C’è un fenomeno inquietante che sta crescendo sotto gli occhi di tutti, ma di cui si parla ancora troppo poco: il turismo della morte in Svizzera. Sempre più italiani si rivolgono a studi legali e notarili elvetici per ottenere informazioni e assistenza nel porre fine alla propria esistenza. Non parliamo solo di malati terminali, ma anche di persone affette da disturbi curabili come la depressione, che vedono nella legislazione svizzera una via d’uscita più semplice. È un trend preoccupante che solleva interrogativi morali, giuridici e sociali urgenti.
La Svizzera è diventata un polo attrattivo per chi cerca una soluzione rapida alla propria sofferenza. Non si tratta più solo di malati terminali, ma anche di persone affette da disturbi psicologici o malattie curabili, che vedono nella legislazione elvetica una possibilità di concludere la propria esistenza senza incontrare ostacoli burocratici o giuridici.
A conferma di questa inquietante realtà, esistono documenti che attestano il fenomeno, come la relazione rilasciata da uno studio legale svizzero (di cui omettiamo il nome per ragioni di privacy) riguardante un cittadino italiano. Il caso è emblematico: l’uomo non era un malato terminale, ma un giovane affetto da sindrome di Asperger, vittima di violenza psicologica all’interno della propria famiglia. Senza altre prospettive, ha cercato aiuto in Svizzera, manifestando l’intenzione di togliersi la vita.
Nel documento ufficiale si legge che l’uomo ha espresso direttamente il desiderio di suicidarsi nel caso in cui la sua situazione fosse peggiorata. Lo studio legale ha ribadito l’assenza di giurisdizione per intervenire legalmente in Italia, consigliando al cliente di rivolgersi a un avvocato italiano. Tuttavia, in Svizzera la legislazione permette forme di suicidio assistito che in Italia sarebbero impensabili.
Il dettaglio più sconvolgente è che lo stesso studio legale si dichiara pronto a predisporre un testamento per il cliente, nel caso in cui decidesse di portare a termine il proprio piano. Questo dimostra quanto l’approccio svizzero sia sistematico e strutturato: non si tratta più di casi eccezionali, ma di una pratica organizzata, che vede la partecipazione di studi notarili e medici psichiatri.
In Italia il dibattito è ancora incerto e frammentato. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha dichiarato che i tempi sono maturi per una legge nazionale, capace di garantire regole chiare ed evitare che ogni Regione vada per conto proprio. Attualmente, infatti, il panorama legislativo è caotico:
- La Toscana è stata la prima Regione a regolamentare la morte volontaria medicalmente assistita;
- Lombardia e Veneto stanno valutando regolamentazioni regionali;
- Emilia Romagna e Puglia hanno adottato delibere tecniche in attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale.
Ad oggi, il riferimento normativo principale è la sentenza n. 135 del 2024 della Corte Costituzionale, che conferma i criteri stabiliti nel 2019 con il caso di Dj Fabo:
- Patologia irreversibile;
- Sofferenza fisica o psicologica ritenuta intollerabile dal paziente;
- Dipendenza da trattamenti di sostegno vitale;
- Capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.
Tuttavia, la mancanza di una legge nazionale genera incertezza e disparità di trattamento. Il rischio è che la regolamentazione del fine vita diventi un “Far West” legislativo, con alcune Regioni che garantiscono il suicidio assistito e altre che lo vietano.
I politici e le istituzioni devono assumersi la responsabilità di trovare un equilibrio tra il diritto alla vita e l’autodeterminazione dell’individuo. Come ha affermato Marco Cappato dell’Associazione Coscioni, “una legge nazionale è indispensabile per garantire tempi e procedure certe”. Ma questa legge dovrà affrontare sfide etiche e sociali enormi, evitando che il fine vita diventi una soluzione facile per situazioni di disagio psicologico o sociale.
Il caso degli italiani che cercano consulenze in Svizzera dimostra che una legge chiara e condivisa è necessaria per impedire derive pericolose. Non possiamo permettere che il suicidio assistito diventi una scorciatoia per chi soffre di disturbi curabili.
Il testamento biologico, l’accanimento terapeutico e il fine vita sono temi che richiedono un confronto serio, informato e privo di ideologie preconcette. La vita è un bene prezioso, ma anche la sofferenza non può essere ignorata. La politica ha il dovere di regolamentare questi aspetti con rigore e umanità, evitando che il vuoto normativo spinga le persone a soluzioni estreme.
Una legge nazionale sul fine vita non è più rinviabile. Il turismo del suicidio assistito in Svizzera è il sintomo di un problema più grande: l’incapacità dell’Italia di fornire risposte adeguate ai suoi cittadini, costringendoli a cercare altrove ciò che dovrebbe essere garantito qui, nel loro Paese.
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