Quando lo Stato di diritto dovrebbe piegarsi agli obiettivi politici? Questa non è solo una questione filosofica, né è un dibattito che si è posto esclusivamente in Italia, tra ripetute accuse e controaccuse verso la magistratura politicizzata. Il tema è al centro del dibattito anche nel Regno Unito, dove la figura che (forse sorprendentemente) è diventata bersaglio delle critiche a Sir Keir Starmer è il suo procuratore generale, Lord Hermer. È uno degli avvocati esperti di diritto pubblico più noti del paese, ha lavorato insieme a Starmer al Doughty Street Chambers nei primi anni 2000. È stato nominato membro della Camera dei Lord per poter essere designato massimo responsabile legale del governo nel luglio scorso. In oltre un secolo, è la prima persona a essere nominata procuratore generale senza aver mai ricoperto un incarico parlamentare.
Ora Hermer si trova sotto attacco da ogni direzione. Innanzitutto i media britannici di destra lo colpiscono quasi quotidianamente con attacchi ad hominem, criticando le sue posizioni politiche di sinistra e i suoi ex assistiti. In quanto specialista di diritto umanitario, alcune delle cause che ha seguito sono state controverse. Tra i suoi assistiti figurava Shamima Begum, la giovane britannica che lasciò il Regno Unito per unirsi all’Isis in Siria e che – privata della cittadinanza britannica – non ha potuto farvi ritorno. Hermer aveva sostenuto che avrebbe dovuto essere autorizzata a rientrare nel Regno Unito. Inoltre ha rappresentato il terrorista condannato Rangzieb Ahmed e il terrorista saudita Mustafa al-Hawsawi. I conservatori hanno setacciato il suo passato legale, evidenziando la sua difesa per il leader dell’Ira e per Sinn Féin, Gerry Adams, e la consulenza fornita agli ex territori coloniali caraibici del Regno Unito per richiedere risarcimenti. I Tories gli hanno chiesto di prendere le distanze pubblicamente da alcune sentenze, nonostante questo stabilirebbe un precedente eccezionale.
Ma a essere più significativa è la seconda critica: Hermer viene accusato di essere troppo rigoroso nel difendere lo Stato di diritto, a discapito degli interessi politici del Regno Unito. La questione fondamentale riguarda l’impegno britannico nel rispettare il diritto internazionale e nazionale. Il suo principale “errore” è il suo incrollabile sostegno a questo principio; invece molti populisti di destra vorrebbero che il potere esecutivo non avesse alcun vincolo giudiziario, e considerano il rispetto delle convenzioni internazionali un ostacolo ai loro obiettivi politici. In questo senso, il procuratore generale viene visto come un altro esponente del “governo di avvocati, non di leader” di Starmer.
In un discorso tenuto lo scorso anno, Hermer ha affermato che la sua missione è la “restaurazione della reputazione del Regno Unito come paese che sostiene lo Stato di diritto in ogni circostanza, respingendo con fermezza la sfida populista”. In contrasto con gli anni di Boris Johnson, il Regno Unito dovrebbe diventare un difensore dei tribunali internazionali e proteggere giudici e avvocati dagli attacchi populisti volti a minare la loro legittimità. Ha inoltre espresso un forte sostegno alla Corte internazionale di giustizia, alla Corte penale internazionale e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Due questioni rendono particolarmente complicate queste posizioni. La prima è una sentenza della Corte internazionale di giustizia, che ha stabilito che la sovranità sulle strategiche Isole Chagos dovrebbe essere restituita da Londra a Mauritius. La seconda riguarda la sua adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che rende le leggi nazionali subordinate alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. I Tories e il partito riformista di Nigel Farage sostengono che questa convenzione abbia impedito l’espulsione di criminali stranieri o migranti irregolari, citando motivazioni ritenute deboli (come il diritto alla vita familiare). Perciò chiedono che il Regno Unito ci rinunci. L’appartenenza alla Cedu è stata infatti determinante nel fallimento del piano dei conservatori per espellere i richiedenti asilo in Ruanda.
Non è un momento facile per chi difende il diritto internazionale e, in particolare, le convenzioni internazionali sui diritti umani. Gli obiettivi politici, soprattutto in materia di immigrazione, sono sempre più considerati prioritari. Ma se una logica di realpolitik basata sulla legge del più forte può avvantaggiare superpotenze come Stati Uniti e Cina, almeno nel breve termine, paesi di medie dimensioni come il Regno Unito dovrebbero essere cauti nell’adottare una linea troppo critica. Dopotutto, queste convenzioni sono state istituite per evitare una guerra di tutti contro tutti in stile hobbesiano e per proteggere le nazioni più piccole dalle ambizioni delle grandi potenze. Qualsiasi politico britannico (o italiano) che creda che un mondo del genere possa giovare ai propri interessi ha una visione obsoleta e sopravvalutata dell’influenza del proprio paese nel panorama globale.
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