Spese di vitto e alloggio e nuovo obbligo di pagamento tracciato

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Per opera dei commi 81-83 della L. 207/2024 (Legge di Bilancio 2025), con decorrenza dal 1° gennaio 2025, trova applicazione una stretta alla fiscalità delle spese di vitto e alloggio sostenute anche per le trasferte dei dipendenti ovvero corrisposte a lavoratori autonomi a titolo di rimborso, imponendo che le stesse vengano pagate con sistemi di pagamento che ne consentano il tracciamento. Si tratta di costi che spesso hanno un impatto significativo sull’operatività quotidiana di imprese, dipendenti e professionisti, essendo in talune realtà di natura ricorrente e diffusa.

 

Premessa

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

La novità introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 rappresenta l’occasione per ripercorrere i tratti salienti della disciplina fiscale applicabile, ai fini delle imposte sul reddito, alle spese di vitto e alloggio.

Assumono rilevanza i seguenti aspetti:

  • il concetto di trasferta del dipendente;
  • la natura del soggetto che sostiene la spesa di vitto e alloggio e, segnatamente, se trattasi di un soggetto diverso dal dipendente oppure di un dipendente;
  • in quest’ultimo caso, il raggio d’azione della trasferta e, quindi, se la stessa prevede uno spostamento del lavoratore all’interno o al di fuori del territorio comunale nel quale è ubicata la sua sede di lavoro;
  • i metodi praticabili per la gestione delle spese di vitto e alloggio sostenute durante la trasferta del dipendente;
  • la documentazione da conservare;
  • a seguito delle novità recate dalla Legge di Stabilità 2025, il metodo di pagamento delle spese di vitto e alloggio.

 

Nozione fiscale di trasferta per il dipendente

Sotto il profilo dell’imposizione diretta, il regime applicabile alle spese di vitto e alloggio varia a seconda che le stesse siano state sostenute dal dipendente in occasione di una trasferta oppure in circostanze differenti. Diventa, quindi, fondamentale inquadrare il concetto di trasferta. Per tale deve intendersi lo spostamento temporaneo del lavoratore dalla sua sede di lavoro.

Va fin da subito chiarito che il concetto di temporaneità non ha una definizione legislativa precisa, di talché occorre affidarsi alle indicazioni dell’Amministrazione finanziaria. Sul punto, la circolare n. 326/E/1997, mentre in relazione ai rapporti di lavoro pubblico ha chiarito che la missione – che rappresenta l’analogo istituto della trasferta applicabile ai dipendenti degli enti pubblici, dei Ministeri e delle Amministrazioni dello Stato – è tale se non si protrae per un periodo superiore ai 240 giorni, nell’ambito dei rapporti di lavoro privato, ha lasciato discreti margini di elasticità alle parti, in quanto si ritiene che non sia direttamente applicabile tale tetto massimo. Tuttavia, il parametro può “essere di ausilio allorquando si renda necessario stabilire se la corresponsione di indennità di trasferta per un periodo particolarmente lungo non nasconda, invece, una diversa fattispecie, come, ad esempio un trasferimento”. Infatti, qualora venga meno il requisito della temporaneità, le somme eventualmente corrisposte a titolo di indennità di missione o trasferta sono, fin dall’inizio, soggette a tassazione secondo i criteri previsti per le normali voci retributive, sempreché non ricorrano i presupposti per una diversa qualificazione e, cioè quali indennità di trasferimento.

Il secondo elemento che definisce la trasferta è la sede di lavoro del dipendente, la quale è rimessa alla libera decisione delle parti ed è successivamente formalizzata nella lettera di assunzione. Sul piano fattuale, trattasi, in pratica, del luogo in cui il lavoratore, una volta terminato lo spostamento temporaneo, fa ritorno per l’espletamento delle sue ordinarie mansioni. Un discorso a parte va fatto per gli amministratori di società. Al riguardo, l’Agenzia delle entrate, con le circolari n. 7/E/2001 e n. 67/E/2001, ha avuto modo di precisare come per alcune attività di collaborazione coordinata e continuativa non sia possibile, in virtù delle caratteristiche peculiari della prestazione svolta, determinare contrattualmente la sede di lavoro né identificare tale sede con quella della società. In tale ipotesi, al fine di individuare la sede di lavoro, occorre far riferimento al domicilio fiscale del collaboratore. Tuttavia, questo criterio può essere utilizzato sempreché:

  • dall’atto di nomina non risulti diversamente individuata la sede di lavoro; oppure
  • l’attività per la quale l’amministratore è stato nominato presupponga che egli si debba recare presso la sede sociale o comunque presso gli uffici dell’azienda.

In sintesi, quindi, mentre per i dipendenti, per verificare se lo spostamento rientra nella nozione fiscale di trasferta, verificandosi l’uscita dal territorio comunale, la base di riferimento è sempre la sede, l’ufficio o lo stabilimento dell’impresa, a seconda di cosa vi sia indicato nella lettera di assunzione, per l’amministratore la sede di lavoro potrebbe coincidere il domicilio fiscale, sicché potrebbe essere considerata trasferta lo spostamento dalla sua abitazione alla sede sociale.

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Trasferte del dipendente all’interno del Comune, dell’imprenditore e professionista

Dipendente all’interno del Comune

Il trattamento in materia di imposte sul reddito delle spese di vitto e alloggio sostenute dal lavoratore in trasferta varia considerevolmente a seconda che lo spostamento abbia o meno travalicato il territorio del Comune nel quale si trova la sua sede di lavoro.

In particolare, quando la trasferta rimane nell’ambito del territorio comunale l’indennità percepita dal lavoratore a titolo di ristoro delle spese sostenute è imponibile in capo allo stesso, concorrendo integralmente alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Peraltro, tale regola trova applicazione per tutte le tipologie di spese[1], non solo per quelle di vitto e alloggio, salvo che per i rimborsi di spese di viaggio e trasporto comprovate e documentate.

Si noti che, in ogni caso, non assume alcuna rilevanza l’ampiezza del Comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro, così come non assume alcun rilievo la eventuale ripartizione del territorio in entità sub comunali, come le frazioni, dovendosi comunque aver riguardo al territorio comunale. Sicché accade che il rimborso del pranzo erogato dal datore di lavoro al dipendente, con sede di lavoro in Milano, recatosi dall’altra parte della città per motivi di lavoro, con impiego di diverse ore, è qualificato come retribuzione imponibile, mentre la stessa indennità erogata al dipendente la cui sede di lavoro è ubicata in un piccolo Comune, che ha effettuato uno spostamento di pochi chilometri, sufficiente però a travalicare il territorio comunale, risulta detassata.

Dal lato del datore di lavoro, i rimborsi delle spese di vitto e alloggio elargite al lavoratore per le trasferte interne al Comune, attesa la loro imponibilità in capo al dipendente, risultano essere deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo. Si badi, però, che non si tratta di una deducibilità integrale, giacché occorre considerare la limitazione contenuta nell’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 109, Tuir e nel nuovo comma 1 dell’articolo 54-septies, Tuir, secondo cui le spese di vitto e alloggio, di fatto diverse da quelle sostenute da dipendenti o collaboratori coordinati e continuativi in occasione di trasferte al di fuori del Comune in cui è ubicata la sede di lavoro, sono deducibili nella misura del 75%, ancorché tassate integralmente in capo al dipendente. In tal senso si è espressa la circolare n. 6/E/2009 affermando che “Deve ritenersi, quindi, che le spese relative a somministrazioni di alimenti e bevande ed a prestazioni alberghiere, se sostenute in occasione di trasferte effettuate dal dipendente nell’ambito del territorio comunale, sono deducibili, ai fini delle imposte dirette, nella misura del 75 per cento del loro ammontare”.

 

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Imprenditore e professionista

Sempre con la circolare n. 6/E/2009, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la limitazione del 75% opera altresì per le spese per prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande sostenute dalla società[2] per le trasferte ovunque effettuate dai suoi soci, sempreché i costi siano inerenti all’attività d’impresa.

La stessa limitazione alla deducibilità opera anche per le spese di vitto e alloggio relative a trasferte:

  • dell’imprenditore individuale e del professionista, sostenute nell’ambito dello svolgimento della propria attività;
  • di un professionista esterno, indipendentemente dal fatto che il costo sia stato sostenuto direttamente dal committente (impresa o a sua volta professionista) oppure oggetto di riaddebito analitico.

Inoltre, nell’ambito del reddito di lavoro autonomo si evidenzia che, sulla base della nuova disciplina applicabile dal 2025:

  • da una parte, i rimborsi delle spese – ivi comprese le spese di vitto e alloggio – sostenute dal professionista per l’esecuzione di un incarico e addebitate analiticamente in capo al committente non concorrono a formare il suo reddito di lavoro autonomo (ex articolo 54, comma 2, lettera b), Tuir);
  • dall’altra, i costi riaddebitati analiticamente al committente non sono deducibili dal professionista (ex articolo 54, comma 1, Tuir).

In questo modo, quindi, a fronte dell’irrilevanza del rimborso della spesa di vitto e alloggio, vi è anche l’irrilevanza del costo.

 

Trasferte del dipendente al di fuori del Comune

Contabilità

Buste paga

 

Il regime delle spese di vitto e alloggio, sostenute dal lavoratore in occasione di trasferte con spostamento al di fuori del territorio comunale, è disciplinato:

  • dal comma 5 dell’articolo 51, Tuir, per quanto riguarda la determinazione del reddito di lavoro del dipendente;
  • dal comma 3 dell’articolo 95, Tuir e dal comma 5 dell’articolo 54-septies, Tuir, per quanto riguarda il calcolo rispettivamente del reddito d’impresa e del reddito di lavoro autonomo, del datore di lavoro.

Il comma 5 dell’articolo 51, Tuir individua 3 diverse modalità per gestire le indennità di trasferta spettanti ai lavoratori. Al riguardo, preliminarmente, si deve ricordare che:

  • la scelta per l’uno o per l’altro metodo deve essere effettuata con riferimento a ciascuna specifica trasferta, senza che il metodo prescelto per una trasferta possa in qualche modo vincolare le altre. In altri termini, se si sceglie di trattare una determinata trasferta con un metodo, le altre trasferte possono essere gestite con un metodo diverso; tuttavia, è evidente che per questioni di semplificazione, nella maggior parte dei casi le imprese scelgono un metodo e lo applicano per tutte le trasferte;
  • quando la trasferta si prolunga per più giornate, una volta scelto un metodo questo deve essere mantenuto sino al termine della trasferta. Pertanto, per un lavoratore con sede di lavoro a Milano che si deve recare per motivi di lavoro a Bologna, e deve rimanere in trasferta per una settimana, non è possibile scegliere un metodo per i primi 2 giorni e un altro metodo per i giorni rimanenti, in base a un calcolo di convenienza: una volta fatta la scelta questa deve essere mantenuta per tutta la durata della trasferta.

Inoltre, si deve tener conto che le spese di viaggio e trasporto sostenute dal dipendente in trasferta, allorché rimborsate in via analitica al lavoratore, devono essere considerate in modo distinto e autonomo rispetto a quelle di vitto e alloggio. Pertanto, esse non vanno computate nelle limitazioni che si diranno di seguito. Il riferimento è ai rimborsi chilometrici erogati dal datore di lavoro al dipendente che ha utilizzato la propria auto per la trasferta, nonché ai rimborsi dei biglietti del treno, dell’aereo, etc..

Ciò detto, le metodologie di gestione dei rimborsi delle spese di vitto e alloggio si differenziano in:

  1. rimborso analitico;
  2. rimborso forfettario;
  3. rimborso misto.

 

Rimborso analitico

La scelta del metodo analitico determina la non concorrenza del rimborso delle spese di vitto e alloggio alla formazione del reddito di lavoro dipendente, indipendentemente dal loro ammontare. Ciò sempreché sia data dettagliata e comprovata dimostrazione delle spese sostenute in trasferta, attraverso i documenti fiscali rilasciati dagli alberghi e ristoranti debitamente riepilogati in apposita nota spese sottoscritta dal lavoratore e consegnata al datore di lavoro. Peraltro, per espressa disposizione della norma, non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente il rimborso di ulteriori spese non documentabili rispetto a quelle evidenziate (ad esempio la lavanderia, il telefono, il parcheggio, etc.), purché risultino analiticamente attestate dal dipendente e per un importo massimo di:

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per lavori di ristrutturazione

 

  1. 15,49 euro, per le trasferte sul territorio italiano;
  2. 25,82 euro, per le trasferte all’estero.

L’eventuale corresponsione, in aggiunta al rimborso analitico, di una indennità, indipendentemente dall’importo, concorre interamente a formare il reddito di lavoro dipendente.

Come contraltare della non rilevanza ai fini del reddito di lavoro dipendente, le spese di vitto e alloggio rimborsate analiticamente al lavoratore in trasferta soggiacciono a precisi limiti di deducibilità in capo al datore di lavoro, sia egli impresa o professionista. Infatti, è previsto che tali indennità possono essere portate in deduzione nel limite giornaliero di:

  1. 180,76 euro, per le trasferte in Italia;
  2. 258,23 euro, per le trasferte al di fuori dei confini nazionali.

Peraltro, la disposizione, con i limiti ivi previsti, opera anche per le trasferte dei collaboratori coordinati e continuativi, quindi tipicamente per gli amministratori.

ESEMPIO 1 – Trasferta da Torino a Milano con rimborso analitico

Un dipendente della società Alfa Srl con sede a Torino si reca in trasferta 2 giorni a Milano sostenendo:

  1. 400 euro di spese per l’albergo;
  2. 150 euro di spese per pranzi e cene.

Le spese di trasferta vengono trattate con il metodo analitico, con la conservazione da parte del lavoratore dei documenti attestanti le spese, la predisposizione della nota spese e la consegna del tutto al datore di lavoro. Ne deriva che in capo al dipendente nulla verrà tassato, attesa l’irrilevanza delle indennità analitiche ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente. In capo alla Srl trova, invece, applicazione il limite giornaliero di deducibilità nella misura di 180,76 euro. Pertanto, le spese sostenute risultano deducibili dal reddito d’impresa fino all’importo di 361,52 euro; l’importo eccedente, pari a 188,48 euro, è invece indeducibile e dovrà essere oggetto di un’apposita variazione in aumento in sede dichiarativa.

Un caso particolare ma molto diffuso nella pratica è quello in cui il dipendente sostiene le spese di vitto e alloggio con la carta di credito aziendale. In tali ipotesi, di fatto, l’onere è direttamente a carico del datore di lavoro, pertanto, il lavoratore non deve essere rimborsato di alcunché. Tuttavia, ai fini della deducibilità dei costi in capo al datore di lavoro, è opportuno gestire tali spese con le stesse modalità dei rimborsi analitici. Sicché il dipendente deve essere istruito a raccogliere tutti i documenti attestanti i costi della trasferta, redigere la nota spese e consegnare quanto predisposto e conservato all’impresa, la quale dedurrà le spese di trasferta avendo riguardo alle limitazioni di legge.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

 

Rimborso forfettario

Il secondo metodo a disposizione prevede l’erogazione, da parte del datore di lavoro al dipendente, di una somma forfetaria a titolo di indennizzo per le spese sostenute per il vitto e l’alloggio durante la trasferta di lavoro. Trattandosi di un rimborso a forfait, non è necessario per il lavoratore conservare i documenti attestanti le spese sostenute nonché redigere la nota spese. Di certo ciò rappresenta una semplificazione operativa non di poco conto per il dipendente; d’altro canto, non consente al datore di lavoro un adeguato monitoraggio dei costi.

Ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 51, comma 5, Tuir, le indennità forfettarie di trasferta sono escluse dall’imponibile:

  1. sino a un limite di 46,48 euro giornalieri, per le trasferte fuori dal territorio comunale ma nell’ambito del territorio italiano;
  2. sino a un limite di 77,46 euro giornalieri per le trasferte all’estero.

Per l’importo eccedente concorrono, invece, al reddito del lavoratore. Difatti, sia i 46,48 euro che i 77,46 euro rappresentano una soglia di irrilevanza fiscale ben potendo le parti stabilire una somma forfettaria superiore. Peraltro, è imponibile ogni altra erogazione aggiuntiva, anche se analiticamente documentata, rispetto all’indennità forfettaria.

Si osservi che le soglie non si modificano qualora la trasferta sia di durata inferiore alle 24 ore o, più in generale, non comporti alcun pernottamento fuori sede. Pertanto, non rileva il fatto che la trasferta duri solo qualche ora oppure si protragga per tutta la giornata: è sufficiente che venga varcato il territorio comunale, affinché il rimborso forfettario possa essere escluso da tassazione in capo al dipendente.

Per quanto riguarda il trattamento in capo al datore di lavoro, le spese di vitto e alloggio rimborsate con il metodo forfettario sono interamente deducibili. La norma, infatti, non pone alcuna limitazione in termini di importi, poiché, semmai l’indennizzo dovesse essere superare le soglie fissate dall’articolo 51, Tuir, come detto, l’eccedenza sarebbe tassata in capo al dipendente[3].

Conto e carta

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ESEMPIO 2 – Trasferta da Bologna a Roma con rimborso forfettario

Un dipendente della società Beta Srl con sede a Bologna si reca in trasferta 7 giorni a Roma sostenendo:

  1. 1.000 euro di spese per l’albergo;
  2. 300 euro di spese per pranzi e cene.

Le spese di trasferta vengono trattate con il metodo forfettario e l’indennità erogata dal datore di lavoro al lavoratore è fissata in misura pari a 200 euro al giorno (1.400 euro complessivi). Ciò significa che il rimborso è imponibile in capo al lavoratore per un ammontare giornaliero di 153,52 euro, quindi per complessivi 1.074,64, rimanendo invece esente da imposizione per un totale di 325,36 euro.

Per la Beta Srl l’intero importo dell’indennità erogata, pari a 1.400 euro, può essere portato in deduzione dal reddito d’impresa.

 

Rimborso misto

Il rimborso misto è una soluzione intermedia rispetto ai 2 metodi “puri”; prevede la gestione delle indennità sulla base di 2 possibili alternative:

  1. il datore di lavoro può rimborsare analiticamente le spese di vitto ovvero quelle di alloggio e riconoscere in aggiunta una indennità forfetaria che se fissata in misura pari ai 2/3 di quella prevista per il metodo forfetario puro non viene tassata in capo al dipendente. Quindi, sino a 30,99 euro, per le trasferte nazionali, e fino a 51,64 euro per le trasferte all’estero, l’indennità non assume rilevanza ai fini reddituali in capo al lavoratore. In capo al datore di lavoro (impresa o professionista), il rimborso analitico subisce i limiti di deducibilità di cui al comma 3 dell’articolo 95, Tuir, mentre l’indennità forfettaria non soggiace ad alcuna limitazione;
  2. il datore di lavoro può rimborsare analiticamente le spese di vitto e quelle di alloggio e, in più, riconoscere una indennità forfetaria che se fissata in misura pari a 1/3 di quella prevista per il metodo forfetario puro non viene tassata in capo al dipendente. Quindi, sino a 15,49 euro, per le trasferte nazionali, e fino a 25,82 euro, per le trasferte all’estero, l’indennità non assume rilevanza ai fini reddituali in capo al lavoratore. Anche qui, in capo al datore di lavoro, il rimborso analitico subisce i limiti di deducibilità di cui al comma 3 dell’articolo 95, Tuir, mentre l’indennità forfettaria non soggiace ad alcuna limitazione.

ESEMPIO 3 – Trasferta da Roma a Firenze con rimborso misto

Un dipendente della società Gamma Srl con sede a Roma si reca a Firenze, per una trasferta di 2 giorni. In relazione allo spostamento il datore di lavoro riconosce al lavoratore una somma di 190 euro, come di seguito dettagliata:

  1. rimborso delle spese di vitto forfetario di 100 euro;
  2. rimborso delle spese di alloggio analitico di 90 euro.

Ne deriva che:

  • il rimborso delle spese di vitto è imponibile in capo al dipendente per 38,02 euro, mentre è interamente deducibile in capo all’impresa;
  • il rimborso delle spese di alloggio è irrilevante sia per il lavoratore che per il datore di lavoro non concorrendo alla formazione del reddito di lavoro dipendente ed essendo interamente deducibile dal reddito d’impresa della società.

 

Documentazione da conservare

Una corretta tenuta della documentazione comprovante le spese di vitto e alloggio sostenute in trasferta dal dipendente è fondamentale quanto si opta per il metodo del rimborso analitico.

Al riguardo, con la circolare n. 188/E/1998 l’Amministrazione finanziaria ha precisato che, ai fini della documentazione delle spese di vitto e di alloggio, sostenute in occasione di trasferte, non è necessaria l’intestazione al dipendente dei documenti, essendo sufficiente che le spese risultino sostenute nei luoghi e nel tempo di svolgimento delle trasferte e che siano attestate dal dipendente mediante nota riepilogativa. Tale principio basato sulla coerenza vale per le spese non documentabili e rimborsabili in esenzione di imposta fino a un importo massimo giornaliero di 15,49 euro (aumentato a 25,82 euro per l’estero).

Si osservi, poi, che ai fini della deducibilità delle spese dal reddito d’impresa o dal reddito di lavoro autonomo del datore di lavoro può essere utilizzato:

  • lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale, sempreché il documento contenga la specifica degli elementi relativi alla natura, alla qualità e alla quantità dell’operazione;
  • la fattura integrata a cura del soggetto emittente con i dati identificativi del cliente.

Va da sé che la documentazione comprovante le spese di vitto e alloggio deve sempre essere conservata quando la trasferta è ovunque effettuata:

  • dai soci della società e dall’imprenditore individuale, per lo svolgimento dell’attività d’impresa;
  • dal professionista, per lo svolgimento dell’attività di lavoro autonomo;
  • da un professionista esterno, nell’ambito dell’esecuzione di un incarico inerente l’attività d’impresa o professionale del committente.

 

Obbligo di pagamento tracciato

Dal 1° gennaio 2025, per effetto dei commi 81-83 dell’articolo 1 L. 207/2024, le spese di vitto e alloggio, sostenute in occasione di trasferte di dipendenti oppure dai lavoratori autonomi, soggiacciono alle regole fiscali fin qui evidenziate, in continuità con il passato, sempreché il relativo pagamento sia eseguito con versamento bancario o postale oppure mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23, D.Lgs. 241/1997 (carte di debito o di credito e prepagate, assegni bancari o circolari).

In particolare, a partire da quest’anno, è previsto che:

  1. i rimborsi delle spese di vitto e alloggio per le trasferte al di fuori del territorio comunale della sede di lavoro non concorrono a formare il reddito del dipendente a condizione che le spese medesime siano pagate con modalità tracciate;
  2. i rimborsi analitici relativi alle spese di vitto e alloggio, sostenute per le trasferte dei dipendenti ovvero corrisposti a lavoratori autonomi, sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo del datore di lavoro o del committente a condizione che le spese medesime siano pagate con modalità tracciate, fermi restando i limiti fissati dall’articolo 95, comma 3, Tuir;
  3. le spese di vitto e alloggio, nonché i rimborsi analitici relativi alle medesime spese, sostenute per le trasferte dei dipendenti oppure corrisposti a lavoratori autonomi, sono deducibili dal reddito d’impresa del datore di lavoro o del committente a condizione che i pagamenti siano eseguiti con modalità tracciate, fermi restando i limiti disposti dall’articolo 95, comma 3, Tuir.

Ciò significa che dal 2025:

  • affinché la spesa di vitto e alloggio, sostenuta per una trasferta al di fuori del Comune, possa essere integralmente detassata in capo al dipendente e deducibile in capo al datore di lavoro (impresa o professionista), è necessario che la stessa sia pagata, ad esempio, con bonifico, carta di debito o carta di credito;
  • affinché la spesa di vitto e alloggio, sostenuta per una trasferta di un dipendente all’interno del Comune, possa essere deducibile per il 75% dell’ammontare in capo al datore di lavoro (impresa o professionista), è necessario che la stessa sia pagata, ad esempio, con bonifico, carta di debito o carta di credito;
  • affinché la spesa di vitto e alloggio, sostenuta da un professionista esterno nell’ambito dell’esecuzione dell’incarico, sia deducibile per il committente (impresa o altro professionista), nel limite del 75% dell’ammontare, è necessario che la stessa sia pagata ab origine, ad esempio, con bonifico, carta di debito o carta di credito. Per il professionista incaricato la spesa, anche se sostenuta e riaddebitata analiticamente al committente, non rappresenta né un compenso imponibile, né un costo deducibile.

L’assenza del pagamento tracciato rende, a seconda del caso, tassata in capo al dipendente e indeducibile in capo al datore di lavoro o al committente la spesa di vitto e alloggio.

Dal tenore letterale della novella normativa parrebbe che la stretta sulla modalità di pagamento non riguardi le spese di vitto e alloggio sostenute direttamente e rimaste a carico del socio di società, dell’imprenditore individuale e del professionista. Ciò in quanto:

  1. con riferimento al reddito di lavoro autonomo, la disposizione condiziona la deducibilità al pagamento tracciato delle sole spese di vitto e alloggio oggetto di addebiti analitici al committente o di rimborsi analitici in favore di dipendenti o professionisti;
  2. con riferimento al reddito d’impresa, la disposizione, peraltro inserita nell’articolo 95, Tuir recante le regole di deducibilità delle “Spese per prestazioni di lavoro”, condiziona la deducibilità al pagamento tracciato delle sole spese di vitto e alloggio oggetto di rimborsi analitici in favore di dipendenti o professionisti.

Resta da capire quale sarà la posizione dell’Amministrazione finanziaria al riguardo, sperando nella tempestività dei chiarimenti, atteso che la materia è destinata ad avere un notevole impatto su una vasta platea di contribuenti.

[1] Compresi i rimborsi chilometrici. Si veda la risoluzione n. 232/E/2002.
[2] Il chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate si riferiva alle società di persone, tuttavia, lo stesso principio è applicabile ai soci di società di capitali nonché all’imprenditore individuale.
[3] Si ritiene che non dovrebbe operare nemmeno la limitazione del 75% contenuta nell’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 109, Tuir, poiché con la circolare n. 6/E/2009 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che “Ai fini della determinazione del reddito d’impresa, il limite di deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande non riguarda quelle di cui al comma 3, dell’art. 95 del Tuir, ossia le spese sostenute dal datore di lavoro per le trasferte effettuate dai dipendenti o collaboratori fuori dal territorio comunale”.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “La circolare tributaria”.

 



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