Google versa 326 milioni di tasse, adesso BigTech si piega al Fisco

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L’assegno è già stato staccato. Trecentoventisei milioni di euro versati all’Agenzia delle Entrate e finiti nel conto record della lotta all’evasione presentato due giorni fa dal neo direttore Vincenzo Carbone. Alla fine si potrebbe dire che il Fisco e le procure sono arrivati dove persino l’Ocse si è dovuta fermare. Per convincere Google a pagare le tasse dovute in Italia, c’è voluta un’indagine della Procura di Milano, che ha portato il gigante web del gruppo Alphabet, ad accordarsi con il Fisco e a staccare il maxi assegno. La contestazione era di non aver versato le imposte dovute tra il 2015 e il 2019. Ma per i pm milanesi che hanno condotto l’inchiesta, Giovanna Cavalleri, Giovanni Polizzi e Cristiana Roveda, e che hanno chiesto l’archiviazione, non si è trattato di “evasione”, ma di “elusione”. Quello che in termini tecnici si chiama «abuso del diritto». Detto in modo semplice, significa piegare le norme tributarie in modo da pagare poco o niente al Fisco. Google ha raccolto pubblicità on line in Italia fatturandola in Irlanda non versando tasse allo Stato italiano. Ma in realtà, una parte di quelle imposte avrebbe dovuto essere comunque versata secondo il Fisco e la Guardia di Finanza, perché i server sui quali “gira” il motore di ricerca sono in Italia. Significa che la società ha una “stabile organizzazione” nel Paese e, quindi, è tenuta a pagare le tasse. C’è un aspetto di questa vicenda che appare decisamente rilevante. Google, aderendo all’accertamento e pagando la somma richiesta (con un forte sconto sulle sanzioni) ha accettato la tesi del Fisco e della Guardia di Finanza. Significa che ora dovrà regolarizzare, se non lo ha già fatto, anche le dichiarazioni degli anni successivi. E dovrà continuare a versare le tasse anche in futuro. Questo asse tra la Procura di Milano, il Fisco, la Guardia di Finanza, sembra insomma che stia contribuendo a dei risultati strutturali nella lotta all’elusione fiscale delle grandi piattaforme del web. AirBnB ha avuto una storia simile. Nel 2023 ha aderito ad un accertamento fiscale e ha versato 576 milioni di euro per sanare gli anni che vanno dal 2017 al 2021. Di recente ha chiuso le pendenze anche per gli anni successivi, versando in tutto 834 milioni. Booking, il gigante delle prenotazioni on line, al quale era stato contestato di non conteggiare adeguatamente l’Iva, ha accettato di pagare 405,8 milioni di euro. Netflix ha versato altri 55 milioni un paio di anni fa. Alla fine del 2015 Apple ha pagato al Fisco italiano 318 milioni di euro, l’intera somma contestata dall’Agenzia delle Entrate, a seguito di una complessa indagine condotta, dal nucleo antifrode e dall’Ufficio Grandi contribuenti.

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Google versa al Fisco italiano 326 milioni di euro, chiuso il contenzioso tributario

IL MECCANISMO

La società di Cupertino ha siglato un accertamento con adesione accettando tutti i rilievi, creando un precedente importante a livello internazionale. La notizia di questo accordo ha fatto il giro del mondo, ha trovato spazio anche sulle pagine del Financial Times, del Telegraph e del Guardian, di El Pais, di Le Monde, del Times e del New York Times che ha scritto: «è la prima volta che un singolo Paese europeo si focalizza sulla struttura fiscale complessa della società». A Milano sono ancora aperte inchieste, tra gli altri su Amazon e sull’uso degli algoritmi predittivi per aggirare la tassazione dei prodotti di importazione extra europea, mentre di recente è stata chiusa un’indagine che per la prima volta ha affrontato il tema del peso finanziario e fiscale dei dati degli utenti sui social, con profili su Facebook e su Instagram, contestando a Meta l’omessa dichiarazione e il mancato pagamento dell’Iva, tra il 2015 e il 2021, per un totale di oltre 877 milioni di euro. Fino ad oggi il Fisco ha già recuperato quasi 2,5 miliardi da Big Tech. Segno che anche senza la Global Tax, dalla quale Donald Trump ha ritirato gli Usa decretandone la morte, il Fisco ha comunque strumenti per gar pagare il dovuto alle multinazionali della Silicon Valley.

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