una serie thriller sorprendente e critica con gli Stati Uniti

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È una sera come tante: siete appena rientrati a casa dal lavoro, avete preparato la cena e ora state riposando guardando un film alla TV. Tutto d’un tratto, il televisore diventa nero, le luci si spengono e restate al buio. È saltata la corrente? Impossibile: anche la casa dei vicini è nelle stesse condizioni. Si sono spenti i semafori e i pali della luce. Persino le auto – quelle più “intelligenti”, quantomeno – hanno smesso di funzionare di colpo. Fuori dalla finestra sentite un tonfo: un veicolo in avaria si è schiantato contro un muretto. Correte a controllare ma, proprio mentre state aprendo la porta, tutto torna alla normalità, come se nulla fosse successo: le lampadine si riaccendono, le trasmissioni TV riprendono, i semafori ripartono. In totale, al buio avete passato esattamente un minuto. E non siete stati i soli: tutto il Paese è rimasto senza corrente. Paralizzato il traffico, spenti tutti i PC e i telefoni della nazione, persino i macchinari degli ospedali sono stati colpiti. È il più grande attacco hacker di sempre: più di tremila vittime in sessanta secondi. Per portarlo a termine, qualcuno ha sfruttato una falla Zero Day apparentemente diffusa in tutti i dispositivi elettronici del mondo. Ma il peggio deve ancora venire: se migliaia di persone sono morte in un solo minuto, cosa succederebbe se l’attacco si ripetesse, magari per intere ore o giorni?

La paranoia che precede l’Apocalisse

Queste, più o meno, sono le premesse della nuova miniserie-evento di Netflix, Zero Day.

Miniserie perché si tratta di una visione (relativamente) breve e intensa: sei puntate da meno di sessanta minuti ciascuna. Evento perché la produzione è ad alto budget, e lo si vede fin dal cast: il protagonista, l’ex-Presidente degli Stati Uniti George Mullen, è Robert De Niro, mentre nel cast di supporto troviamo Jesse Plemons (Todd in Breaking Bad), Angela Bassett (la Regina Ramonda nel franchise di Black Panther) e Lizzy Caplan. Zero Day racconta le ripercussioni dell’attacco hacker senza precedenti che ha colpito gli Stati Uniti d’America, e le racconta con una lucidità, una freddezza e un realismo che atterriscono. La serie ruota attorno alla Commissione creata dal Presidente Mitchell (Angela Bassett) e presieduta dall’ex-Presidente Mullen (De Niro), il cui unico compito è quello di evitare a tutti i costi che lo Zero Day si ripeta, arrivando persino a effettuare arresti arbitrari e di massa, a torturare i civili durante gli interrogatori e a sospendere le libertà costituzionali. Al contempo, la storia si prende un po’ di tempo per analizzare ogni sfaccettatura del complesso carattere del protagonista: perché George Mullen si è ritirato dalla politica al suo apice? Perché sua figlia Alexandra (Lizzy Caplan) sembra odiarlo, al punto da costruire la sua intera carriera politica per contrapposizione al padre? Mullen sarà veramente adatto, nonostante la sua età, a dirigere una Commissione con dei poteri così ampi?

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Ma diciamoci la verità: per quanto lo sviluppo dei personaggi sia lodevole, non è né il punto forte di Zero Day né tantomeno il motivo per il quale guarderete la serie dall’inizio alla fine. Invece, lo farete perché vi troverete davanti a un thriller paranoide, che gioca con il linguaggio tipico del genere postapocalittico ma che non sconfina mai nel disaster movie (disaster series, in questo caso) duro e puro. Al contrario, Zero Day è il racconto di un’Apocalisse preannunciata e incombente, la cui sola attesa sembra fare più danni – alla società americana e ai protagonisti della storia – di quanti ne causerebbe verificandosi davvero. Questa particolare struttura a metà tra thriller politico e postapocalittico dona a Zero Day una certa freschezza, anche a confronto con le altre, numerose produzioni che partono dallo stesso presupposto, quello di un attacco hacker che minaccia la sicurezza degli Stati Uniti.

A rendere la serie diretta da Lesli Linka Glatter (Mad Men, Lie To Me, I Segreti di Twin Peaks) veramente paranoide è però il costante senso di ansia e di diffidenza di cui lo spettatore è pervaso: non solo non ci si può fidare della percezione di Muller, forse vittima di un’arma neurale o forse solo troppo vecchio per un lavoro così importante, ma non si può nemmeno credere al 100% a chi gli sta intorno. Ciascuno ha un’agenda politica, dei secondi fini, degli obiettivi più grandi, e per conseguirli è disposto a sacrificare la sua intera nazione, facendola sprofondare nell psicosi collettiva di un cyberattacco capace di distruggere per sempre le telecomunicazioni.

Non è il futuro: è il presente

Ecco, se c’è un grandissimo pregio di Zero Day è la sua capacità di tenere altissimo il senso di tensione e di svelare piano piano, in maniera parcellizzata ma anche estremamente credibile, la verità: alla fine dei sei episodi, quasi tutto trova una sua collocazione.

Certo, qualche questione aperta resta e forse qualche personaggio secondario viene gestito un po’ troppo frettolosamente, ma il cuore di Zero Day è quello di un thriller. E di thriller che sanno instillare dubbio, paura e al contempo genuina curiosità, persino apprensione, per sei ore di fila ce ne sono pochi. D’altro canto, il disvelamento del vero non avviene con un grande colpo di scena, ma in modo sofferto e difficile: ogni pista viene battuta, ogni prova viene analizzata, e degli errori vengono commessi. Per gran parte dei 3-4 episodi centrali ci si sente immersi in un’indagine da poliziesco hi-tech, che si scontra con la mancanza di testimoni, con le strade sbagliate e con quelle semplicemente impossibili da percorrere. Ogni volta che si torna sui propri passi la tensione sale: un secondo attacco Zero Day potrebbe essere imminente, e le decisioni vanno prese in fretta. Anche quando si tratta di scendere in guerra contro un altro Paese o di usare la bomba atomica. L’assenza di tempo è uno dei temi forti di Zero Day, che assume così un carattere pre-apocalittico supportato da situazioni, dialoghi, recitazione e fotografia estremamente convincenti. Quello che ne esce è dunque l’ennesimo affresco di un’America ormai sull’orlo del baratro, molto simile a quello dell’incredibile Civil War (qui la nostra recensione di Civil War, per approfondire), che preconizza un futuro non troppo lontano, forse persino più vicino di quello del capolavoro di Alex Garland dello scorso anno.

Questo perché Zero Day gioca sui temi più controversi che attanagliano l’opinione pubblica d’oltreoceano (e che di riflesso colpiscono anche la nostra). Uno è quello della diffidenza degli uni verso gli altri, che si fa violenza nelle strade, polarizzazione politica estrema e mancanza di fiducia nei media al contempo. Un altro è quello dell’ascesa delle teorie del complotto e della contro-informazione. E poi ce ne sono molti altri, che vengono toccati in modo più o meno diretto: l’abuso della violenza da parte della polizia, l’ingresso a gamba tesa dei miliardari dell’hi-tech in politica – che assume un carattere quasi profetico, viste le notizie che arrivano da Washington da qualche settimana – e ancora la compressione delle libertà civili in nome della difesa della patria, nonché lealtà della politica nei confronti dello Stato e degli elettori.

In altre parole, quella messa in scena da Zero Day è un’estremizzazione dell’America contemporanea. Ma un’estremizzazione molto meno spinta di quella che vediamo solitamente al cinema e in TV: il futuro che ci viene raccontato non è né lontanissimo né lontano. Al contrario, è uno scenario che da qui a qualche anno (a voler essere ottimisti) potrebbe davvero realizzarsi. Ed è forse per questo che Zero Day punta tutto sull’angoscia, che certamente colpirà più lo spettatore medio americano che quello italiano: a far paura, della serie, è che racconta i giorni prima dell’Apocalisse, e non quelli dopo. A fare ancora più paura è che quei giorni potrebbero essere oggi, domani, o forse persino ieri.



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