DALLAPICCOLA Due pezzi per orchestra LISZT Concerto per pianoforte in LA n. 2 BERLIOZ Roméo et Juliette op. 17 (selezione di brani orchestrali) pianoforte Francesco Piemontesi Filarmonica della Scala,direttore Gianandrea Noseda
Milano, Teatro alla Scala, 17 febbraio 2025
Per il suo debutto al Teatro alla Scala, nella stagione della Filarmonica, Francesco Piemontesi ha scelto il Secondo concerto dell’amato Liszt, in una serata che vedeva tornare sul podio dell’orchestra milanese Gianandrea Noseda. Se l’incontro tra il focoso Noseda e l’elegante e compassato pianista svizzero sulla carta poteva presentare dei rischi, alla prova dei fatti i due musicisti sono riusciti a incontrarsi a metà strada, Noseda mitigando i suoi furori romantici e Piemontesi abbandonandosi al languore della scrittura di questo Concerto, pagina sfuggente nella sua forma fluida e in continua evoluzione e nelle continue svolte tra scatti di virtuosismo e ampie zone di stagnante cantabilità. È un pianista misurato, Piemontesi, e lo si è visto anche in questa serata scaligera, infatti il suo suono non possiede la sensualità di interpreti lisztiani come Louis Lortie e il suo fraseggio si mantiene nei confini di una classica compostezza, eppure ha saputo cogliere le ambiguità del Concerto, anche in virtù dell’intesa con una Filarmonica capace di creare autentiche magie timbriche — penso agli interventi del corno nel primo movimento e all’assolo di violoncello nel secondo — e di assecondarlo in un dialogo spesso a mezza voce, esibendo tra l’altro un suono sensuale e seducente. Quando era necessario, e nel Concerto n. 2 di Liszt lo è spesso, Piemontesi ha poi sfoderato un virtuosismo di gran classe, nell’incisività del tocco come nel volume di suono, per non dire della sicurezza mostrata nell’affrontare i passaggi in doppie ottave, trovando però nel contempo una apprezzabile leggerezza nei momenti in cui la scrittura lisztiana diventa più trasparente, come nello Scherzo.
La seconda parte della serata era dedicata ai numeri solamente orchestrali della sinfonia drammatica Roméo et Juliette di Hector Berlioz, un lavoro visionario in cui si mescolano generi diversi seguendo uno dei principi dell’estetica romantica, che è appunto quello del superamento delle barriere tra generi e forme, anche se in parte irrisolto nella sua complessità e ancora oggi difficile da decifrare all’ascolto. Noseda vi si è immerso fino in fondo, rinunciando a priori alla ricerca di un bel suono, come ha dimostrato subito la ruvidezza del fraseggio iniziale, che in Berlioz sarebbe in ogni caso fuori luogo. La retorica è stata bandita in questa lettura scaligera, cosa sorprendente visto che sul podio c’era un direttore che spesso alla retorica si abbandona senza remore, nel segno della ricerca di una drammaticità tutta interiore, la quale passava attraverso le sfumature delle dinamiche, il languore e i sospiri del fraseggio, gli scatti e l’incisività dei momenti più concitati, concitati certamente ma senza troppa enfasi, perché Noseda teneva sempre tutto sotto controllo.
A fare da contraltare ai turbamenti romantici di Berlioz all’inizio della serata c’erano le visioni serafiche dei Due pezzi per orchestra di Luigi Dallapiccola, che il compositore fiorentino di adozione scrisse nel 1947 rielaborando due Studi per violino e pianoforte pensati per un progettato e mai realizzato documentario su Piero della Francesca. La pittura è quindi la fonte di ispirazione delle due pagine, nelle quali l’elemento visivo-descrittivo in realtà funziona soltanto come punto di partenza per una costruzione fortemente idealizzata, nel segno di un’estrema rarefazione sia del linguaggio, che è quello dodecafonico, sia dei sentimenti. È interessante vedere come in questo caso la geometricità della dodecafonia si sposi con una gentilezza di linee e una pacatezza degli impasti timbrici che rendono i due brani, della durata complessiva di poco più di dieci minuti, particolarmente seducenti all’ascolto. Asciutta e molto misurata è stata la lettura di Noseda e della Filarmonica, una lettura capace di mettere in rilievo le nervature neoclassiche di una scrittura moderna (moderna per l’epoca) applicata però a forme antiche, in particolare nella Sarabanda,il primo dei due pezzi, ma anche nella Fuga che costituisce la parte conclusiva del secondo. L’effetto di straniamento è simile a quello che si prova ascoltando certe composizioni di Stravinskij come Pulcinella o Oedipus rex, uno straniamento però mitigato da un delicato afflato emotivo, colto molto bene da Noseda, tutto italiano ed estraneo all’estetica stravinskiana.
Luca Segalla
Foto: Andrea Veroni
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