Nel Risiko mondiale, nella guerra diffusa fra “filoamericani” e “antagonisti”, in queste prime settimane del 2025 si notano tendenze nuove e forse mostruose, accompagnate da incertezze sul futuro. Partiamo dalle tendenze.
La prima e più importante di queste tendenze è che si torna ad avere un Mondo con padroni assoluti, che decidono tutto e per conto di tutti. Soprattutto, si torna ad un Mondo in cui il più forte ed aggressivo vince, trovando la solidarietà e l’appoggio di chi si sente altrettanto forte e aggressivo. il tutto con buona pace per i diritti umani e il diritto internazionale. Facciamo un esempio chiaro e recente: l’Ucraina. Per volere di Trump, sono iniziati a Riad, in Arabia Saudita, i colloqui che dovrebbero portare alla Pace. Al tavolo sedevano le delegazioni russa e statunitense. Il governo ucraino è stato escluso, tenuto fuori dalla porta. Le decisioni, ha fatto capire Trump, strappando probabilmente un sorriso al Presidente russo Putin, le prendono i grandi. Il neo rieletto presidente statunitense ha anche dato un paio di ceffoni a Zelensky, accusandolo di non aver voluto trovare un accordo tre anni fa, quando è iniziata l’invasione. In un sobbalzo di dignità, il presidente ucraino ha dichiarato di rifiutare lo sbandierato accordo sulle terre rare con gli Usa. Ricordate? Trump chiedeva, in cambio del vecchio e del futuro appoggio di Washington all’Ucraina, l’accesso alle terre rare di quel Paese, per un valore di 500miliardi di dollari. Sembrava cosa fatta, invece, ora Kiev dice “non abbiamo garanzie, quindi non se ne fa nulla”. Trump di rimando lo ha insultato, definendolo un “mediocre dittatore”. Risposta strana da parte del capo di un Paese che ha guidato per tre anni, in questa guerra, la coalizione – i “filoamericani” tutti – reggendo la bandiera della lotta in “nome delle democrazie e delle libertà mondiali”.
In questo gioco di prestigio, a rimetterci saranno – come ampiamente previsto da molti, noi compresi – gli ucraini, che si ritroveranno con un milione di uomini e donne morti o invalidi, con una terra devastate e distrutta e con una sovranità per sempre limitata. Intanto la guerra sta continuando, ovvio, con bombardamenti sulle città e battaglie. Il tutto mentre sullo sfondo, seconda tendenza, si profila la vittoria di un nuovo principio internazionale: chi invade un altro ha ragione. E’ quello che sta accadendo a Putin – che in punta di teorico diritto internazionale resta invece un criminale per la scelta di invadere uno Stato sovrano -, è quello che accade ad Israele, che sta eliminando i Palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania e occupando una buona fetta di LIbano e Siria.
Anche qui, attenzione, a schierarsi con Tel Aviv – cioè con l’invasore – è molta parte del blocco “filoamericano”, formato da quelli che alla Storia volevano passare come i buoni, quelli che lottano per i diritti di tutti. Anche qui, le azioni militari israeliane in Libano e Cisgiordania proseguono nella quasi indifferenza. Inoltre, il premier israeliano Netanyahu ha fatto sapere che alla ripresa dei colloqui per la tregua con Hamas non vuole i Palestinesi. Così, l’Autorità Nazionale Palestinese, oltre da Hamas, viene esclusa e saranno altri ed estranei a decidere del destino di un intero popolo. Si conferma, in questo, la tendenza di cui parlavamo sopra: decidono i “grandi”, quelli forti e aggressivi. Gli invasori decidono il destino degli invasi, con l’interessato benestare degli altri potenti.
Come in Ucraina, tutto accade mentre si continua a morire. Sarà indolore? No, qui iniziano le incertezze sul futuro. Il Mondo Arabo islamico, ad esempio, dovrà finalmente decidere con chi stare. I Palestinesi sono stati per otto decenni moneta di scambio negli accordi internazionali e negli equilibri della regione. In gioco ci sono alleanze consolidate con gli Stati Uniti, di Egitto e Giordania, accordi in divenire fra Arabia Saudita e Israele, nuovi assetti per la Siria e il LIbano. Ora rischia di saltare tutto. In breve – scrive correttamente Nesrine Malik, editorialista del Guardian – “ i governi arabi sono costretti ad affrontare e risolvere una questione che tocca l’anima stessa della regione contemporanea: cosa significa ancora l’identità araba? È solo un gruppo di Paesi che parlano la stessa lingua e condividono confini, ma con regimi ed élite che sono diventati troppo invischiati con l’Occidente per essere vitali alle proprie condizioni? O c’è ancora un residuo senso di agenzia in quei regimi, un’eco di integrità politica e dovere verso gli altri arabi?”.
La realtà, brutale, è che ancora una volta gli interessi finanziari e le dipendenze economiche piegheranno la Storia, sconfiggendo i Palestinesi come ha sconfitto gli Ucraini. E come sta sconfiggendo l’Unione Europea, il cui futuro si gioca breve, sul filo delle decisioni che verranno prese per resistere agli assalti di Trump, che quell’Unione vuole disgregare con l’aiuto delle “quinte colonne interne”: Ungheria, Slovacchia, forse Italia. E sconfitti dai medesimi interessi, più lontano, in Africa, ci sono gli uomini e le donne del Sudan, dove si muore di proiettili e di fame e della Repubblica Democratica del Congo. I ribelli dell’M23 avanzano ancora, spalleggiati dal Ruanda e probabilmente finanziati da chi vuole mettere le mani sulle risorse del Paese. Anche l’Uganda si è unita alla lotta, invadendo il Paese in nome della propria autodifesa. E un intero popolo, ancora una volta in trent’anni, rischia di morire.
Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.
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