La Conferenza episcopale Usa denuncia la sospensione dei fondi per i rifugiati e avvia un’azione legale contro l’amministrazione Trump. Proteste e iniziative legislative per tutelare i migranti e i luoghi di culto dalla paura dei controlli dell’immigrazione
Dopo una serie di citazioni in giudizio da parte di una coalizione ecumenica e interreligiosa composta da 27 gruppi cristiani ed ebrei, e a seguito di una denuncia dei quaccheri, di una cooperazione battista e di membri di un tempio sikh, anche la Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti (Usccb) ha intentato una causa contro l’amministrazione del presidente Donald Trump. Alla base dell’azione legale vi è la brusca interruzione dei finanziamenti per il reinsediamento dei rifugiati, considerata una decisione illegale e dannosa sia per i nuovi arrivati nel Paese, sia per i programmi di accoglienza.
I vescovi statunitensi, nel contenzioso depositato presso la Corte per il distretto di Columbia, sottolineano che il programma di reinsediamento non è un aiuto estero, ma un’iniziativa nazionale per sostenere coloro che, dopo accurate verifiche, sono entrati legalmente negli Stati Uniti e necessitano di alloggio e inserimento lavorativo.
Inoltre, la causa ribadisce che il congelamento di milioni di dollari, inclusi i rimborsi per i costi sostenuti prima dell’interruzione improvvisa dei finanziamenti, viola diverse leggi e la disposizione costituzionale che attribuisce al Congresso il potere di bilancio, avendo già approvato tali risorse. La Conferenza episcopale denuncia anche le ripercussioni di questa decisione, che ha portato al licenziamento di almeno 50 operatori impegnati nell’accoglienza e al ridimensionamento degli uffici locali di Catholic Charities, la Caritas statunitense. “La Conferenza si ritrova improvvisamente nell’impossibilità di sostenere il suo lavoro di cura delle migliaia di rifugiati che sono stati accolti nel nostro Paese e assegnati alle cure dell’Usccb dal governo dopo aver ottenuto lo status legale”, ha dichiarato l’arcivescovo Timothy Broglio, presidente della Conferenza episcopale. Broglio ha chiarito che la Chiesa “lavora sempre per sostenere il bene comune di tutti e promuovere la dignità della persona umana, in particolare dei più vulnerabili tra noi”.
Al 25 gennaio 2025, erano 6.758 i rifugiati assegnati dal governo alle cure dell’Usccb, i quali, durante i 90 giorni di permanenza nelle strutture, hanno diritto all’assistenza per il reinsediamento.
Ora i vescovi chiedono al governo circa 13 milioni di dollari di rimborsi per le spese sostenute prima del 24 gennaio, sottolineando che alcuni di questi programmi sono stati finanziati direttamente dalla Chiesa per oltre 4 milioni di dollari, senza richiederne il rimborso. Oltre alle cause legali intentate su più fronti, in tutto il Paese sono nate iniziative di protesta, tra cui manifestazioni pubbliche, dibattiti e proposte di legge. Tra queste, il deputato Jesús G. Garcia, dell’Illinois, ha reintrodotto il “Protecting Sensitive Locations Act”, una norma per proteggere i luoghi di culto, gli ospedali e le scuole dai controlli degli agenti dell’immigrazione. Il disegno di legge impedirebbe interventi anche nei pressi delle pompe funebri, delle organizzazioni che assistono bambini o donne incinte, degli uffici della previdenza sociale e dei seggi elettorali.
La paura di essere arrestati dagli agenti dell’immigrazione ha dissuaso molti immigrati dal recarsi nei negozi di alimentari, a messa o persino in ospedale. Le chiese e le congregazioni hanno organizzato servizi di culto virtuali per non mettere a rischio i fedeli e offrono corsi di formazione dal titolo “Conosci i tuoi diritti”. Avvocati appartenenti ai diversi gruppi religiosi si sono resi disponibili per fornire consulenza su come comportarsi in caso di interventi delle autorità durante le funzioni religiose. Inoltre, sono state create reti di supporto per provvedere ai bisogni delle famiglie nel caso in cui un loro membro venga arrestato, garantendo pasti e assistenza ai bambini. Garcia continua a promuovere il disegno di legge, ribadendo che gli Stati Uniti “non possono diventare un governo che normalizza la crudeltà”.
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