondimento dei fatti descritti nella ordinanza di che trattasi) da un atto di accertamento (non impugnato) con il quale nei confronti della società, erano stati ritenuti indeducibili taluni costi sostenuti per l’effettuato acquisto di beni immobili, senza tuttavia mai porsi il problema che l’esistenza di tali costi (solo) fiscalmente considerati “indeducibili” (ma pacificamente “economicamente sostenuti”) avrebbe potuto “assorbire” (o almeno ridurre) l’entità del maggior utile occulto ritenuto distribuito.
In realtà, tale sentenza confonde il reddito (fiscale) imponibile con il reddito economico (effettivo e disponibile) la cui entità è certamente ridotta (e quindi sottratta alla distribuzione occulta) dal costo economicamente sostenuto, a prescindere dalla sua deducibilità fiscale.
b) comunque (non conoscendo come detto completamente i fatti di causa) vi è da domandarsi se, nel caso esaminato da tale ordinanza, gli acquisti immobiliari effettuati dalla società non potessero configurarsi quale avvenuto rinvestimento degli utili occulti realizzati dalla società e come tale riconosciuti (anche dalla Suprema Corte) idonei a disattendere la presunzione giurisprudenziale sopra evidenziata.
Al riguardo appaiono quindi degni di particolare attenzione ed approfondimento gli accertamenti di un maggior utile distribuito extra-bilancio, fondati esclusivamente sulla ristrettezza della base societaria, e sulla esistenza di un maggior utile societario accertato, senza alcun ulteriore approfondimento afferente il caso specifico, con particolare riferimento sia ai rapporti fra società e soci (e fra i soci fra di loro) sia specialmente alla esistenza di eventuali situazioni personali dei soci, fiscalmente rilevanti, incompatibili con il reddito dichiarato.
Al riguardo si veda, il mio “Osservazioni sull’utilizzo delle presunzioni “non legali” nella recente giurisprudenza della Suprema Corte in Dir. Prat. Trib. 4/2024 parte II, pag. 1438. In tale scritto è richiamato l’indirizzo giurisprudenziale (anche risalente nel tempo) il cui contenuto tuttavia, a mio giudizio, deve essere “rimeditato” per le ragioni esposte.
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