“Legge Nordio”, restano appellabili dal Pm le sentenze di assoluzione ante 25 agosto 2024

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Arriva una importante precisazione sugli effetti della cd. “Legge Nordio” del 2024 che, tra l’altro, ha limitato il potere del pubblico Ministero di proporre appello escludendolo avverso le sentenze di proscioglimento per i reati a citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica (articolo 550, co. 1 e 2, c.p.p). Ebbene, per la Quinta Sezione penale, ordinanza n. 6984/2025, le sentenze di proscioglimento emesse prima del 25 agosto 2024, data di entrata in vigore della legge 9 agosto 2024, n. 114, possono comunque essere appellate dal pubblico ministero anche nel caso in cui riguardino i reati indicati dall’articolo 550, co. 1 e 2, Cpp. Non si applica, infatti, la preclusione prevista dall’articolo 593, co. 2, cod. proc. pen., come modificato dall’articolo 2, comma 1, lett. p), legge citata, posto che, in assenza di disciplina transitoria, il principio del tempus regit actum comporta l’operatività del regime impugnatorio previsto all’atto della pronunzia della sentenza, essendo quello il momento in cui sorge il diritto all’impugnazione.

La Suprema corte, riqualificata l’impugnazione come appello, ha così accolto il ricorso del Pg presso il Tribunale di Asti contro la sentenza del 26 giugno 2024 che aveva assolto l’imputato ritenendolo non punibile per particolare tenuità del fatto per il delitto di lesioni aggravate nei confronti del coniuge.

Occorre considerare, scrive la Corte, che, nella formulazione attuale, l’articolo 593, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen. stabilisce che «Il pubblico ministero non può appellare contro le sentenze di proscioglimento per i reati di cui all’articolo 550, commi 1 e 2». E non vi è dubbio che il delitto di lesioni, anche pluriaggravato, rientri tra quelli per cui si può procedere a citazione diretta, per cui, qualora trovasse applicazione la suddetta disposizione, il pubblico ministero non avrebbe potuto proporre appello contro la decisione del Tribunale.

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La sentenza, tuttavia, è stata pronunciata il 26 giugno 2024, ovvero quando era possibile, in forza del primo periodo del comma 2 dell’articolo 593 cod. proc. pen., per il pubblico ministero proporre appello contro le sentenze di proscioglimento. L’impugnazione è stata invece proposta in data 23 ottobre 2024 e, quindi, in data successiva all’entrata in vigore della riforma sopra indicata. Occorre dunque stabilire se, in mancanza di una disciplina transitoria, la nuova disposizione processuale (art. 593, comma 2, cod. proc. pen.) sia applicabile ai casi in cui – come quello in esame – la sentenza, alla quale si riferisce l’impugnazione proposta dopo il 25 agosto 2024, sia antecedente all’entrata in vigore della riforma.

Per la Corte la disciplina regolatrice del fenomeno successorio di istituti processuali non può che ricondursi al principio di cui all’articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale in mancanza di specifica disposizione transitoria che statuisca in senso contrario – impone di fare riferimento alla normativa vigente nel momento in cui deve essere svolta l’attività processuale oggetto di modifica.

E allora richiamando la pronuncia a Sezioni Unite, n. 27614/2007, la Cassazione ricorda che, ai fini dell’individuazione del “regime” applicabile in materia di impugnazioni, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di pronuncia del provvedimento da impugnare e non a quello in cui si propone l’impugnazione. Diversamente, infatti, si potrebbe “determinare una asimmetria tra le posizioni di più parti impugnanti, collegata ai tempi, spesso differenti, per la proposizione dell’impugnazione stessa, a loro volta influenzati da eventi casuali o aleatori (adempimenti di cancelleria, vicende della notifica ed altro)”.

E ancora: “Il potere d’impugnazione trova la sua genesi proprio nella sentenza e non può che essere apprezzato in relazione al momento in cui questa viene pronunciata, con la conseguenza che è al regime regolatore vigente in tale momento che deve farsi riferimento, regime che rimane insensibile a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell’atto che si sono già prodotti prima dell’entrata in vigore della medesima legge, né regolare diversamente gli effetti futuri dell’atto”.

Deve, dunque, prosegue la decisione, “essere tutelato il legittimo affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti, nonché l’esigenza che esse conoscano il momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli; e tale affidamento non può che parametrarsi alla disciplina processuale dell’insieme delle regole sistematicamente organizzate in vista della statuizione giudiziale ovvero con l’inizio dell’attività che caratterizza il rapporto processuale”.

In conclusione, le sentenze di proscioglimento emesse prima del 25 agosto 2024, data di entrata in vigore della legge n. 114 del 2024, possono essere appellate dal pubblico ministero anche ove siano relative ai reati di cui all’articolo 550, commi 1 e 2, cod. proc. pen.



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