La Commissione ci consegna un piano segnato in molti aspetti dai nazionalismi. Basti pensare ai tanti usi dell’aggettivo “nostro” contro “loro”; alla declinazione dell’immigrazione in termini meramente sicuritari e alla rimozione dalla lista dei provvedimenti oggetto di discussione parlamentare della proposta di direttiva sull’uguale trattamento fra persone a prescindere dalla religione, dai credi, dalla disabilità, dall’età o dall’orientamento sessuale in quanto nessun accordo appare possibile
La settimana scorsa la Commissione europea ha presentato il suo Piano di lavoro all’Europarlamento, in seduta plenaria. Individua 45 impegni: venti sulla competitività; otto a tema sicurezza, fra cui le politiche migratorie; quattro sul welfare, che non si chiama più tale, ma “sostegno alle persone e rafforzamento delle nostre società e del nostro modello sociale”; cinque sulla sicurezza del cibo, le acque e la natura; tre sulla protezione della nostra democrazia e dei nostri valori, anche grazie a uno scudo della democrazia europea; tre sulla geopolitica e due sulla preparazione dell’Unione per il futuro (quadro finanziario e allargamento). Nell’Unione, la Commissione ha, come noto, potere di iniziativa legislativa. Sapere come intenda muoversi è dunque cruciale.
Il Piano non entra nel dettaglio delle misure. Neppure possiamo giovarci di indicazioni aggiuntive da parte della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen assente all’evento, come lamentato da molti e molte europarlamentari. Quanto indicato, tuttavia, offre diversi elementi di preoccupazione.
Prima delle elezioni, nel libro Quale Europa (Donzelli 2024), scrivevamo «Si sfidano oggi, e continueranno a sfidarsi dopo le elezioni, tre idee diverse di Europa: quella che ha governato gli ultimi cinque anni, che, pur compiendo passi in avanti in campo digitale, ambientale e di autonoma capacità di investimento, resta profondamente segnata dalla cultura neo-liberista; quella conservatrice-autoritaria, che al neoliberismo cerca di affiancare nazionalismo e corporativismo, giocando “sociale” contro “ambientale”, “noi” contro “loro”; e, poi, una terza idea, quella di un’Europa di giustizia sociale e ambientale e di pace».
Linea conservatrice autoritaria
Ebbene, il Piano offre ben pochi rimandi alla terza idea. Preminenti appaiono le altre due idee. In linea con l’idea conservatrice-autoritaria, vi è un largo uso dell’aggettivo “nostro” contro “loro”; la declinazione dell’immigrazione come questione meramente sicuritaria e la rimozione dalla lista dei provvedimenti oggetto di discussione parlamentare della proposta di direttiva sull’uguale trattamento fra persone a prescindere dalla religione, dai credi, dalla disabilità, dall’età o dall’orientamento sessuale in quanto nessun accordo appare possibile.
In linea con l’idea liberista è l’enfasi attribuita alla semplificazione, senza alcun cenno alla necessità di distinguere fra buona e cattiva regolamentazione. Colpisce, al riguardo, l’inclusione, all’ultimo momento, della direttiva sulla Responsabilità dell’Ia nell’elenco degli atti legislativi da ritirare, così come la scelta del Green Deal e delle direttive sulla Due diligence delle imprese quali ambiti primari per la semplificazione. Con l’eccezione della decarbonizzazione, anche la crescita, tanto invocata, non ha mai qualificazioni, con buona pace degli obiettivi dello sviluppo sostenibile e con una fiducia nei confronti della logica dei due tempi – prima si cresce e poi si contrastano eventuali costi – nonché della finanziarizzazione, che appare del tutto cieca alla realtà. Proprio il modello di crescita americana che ha contribuito alla vittoria di Trump continua, inspiegabilmente, a essere il riferimento.
Welfare, questo sconosciuto
La dimensione sociale appare, al contempo, largamente trascurata. Il Piano cita genericamente il pilastro sociale, ma resta fuori dal perimetro considerato la democrazia economica, l’attenzione all’equità nella transizione ambientale, il contrasto alle disuguaglianze, l’accesso alla conoscenza, la direzione dell’innovazione e i semplici diritti di cui già si è discusso, come diritto alla disconnessione. Inoltre, ben due dei quattro impegni sociali citati hanno a che fare con la competitività e i consumatori, e, comunque, tutti e quattro hanno solo una dimensione non legislativa. La spesa per la difesa fa, inoltre, la parte del leone, rischiando di compromettere fortemente la capacità dei paesi membri di sostenere i propri Stati sociali.
Data questa realtà, diventa cruciale nei prossimi mesi monitorare i lavori della Commissione, mettendone a fuoco gli effetti per lo stare bene delle persone. Crescere è importante, e la necessità di cambiamenti nella politica economica dell’Unione è evidente. Ma un conto è subordinare gli imperativi dello star bene a quelli della crescita, e un altro è una crescita finalizzata a farci stare bene sotto il profilo sociale e ambientale.
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