Regno Unito, l’inflazione accelera e frena la BoE

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Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 


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Dopo la doccia fredda dei salari, quella dei prezzi che risalgono al 3%, oltre le attese. Per i gestori il costo del denaro calerà più lentamente quest’anno

A Londra la soddisfazione per la lieve ripresa del PIL ha avuto vita breve. A spegnere l’ottimismo ci ha infatti pensato l’inflazione, che a gennaio è risalita al 3% dopo il +2,5% registrato a dicembre, toccando il massimo da dieci mesi. Un’accelerazione inaspettata, che ha superato le previsioni degli economisti e della stessa Bank of England, entrambe convinte di un’aumento più modesto al 2,8%, e che porta gli analisti a temere una frenata nel ciclo di allentamento monetario avviato dalla banca centrale britannica.

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Inflazione core come da attese

Secondo i dati diffusi dall’Office for National Statistics, a pesare sull’aumento del carovita sono stati in particolare i trasporti, i prodotti alimentari, le bevande analcoliche e l’istruzione. Quest’ultima voce è stata influenzata dall’introduzione dell’IVA sulle rette scolastiche private voluta dal governo laburista. Su base mensile, i prezzi al consumo sono calati dello 0,1%, contro il +0,3% di dicembre e il -0,3% atteso dagli analisti. L’inflazione core, che esclude le componenti più volatili come energia e alimentari, è invece salita del 3,7% annuo rispetto al +3,2% di dicembre, in linea con il consensus. Infine i prezzi dei servizi, al centro del dibattito interno alla BoE su quanto velocemente tagliare i tassi di interesse, sono aumentati bruscamente al 5,0% dal precedente 4,4%, ma meno del 5,2% stimato dagli economisti e dalla banca centrale.

L’accelerazione dei salari

Per i mercati la doccia fredda arrivata dal carovita, unita alla forte crescita salariale appena registrata, causerà non poche preoccupazioni a Bailey e colleghi. Martedì, infatti, l’ONS ha reso noto che le retribuzioni del settore privato, indicatore chiave delle pressioni inflazionistiche interne, sono aumentate del 6,2% su base annua, mettendo a segno il ritmo più rapido in un anno. Per questo, al momento, la view maggioritaria è che la BoE si prenderà una pausa a marzo, per poi tornare a tagliare a maggio. Dati permettendo.

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Meno tagli quest’anno
chief investment officer di Moneyfarm
Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm

Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, il CPI di gennaio evidenzia le sfide che la Banca d’Inghilterra continua a dover affrontare per tornare all’obiettivo del 2%. “Verso la fine del 2024 c’era ottimismo sulla possibilità che nel 2025 la banca centrale del Regno Unito riducesse i tassi su base trimestrale, e alcune stime prevedevano addirittura cinque o sei tagli nel corso dell’anno”, fa notare l’esperto. “Tuttavia, le pressioni inflazionistiche in essere, comprese la crescita sostenuta dei salari e la possibilità di un aumento dei dazi commerciali, potrebbero limitare il margine di manovra per ulteriori tagli quest’anno”, avverte.

Matthew Ryan, head of Market Strategy di Ebury
Matthew Ryan, head of Market Strategy di Ebury

Dello stesso parere Matthew Ryan, cfa head of Market Strategy di Ebury, che ricorda come, meno di due settimane fa, due membri del MPC abbiano votato a favore di un’immediata riduzione dei tassi di 50 punti base. Una posizione che ora appare “affrettata e poco ponderata”. “Non dimentichiamo che il ruolo della banca centrale è quello di garantire la stabilità dei prezzi, non di sostenere la crescita. E data l’importanza dei rischi inflazionistici, in particolare derivanti dalle elevate pressioni salariali, non vediamo più di un paio di ulteriori tagli nel corso dell’anno”, spiega.

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Un quadro grigio

Non solo. Per Ryan, il dato sul carovita sarà motivo di preoccupazione anche per i consumatori inglesi, che probabilmente sentiranno il peso di una nuova compressione dei redditi reali e di un potere d’acquisto più debole. “Ciò si aggiunge al quadro piuttosto cupo dell’economia britannica, che appare in uno stato precario, anche a causa dei timori per l’impatto del piano fiscale del governo sulle imprese e del protezionismo di Trump”, conclude l’esperto.

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