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Le bollette in questo periodo arrivano in ogni casa e ci fanno toccare con mano che c’è problema energetico. Senza energia non c’è vita. Scelte energetiche dell’Ue ci stanno portando a una situazione di crisi. Su questi temi si è tenuto il Venerdì della Bussola trasmesso ieri e intitolato Energia, quanto mi costi? A condurre la trasmissione è Riccardo Cascioli, che ha avuto come ospite il professor Gianluca Alimonti, docente di Fondamenti di energetica all’Università degli Studi di Milano.
Il quale ci spiega, prima di tutto, quanto le scelte strategiche occidentali degli ultimi decenni abbiano un impatto sul caro bollette. «L’Occidente non è tutto uniforme. A parte Trump, che dichiaratamente sta cambiando rotta, ma in generale gli Usa sono ricchi di risorse energetiche e sono fra i principali esportatori di petrolio, pieni di carbone e adesso, grazie alla shale gas revolution, anche gas di scisti. L’Europa non è ricca di queste fonti, salvo il carbone. Da un certo punto di vista, la politica green scelta dall’Europa è corretta, per evitare di dipendere dalle fonti fossili. Quel che lascia perplesso è il tempismo, troppo veloce e l’uso di tecnologie non mature (come l’auto elettrica). Mi permetto di dire che la priorità più che sulla decarbonizzazione dovrebbe essere posta sulla ricerca dell’indipendenza energetica. Nel contesto globale, l’Europa pesa per il 7% in fatto di emissioni, infatti, ma ci stiamo strozzando”.
L’Europa va da sola su questa strada, ponendosi limiti severi quando il mondo va da un’altra parte: «anche quando c’era Biden noi eravamo isolati, gli Usa chiudevano le centrali a carbone e aprivano quelle a gas. Cina e India vanno in un’altra direzione. Questi sono grandi paesi che vogliono svilupparsi, vogliono far star meglio le loro popolazioni, dobbiamo capirli. L’india ha emancipato 400 milioni di indiani dalla povertà energetica, grazie alla costruzione di centrali a carbone. Dobbiamo fargliene una colpa?»
In Europa hanno ostracizzato l’energia nucleare che poteva servire, oltre che per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione, anche quello dell’indipendenza energetica: «Una posizione contradditoria sostenuta da una frangia del movimento ambientalista. I francesi quando ci sono state le crisi degli anni ‘70 erano in una condizione come la nostra: poveri di risorse. Si sono mossi, come nazione, in dieci anni sono diventati una potenza nucleare civile, con una domanda elettrica coperta all’80% da fonti nucleari e una riserva da esportare». Ora, col mito delle rinnovabili ci troviamo però alle dipendenze dalla Cina per tecnologia green… «Dalla padella alla brace. Sicuramente non ha senso parlare di energia “democratica” quando si parla di rinnovabili. Non è più una dipendenza dalla fonte primaria, ma dipendenza da minerali necessari per costruire le tecnologie delle rinnovabili. Per realizzarle servono le terre rare, di cui fra i principali possessori c’è la Cina, non l’Europa».
Fra acciaio e cemento necessari per le pale eoliche, le rinnovabili non sono nemmeno un toccasana per l’ambiente… «Oltre al fatto che devono coprire grandi spazi, sia per l’eolico che per il fotovoltaico. L’estrazione dei materiali necessari è un altro problema ambientale: enormi miniere a cielo aperto. Ma a prescindere: il limite più grande delle rinnovabili è che sono intermittenti. Non possono garantire una fornitura costante di energia. Questo rende necessaria l’accumulazione, per usare l’energia quando serve. Non conosciamo ancora sistemi efficienti, sostenibili e competitivi per accumulare l’energia».
Tutta la storia dello sviluppo è legata alla disponibilità sempre maggiore di energia a costi sempre più bassi. Oggi si sta teorizzando che, in nome dell’ambiente, si debba avere meno energia e a costi maggiori. «E poi magari essere felici! Perché la decrescita deve essere felice, pagando di più per meno energia. Stiamo scherzando, ma c’è chi lo teorizza. In diverse parti della nostra civiltà siamo stati talmente viziati da sprecare parecchia energia. Una maggior efficienza nell’uso energetico, cosa che si può già fare, è auspicabile. Difficile che, con i costi attuali, da Milano possiamo andare a Genova solo per prenderci un caffè. Ma da qua ad arrivare alla decrescita felice ci sono tante vie di mezzo equilibrate». Un conto è passare dalla lampadina a incandescenza al Led, un altro è “spegnere tutto”, forma utopistica di risparmio che porta sulla strada sbagliata. «E un conto è una lampada Led che è frutto dell’evoluzione, consuma meno, rende di più. Tutt’altro è imporre politicamente sul mercato prodotti non maturi che non piacciono, sono meno efficienti e costano di più, come l’auto elettrica. Se si esagera è un autogol».
Quindi urge soprattutto un cambio di priorità: non la decarbonizzazione, ma l’adattamento. Fondamentale soprattutto per l’Italia, terra di dissesto idrogeologico. «L’Italia è un paese tanto bello quanto delicato, per la conformazione che ha. Sicuramente si deve investire nel territorio. Per migliorare l’adattamento al cambiamento climatico, immediatamente. E le opere di adattamento genererebbero ricadute positive sull’occupazione sarebbero. Insistere sulla decarbonizzazione è meno sostenibile e i risultati, se ci sono, si vedrebbero molto più in là nel tempo».
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