Il suicidio di Kim Sae-ron e il peso delle aspettative sulle celebrità in Corea del Sud


Dopo il declino della sua carriera e critiche incessanti, l’attrice sudcoreana si è tolta la vita, riportando l’attenzione sulle pressioni del mondo dello spettacolo

Domenica scorsa, l’attrice sudcoreana Kim Sae-ron è stata trovata morta nella sua casa a Seul. Aveva 24 anni ed era stata una delle attrici più amate e richieste del paese fino a pochi anni fa. Secondo le indagini della polizia, si è trattato di un suicidio.

La sua carriera era stata gravemente compromessa dopo un incidente avvenuto nel 2022, quando fu sorpresa a guidare in stato di ebbrezza e multata per i danni causati. Da quel momento, il suo percorso professionale aveva subito una battuta d’arresto: era sempre più difficile per lei ottenere nuovi ruoli, e la sua reputazione era crollata. Netflix, per esempio, aveva deciso di tagliare alcune scene in cui compariva nella serie “I segugi”, segno del progressivo allontanamento dell’industria dell’intrattenimento da lei.

L’ostilità dei media e dei social per le celebrità in Corea del Sud

Parallelamente alle difficoltà lavorative, Kim era diventata bersaglio di critiche incessanti sui media e sui social network. Il giornalista Kim Tong-hyung ha descritto la pressione costante a cui era sottoposta: «Veniva criticata ogni volta che partecipava a una festa con amici o quando si lamentava della mancanza di lavoro. Persino il semplice fatto di sorridere mentre girava un film indipendente era motivo di polemica».

Il suicidio di Kim Sae-ron e il peso delle aspettative sulle celebrità in Corea del Sud – Newsby.it

 

Questa dinamica non è nuova in Corea del Sud. La morte di Kim ha riacceso il dibattito sulla pressione eccessiva esercitata sulle celebrità, un fenomeno che ha già portato a numerosi casi simili in passato. Il paese ha infatti uno dei tassi di suicidio più alti tra i paesi sviluppati, in particolare tra i giovani. Il peso delle aspettative sociali si riflette nel sistema scolastico e nel mondo del lavoro, e diventa ancora più oppressivo per coloro che raggiungono la notorietà.

In Corea del Sud, attori e musicisti k-pop vengono spesso elevati al rango di “idoli”, figure pubbliche su cui il pubblico proietta un’immagine di perfezione quasi irreale. Gli errori, anche quelli di poco conto, sono difficilmente perdonati. I fan si sentono traditi se la celebrità non si comporta secondo le loro aspettative, specie dopo aver investito tempo e denaro nel seguirla attraverso biglietti per eventi, merchandising e contenuti esclusivi.

Secondo il critico Lim Hee-yun, questa severità nei confronti delle celebrità ha radici profonde: «Dopo la guerra di Corea, negli anni ‘50, il paese ha attraversato una fase di rapido sviluppo economico. Durante quel periodo, si diffondeva un sentimento di invidia verso le celebrità, viste come individui privilegiati che non contribuivano all’industrializzazione della nazione». Questo ha portato nel tempo a un atteggiamento ipercritico nei confronti delle star dello spettacolo.

A differenza dell’Occidente, dove il pubblico è più passivo rispetto alle dinamiche dell’industria dell’intrattenimento, in Corea del Sud il rapporto tra fan e celebrità è più diretto. Secondo il Korea Herald, «nel mondo del k-pop i fan interagiscono attivamente con l’industria e si percepiscono come i veri artefici della fama degli artisti. Gli idol vengono spesso considerati più come prodotti che come persone».

Le aspettative irrealistiche non derivano solo dal pubblico, ma anche dalle agenzie di gestione, che impongono regole ferree agli artisti. In molti casi, agli idol viene vietato di avere relazioni sentimentali, per non deludere i fan. Possono esserci restrizioni sui contenuti pubblicabili sui social media, sugli orari di uscita e persino sulle amicizie. Questo livello di controllo ha un impatto devastante sulla salute mentale delle celebrità.

Nel 2018, la cantante Goo Ha-ra si tolse la vita dopo essere stata perseguitata online per un video privato, che l’ex fidanzato aveva minacciato di diffondere. Nonostante lui fosse stato condannato a un anno e mezzo di carcere, fu lei a subire la gogna pubblica, al punto che la sua etichetta discografica decise di non rinnovarle il contratto. Solo un mese prima, anche la cantante Sulli si era suicidata: era stata bersagliata per la sua relazione con il rapper Choiza, mentre soffriva da tempo di depressione.

Nel caso di Kim Sae-ron, il padre ha accusato uno youtuber specializzato in gossip, sostenendo che i suoi contenuti avessero contribuito al disagio psicologico della figlia. Ogni volta che un evento simile si verifica, si riapre il dibattito sul ruolo dei media tradizionali e digitali, accusati di alimentare un circolo vizioso fatto di pressione, scandali e attacchi personali.

In Corea del Sud, lo stile giornalistico sensazionalistico e la continua ricerca di scandali sulle celebrità hanno spesso un impatto diretto sulla loro reputazione e sul loro stato mentale. I titoli provocatori, le speculazioni sui social e il controllo ossessivo delle loro vite private rendono quasi impossibile per le star riprendersi dopo uno scandalo.

La morte di Kim Sae-ron è l’ennesima tragedia che solleva interrogativi sulla cultura dell’intrattenimento sudcoreano. Mentre il paese continua a esportare il suo modello di pop culture su scala globale, rimane aperta la questione su come garantire il benessere delle persone che ne fanno parte.

La pressione eccessiva, l’intolleranza verso gli errori e la sorveglianza costante da parte di media e fan dimostrano quanto il successo possa trasformarsi in un peso insostenibile. Se non si affrontano questi problemi in modo concreto, la Corea del Sud rischia di continuare a perdere le sue giovani celebrità in modo tragico e prematuro.



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