Nella Repubblica Democratica del Congo la rabbia e l’ingiustizia vanno oltre Goma

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A Goma la situazione è tra il caotico e il drammatico”, spiega Marco Doneda, vice-capo missione di Medici senza frontiere. La capitale della regione del Nord Kivu, a Est della Repubblica Democratica del Congo, è al momento nelle mani del Movimento 23 marzo (M23), milizia ribelle nata nel 2012 e che il vicino Ruanda, nonostante lo neghi, sostiene e finanzia.

Dopo un assedio durato circa un anno, le truppe dell’M23 sono entrate nella città il 27 gennaio, sfondando la linea difensiva della missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione del Paese (Monusco), e della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), oltre che dei mercenari, per esempio romeni. Una volta dentro la città, l’M23 si è scontrato duramente per un giorno con le Fardc, truppe regolari dell’esercito congolese. Stimano le Nazioni Unite che i morti, sommando militari e civili, si aggirino intorno alle tremila persone. 

Durante la battaglia sono state danneggiate le linee elettriche, comprese le stazioni di pompaggio dell’acqua potabile. “Organizzazioni come Medici senza frontiere -riporta Doneda- hanno dato il cloro ai distributori d’acqua che riforniscono i serbatoi nei quartieri. Inoltre, hanno installato punti di clorazione a bordo del Lago Kivu, perché chi non può pagare il riempimento dei serbatoi nel proprio quartiere possa prendere l’acqua lì”.

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L’assenza di acqua potabile ha peggiorato le condizioni igieniche all’interno della città, contribuendo a scatenare una situazione sanitaria critica. “Poiché nel Lago Kivu sono stati gettati i cadaveri delle persone morte durante i combattimenti, l’acqua del lago non è potabile”, continua Doneda. “Questo aumenta il rischio di contrarre malattie come il colera”.  

La diffusione di patologie gastrointestinali si inserisce in un quadro già complesso, anche perché l’M23 ha dichiarato che non saranno ammessi altri sfollati all’interno dei campi profughi e ha ordinato di far ritorno alle proprie abitazioni a chi si trova lì. “Ma per molti i campi sono gli unici luoghi dove è possibile ricevere assistenza umanitaria -afferma Doneda-. Inoltre al momento in tanti non possono tornare nelle proprie case, perché queste sono state distrutte o -quando si trovano in zone non ancora controllate dall’M23- sono in aree inagibili a causa dei combattimenti ancora in corso”. 

Tra le persone che possono testimoniare le condizioni degli sfollati a Goma c’è Père Jean-Claude Chobowa, missionario saveriano originario di Bukavu, capoluogo della provincia del Sud Kivu. Père Jean-Claude vive in una parrocchia che nelle ultime settimane ha accolto diverse centinaia di persone. “Non c’è stato nemmeno il tempo di contarle -dice-. Per il momento gli sfollati che accogliamo dormono nelle sale qui in parrocchia e nelle aule della scuola. Loro stessi ci domandano dove torneranno, ma non sappiamo dare una risposta”. La parrocchia in cui Père Jean-Claude opera è in una delle zone dove l’accesso all’acqua non è ancora possibile. “Aspettiamo lasciando anche i rubinetti aperti, dirigendo il tubo in un serbatoio, ma l’acqua non arriva”. 

Intanto, la rabbia cresce. Nella capitale Kinshasa, a Ovest del Paese, durante i primi giorni di occupazione della città di Goma per le strade ci sono state manifestazioni anche violente: sono state prese d’assalto le ambasciate di Ruanda, Uganda, Kenya, Belgio, Stati Uniti e Francia. I supermercati sono stati saccheggiati e a chi lavora nel settore diplomatico è stato imposto di fare ritorno al proprio Paese, oppure di non uscire di casa.  

La rabbia deriva da un’ingiustizia che va oltre i confini di Goma. Secondo quanto sostenuto dalla Congolese action youth platform (Cayp) con la campagna iniziata nel 2013 e tutt’ora in corso, ci sono le condizioni per parlare di genocidio. Stupri sistematici come arma di guerra e uccisioni di massa di civili sono solo due degli aspetti caratterizzanti di questo fenomeno. Tuttavia, il termine utilizzato dal gruppo per definire ciò che da anni accade a Est della Repubblica Democratica del Congo è ancora più specifico, ed è Genocost, dall’unione di genocidio e costo, ovvero genocidio per guadagno economico.

Dietro alla catastrofica situazione a Est del Paese c’è infatti il profitto: nelle regioni del Nord e del Sud Kivu si trova oltre il 70% delle riserve di cobalto, minerale utilizzato anche per la costruzione delle batterie di dispositivi elettronici e di auto elettriche. Ma non solo: nei giacimenti in Congo si trovano anche rame, oro e coltan. Il sostegno del vicino Ruanda -alleato delle potenze del Nord Globale, tra cui l’Unione europea– all’M23 permette un controllo dei territori e un’esportazione indebita delle risorse tale per cui il Ruanda può dichiararne la provenienza dai propri giacimenti, che però, rispetto a quelli congolesi, sono quasi inesistenti. Si tratta, di fatto, di un furto. 

“Sento che, anche se la rivolta non è ancora scoppiata, si sta formando nel cuore, nei pensieri, e forse un giorno potrà esplodere”. A parlare è ancora Père Jean-Claude, che in quanto prete oltre a fornire assistenza umanitaria ai rifugiati cerca di dare loro anche uno spazio di ascolto e parole di conforto. “Noi che ascoltiamo spesso le persone, sentiamo che molti nutrono sentimenti di odio, di vendetta contro la situazione che abbiamo di fronte”. Secondo lui questa rabbia “è rivolta sia verso l’esterno del Paese sia verso il suo interno, cioè contro il governo”, al momento guidato da Félix Tshisekedi. Aggiunge che “il Paese è ricco, le multinazionali si arricchiscono grazie ai nostri minerali, ma la popolazione congolese non ne ricava mai nulla. A volte vengono stipulati contratti tra individui e tutto il denaro va a chi ha firmato il contratto con le società minerarie”. L’astio verso la comunità internazionale deriva invece dal suo disinteresse ai problemi del Congo: “è pronta a sostenere anche i ribelli, pur di trarre profitto. Non condanna mai atti di ingiustizia e violenza, come il genocidio in corso”. 

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Per il momento, l’M23 non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali rispetto a come intende governare la città. Nel frattempo, le truppe hanno conquistato anche Bukavu, e minacciano di avvicinarsi a Kinshasa. Père Jean-Claude dice che a Goma “regnano preoccupazione e incertezza. Si pensa che da un momento all’altro la situazione potrebbe ancora cambiare”. Mentre aspettano che qualcuno si occupi di loro, le persone si affidano a dio. “Chiedono il ritorno della pace. Recuperare le proprie terre. Questa è la preghiera di molti: tornare a casa”.

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