Il fondo americano KKR si prende un altro pezzo di ENI


Dopo la stipula del contratto per l’ingresso di KKR nel 25% del capitale sociale di Enilive dell’ottobre scorso, ENI ha ceduto pochi giorni fa un altro pezzo della sua controllata che si occupa di mobilità sostenibile. Prosegue così la scalata dei fondi d’investimento americani nelle aziende strategiche italiane: nello specifico Enilive e KKR hanno firmato un accordo che prevede un incremento della partecipazione del fondo americano in Enilive «attraverso un ulteriore acquisto di azioni Enilive da Eni. L’acquisto sarà pari al 5% del capitale sociale di Enilive, attraverso un investimento addizionale di 587,5 milioni di euro». Cifra che porterà KKR ad un aumento della quota di capitale sociale dal 25% al 30%, portando così l’investimento complessivo nell’azienda a superare i 3,5 miliardi. Secondo Francesco Gattei, Chief Transition & Financial Officer di Eni, «L’ulteriore investimento di KKR conferma l’attrattività di Enilive per il mercato».

Nel comunicato ufficiale di ENI, si legge che «Il closing dell’acquisizione dell’ulteriore 5% di partecipazione è subordinato al rilascio delle autorizzazioni delle autorità competenti». ENI, colosso energetico fondato da Enrico Mattei e controllato per il 30% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso Cassa Depositi e Prestiti SpA, è soggetto, infatti, alla normativa Golden Powers e ai limiti di possesso azionario per la sua rilevanza strategica nel settore energetico. Il Golden Powers è lo strumento normativo che conferisce all’esecutivo la facoltà di porre condizioni o veti in caso di tentativo d’acquisto di una compagnia strategica italiana da parte di una società straniera.

L’investimento di KKR in Enilive è stato effettuato in base alla sua strategia di Infrastruttura Globale, attraverso cui investe in asset infrastrutturali critici nelle Americhe e in Europa occidentale. Istituita nel 2008, da allora KKR è uno degli investitori infrastrutturali più attivi al mondo, gestendo attualmente oltre 77 miliardi di dollari in asset infrastrutturali. Secondo ENI, «L’operazione evidenzia l’efficacia della strategia satellitare di Eni in grado di attrarre capitale per specifici segmenti di business, creando le condizioni per una loro crescita indipendente e dando evidenza del loro effettivo valore di mercato». Lo scorso ottobre, la società aveva spiegato che l’ingresso del fondo statunitense nel capitale sociale rappresenta un vantaggio per lo sviluppo del modello satellitare di Enilive e che, dal punto di vista finanziario, “ottimizza la struttura del capitale di Eni, riducendone la posizione finanziaria netta e mantenendo in capo a Eni il consolidamento e il controllo di Enilive».

Enilive è la controllata del Cane a sei zampe che si occupa principalmente di sviluppare e fornire servizi e prodotti progressivamente decarbonizzati per realizzare la transizione energetica. KKR, invece, è una delle principali società d’investimento globali con sede a New York: da considerare che tra i suoi partner e a capo del gruppo di analisi di scenario c’è David Petraeus, generale dell’esercito americano e capo della CIA (Central Intelligence Agency) nell’amministrazione Obama.  Il governo Meloni sta intensificando i legami con i fondi d’investimento a stelle e strisce, non solo per quanto riguarda ENI, ma anche Tim: lo stesso fondo newyorkese, infatti, ha acquisito la rete Tim tramite la compagnia NetCo dopo l’approvazione del governo Meloni. Anche Tim, infatti, essendo un’azienda strategica per le telecomunicazioni, è soggetta alla normativa Golden Power. Se da un lato, si mettono in luce i presunti vantaggi dell’ingresso di compagnie straniere in aziende italiane, dall’altro il governo e le stesse aziende non considerano i rischi per la sovranità nazionale che ciò comporta.

L’ingresso di fondi e cordate straniere in aziende chiave per la sicurezza nazionale rischia di comportare la perdita della residuale sovranità di Roma sulle sue politiche energetiche e infrastrutturali, permettendo ai fondi americani di incidere sulle decisioni delle compagnie italiane e di avere accesso a dati sensibili. Inoltre, porta avanti quel progetto di privatizzazione degli asset pubblici, pilastro della dottrina neoliberista, volto a ridurre l’influenza dello Stato nell’economia a favore dei grandi investitori finanziari. KKR e BlackRock – il più grande e potente fondo d’investimenti al mondo – rappresentano l’emblema della proiezione della finanza americana nei gangli economici e infrastrutturali del Belpaese. Non a caso, sempre lo scorso ottobre, la premier Giorgia Meloni aveva incontrato Larry Fink (amministratore delegato di Blackrock) per discutere della possibile cessione di alcune aziende a partecipazione statale che il governo vorrebbe privatizzare.

[di Giorgia Audiello]





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