Arte a Parma: l’opera riapparsa, i 500 anni di Correggio

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L’arte a Parma ha fatto apparire la Madonna. O meglio: ricomparire da dietro un muro della cattedrale, dove un dipinto del Cinquecento, di cui si erano perse le tracce, è tornato a raccontare la sua storia dopo molti secoli.

Ci sono tutti gli ingredienti di una spy story a tema artistico per andare in visita nella città ducale. E allora, tutti in duomo per ammirare quel capolavoro di marmo rosa e romanico che già strizza agli occhi al gotico. Solitamente tutti vanno a vedere la cupola di Correggio oppure la Deposizione di Benedetto Antelami. Oggi, però, c’è una ragione in più: tutto merito di uno sbaglio.

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L’affresco contenuto all’interno della cappella Ravacaldi (Luca Pelagatti)

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Il ritrovamento dell’affresco

Infatti, era il 2003 quando giù nella cripta dove è avvenuto il ritrovamento, serviva un restauro e una bella ripulita. È in questo luogo che gli operai cercano un muro dove scavare e ricavare un vano tecnico per avviare i lavori.

Furono loro i primi ad accorgersi che quella parete “Suonava strano: non era pieno”, racconta Carlo Mambriani, docente di storia dell’architettura e fabbriciere. “Analisi, saggi e finalmente nel 2015 una breccia” da cui emergono, dietro ad una camera ad aria, formata da un muro di mattoni rossi, due piedini bianchissimi.

Negli archivi si scatenano gli esperti che, però, non scoprono nulla. Anzi, trovano la prova che in quel punto nessuno sospettasse ci fosse null’altro che una normale parete. “Nel 1578 il vescovo di Rimini è in duomo per effettuare un sopralluogo e ordinare i lavori da eseguire. Passa in rassegna ogni cosa e di questo angolo inventaria solo un muro”, spiega Nicola Bianchi, presidente della Fabbriceria.

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L’immagine del ritrovamento (Fabbriceria)

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I lavori per riportare l’opera alla luce

Intanto mentre si cercano fondi, arriva il generoso sostegno della famiglia Bormioli, che in città plasma da secoli il vetro. I lavori partono, ma vanno piano perché sono delicatissimi. Silvia Simeti, esperta di Arké Restauri, stende una relazione preparatoria accuratissima, prima di procedere.

Dai primi rilievi il dipinto appare tardo quattrocentesco. Poi, per qualche ragione, in pochi decenni prima della visita di quel vescovo che già non lo vide più, “si decise di murare”, spiegano gli esperti.

Servono anni per un segreto che resta celato anche ai parmigiani stessi che pure vanno a messa nella cripta. Si procede millimetricamente a ripulire, con piccole gomme, ogni piccola tessera di un puzzle che si fa sempre più chiaro: parte del dipinto è a fresco, ma il resto è a secco, con una tecnica simile a quella usata da Leonardo nel Cenacolo a Milano, compreso il delicatissimo albume d’uovo. Dietro a quella cappella si scopre una Madonna delle Grazie e due scene che tolgono il fiato.

Da una parte ci sono San Pietro e San Giovanni con in mano un calice laminato a foglia d’oro “Come nelle miniature dei codici”, ma dall’altra parte c’è qualcosa che tutti hanno già visto e non lontano: è una scena di flash back con la Madonna bambina accompagnata dai genitori Anna e Gioachino verso l’ingresso in sinagoga.

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Un déjà vu per molti parmigiani, che hanno frequentato un’altra cappella gentilizia della cripta: la Ravacaldi. Qui una bottega di artisti, intorno al 1427, ha dipinto lo stesso soggetto, anche se la Madonna bambina è collocata su una scala più alta. Insomma, chi ha dipinto le due scene appartiene alla stessa bottega o aveva a disposizione gli stessi “book” e modelli.

 

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La Cattedrale di Parma (Luca Pelagatti)

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Le ipotesi dietro la scelta di murare la creazione

Può forse essere questa la ragione per cui fu nascosta, “murata viva” dopo pochi anni, perché considerata un “doppione”? “Una prima ipotesi è quella che il cambio di influenze fra la sfera milanese e quella romana, in quegli anni a Parma, abbia portato alla necessità di organizzare diversamente questi spazi”, spiega ancora Mambriani.

Una seconda ipotesi è che quell’opera, con quelle scene così complesse cozzassero con la sensibilità dell’epoca. Il dipinto, però, ci dice una terza cosa: “Fu amatissimo anche nei pochi anni in cui restò visibile”.

Prova ne sono i molti ex voto di cui si è trovato traccia, grazie ai resti di cera lacca e chiodini con cui i bigliettini di ringraziamento venivano appesi al quadro. E forse, proprio per questa devozione, chi eseguì l’ordine di “addormentare” il quadro per sempre dietro al muro, fu così cauto nel creare uno spazio d’aria per preservarlo, invece che passare una mano di intonaco che lo avrebbe cancellato per sempre.

Chi potrebbe aver dipinto questi volti? La suggestione, secondo gli esperti, corre anche a mano celebri come Alessandro Araldi (1460 -1529) che, nei primi del Cinquecento, era attivo in duomo dove ha lasciato due pale d’altare, oltre ad aver affrescato, sempre a Parma, l’altra camera di San Paolo, accanto agli ambienti dove operava il Correggio. Oggi la madonna si ammira grazie alle visite guidate in Piazza Duomo e che si possono prenotare online.

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Monastero di San Giovanni con la mostra Correggio 500 (Roberto Venturini)

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La mostra Correggio 500

Intanto, proprio attraversando Piazza Duomo – da non perdere anche il battistero, capolavoro che si trova su tutti i libri di storia dell’arte – , si giunge a un altro must see di Parma.

Se non rivelato, almeno spiegato, anzi calato a terra per dar del tu a tanta bellezza: è il caso del monastero di san Giovanni con la mostra Correggio 500 . Fino al 2 giugno 2025 si festeggiano i primi cinque secoli di splendore della cupola che Correggio dipinse non per la cattedrale – quella è più tarda, compirà gli anni nel 2026 – ma in San Giovanni.

L’esposizione collega, in un percorso di 500 passi, quattro luoghi cult della città. Oltre alla chiesa di San Giovanni, il refettorio del monastero, poi la “camera di San Paolo” con la terza cupola che Antonio Allegri pensò per la badessa Giovanna Piacenza e, infine, il complesso museale della Pilotta che custodisce tele e capolavori del “pittor raro e maraviglioso”.

Un nuovo biglietto unico permette la visita con agevolazioni e tour guidati al poker d’assi del Rinascimento. Nel refettorio di San Giovanni, in particolare, c’è un espediente sorprendente per comprendere la bellezza della cupola.

Un fotopiano, realizzato dal fotografo Lucio Rossi, riporta “sulla terra”, con una esplosione tridimensionale e ad altezza d’occhio, tutti i personaggi della cupola di cui si apprezza meglio ogni dettaglio.

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Antica Spezieria (Giovanni Hanninen)

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Riapre l’Antica Spezieria di San Giovanni

Il monastero, fondato nel 980 d.C. è un unicum dove, la nouvelle vague dei “recuperi” parmigiani ha riportato ad apertura anche un altro luogo chiuso, pur non dimenticato, da troppo tempo: è l’Antica Spezieria di San Giovanni.

Nonostante, l’ora et labora della regola benedettina, qui nel cuore della pianura padana, c’erano tempo e spazio per produrre medicamenti, ungenti e rimedi virtuosi che i monaci commerciavano con i cittadini fin dal Duecento.

Questi spazi, di scienza, sapienza e anche chimica sono oggi stati allestiti in un suggestivo percorso che attraversa questa “farmacia” ante litteram, fino alle cucine e alle celle dei monaci.

I locali hanno arredi in legno del Settecento, quando la spezieria fu secolarizzata e aperta ai cittadini aprendo una piccola porticina in borgo Pipa da cui ancora oggi si entra. Molto ricca la collezione di vasi, ricettari, erbari e mortai, mentre sulle pareti campeggiano dipinti di filosofi e scienziati della classicità che, con i loro motti, devono aver ispirato i “colleghi” di questi chiostri.

E così, da Parma al mondo, il messaggio è chiaro: basta guardare ogni cosa con attenzione perché anche dietro a una porta o un muro può nascondersi una grande sorpresa dimenticata, che il tempo prima o poi restituisce sempre.

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