ora basta soldi a Unrwa? Italia e Svizzera l’hanno fatto a prescindere

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Va dato atto all’Italia di non aver ritenuto necessario il rapimento di un nostro connazionale per smetterla di collaborare con l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite nei cui “rifugi” si rifugiavano i terroristi palestinesi ed erano sequestrati gli ostaggi.

In quei cosiddetti rifugi, lasciati in comodato alle belve di Hamas, non c’erano nemmeno ostaggi di nazionalità elvetica. Ma questo non impediva alla Svizzera di adottare iniziative parlamentari per il blocco dei finanziamenti all’Unrwa, in particolare sul rilievo che l’incontrollato fiume di miliardi destinato a far sempre più gonfia quell’escrescenza dell’Onu “apre le porte alla corruzione e al dirottamento delle risorse verso le organizzazioni terroristiche”, che finiscono in quel modo “invece di essere utilizzate per costruire un’economia efficiente”.

Altrettanto non può dirsi per il governo del Regno Unito, che ha avuto bisogno della testimonianza di Emily Damari – un’anglo-israeliana rilasciata nei giorni scorsi – per rimuginare con fatica sulla necessità di rivedere le proprie politiche di finanziamento di quel carrozzone, un potentato monopolistico della cooperazione internazionale gravemente compromesso in complicità e strofinamenti conventicolari con il terrorismo palestinese. Alcuni osservatori nel Regno Unito sostengono che il primo ministro Keir Starmer e il ministro degli Esteri David Lammy – quest’ultimo il più pervicace nel tenere gli occhi ben chiusi sull’evidenza delle magagne dell’Unrwa – potrebbero essersi esposti a responsabilità persino giuridica, non solo politica, per aver continuato a usare i soldi dei contribuenti per il finanziamento di attività terroristiche. Una lettura forte della situazione, certo.

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Ma non era meno forte il video in cui personale dell’Unrwa caricava nel baule di un suv e portava a Gaza il cadavere di un ragazzo ucciso il 7 ottobre. Non era meno forte il silenzio davanti all’immagine di un dipendente dell’Unrwa identificato come il responsabile dell’uccisione e del rapimento di dozzine di ragazzi israeliani al Nova Music Festival. Non era meno forte ciò che rompeva quel silenzio, e cioè le “condoglianze” che il primo ministro inglese riteneva di dover rivolgere al capo dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, quando il macellaio a mezzo servizio Onu/Hamas era eliminato dall’esercito israeliano.

Non serve considerare l’Unrwa un’entità terroristica – come Israele la considera e l’ha dichiarata – per decidere che c’è qualcosa che non fila per il verso giusto in un’organizzazione i cui vertici non fanno una piega, anzi reagiscono stizziti, davanti alle dimostrazioni inequivocabili – a dir poco – della propria inadeguatezza nel sorvegliare e correggere quell’andazzo vergognoso. Perché questo è il problema irriducibile: non tanto il fatto che siano documentati quei casi di coinvolgimento dell’Unrwa in attività di favoreggiamento di Hamas, se non addirittura di partecipazione diretta di personale dell’agenzia alle operazioni criminali di quei criminali; quanto il fatto che un simile scandalo – capace di distruggere la presentabilità di qualsiasi altro soggetto politico, civile, istituzionale – non abbia prodotto neppure il più tenue effetto né sulla gestione dell’agenzia né, tanto meno, lungo la linea gerarchica che la presidia.

Sarebbero andate diversamente le cose, e potrebbero andare diversamente da qui in poi, se i contributori del mondo avessero capito per tempo, e si determinassero a capire finalmente, che c’è un abisso di differenza tra sostenere l’Unrwa e sostenere la popolazione palestinese. E che c’è poca differenza – ammesso che ci sia qualche differenza – tra sostenere l’Unrwa e sostenere il terrorismo palestinese.
Chi rifiutasse l’assunto secondo cui Gaza è Hamas e Hamas è Gaza – e ci sono ottime ragioni per rifiutare quell’assunto – dovrebbe riconoscere che il miglior modo di contrastarlo sta nel comprendere che l’Unrwa lavora meno per Gaza che per Hamas. E che i palestinesi dovrebbero essere liberati dal giogo dell’una e dell’altra.





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