così una sentenza riscrive il reato

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La sentenza del tribunale derubrica la tortura ad abuso di autorità. Una decisione che apre le porte alla possibilità di revisione del reato auspicata dal governo  

Da Reggio Emilia arriva una sentenza che apre le porte alla revisione del reato di tortura, come auspicato dal governo e dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove, padrone delle carceri italiane.

Un pronunciamento apripista, quello firmato dalla giudice Silvia Guareschi, che è stato salutato con favore dal Sappe, sindacato vicino all’esecutivo, che auspica un intervento legislativo per rivedere l’articolo 613 bis, introdotto nel nostro ordinamento solo nel 2017. Incappucciare, colpire, trascinare un detenuto non è tortura, ma una misura di rigore non consentita, secondo il verdetto e, in attesa delle motivazioni, si può già evidenziare un dato.

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La sentenza è completamente difforme rispetto a pronunciamenti per fatti meno gravi, puniti con pene pesanti e con il riconoscimento del reato di tortura, in questo caso derubricato ad abuso di autorità. Ma su cosa ha deciso la giudice?

Il cappuccio

È il 3 aprile 2023, il carcere è quello di Reggio Emilia. Un detenuto tunisino ha appena avuto un confronto molto animato con la direttrice, alla quale ha riservato pesanti insulti, contestando rapporti disciplinari e l’isolamento.

Poco dopo inizia l’inferno: un drappello di agenti lo porta nel corridoio, lo incappuccia, lo sgambetta dando vita a qualcosa di «brutale, feroce e assolutamente sproporzionato rispetto al comportamento del detenuto», così scriveva il giudice Luca Ramponi nell’ordinanza che disponeva la temporanea interdizione per gli agenti. È il video, che Domani aveva pubblicato, a raccontare quanto accade, all’esito delle violenze. Il recluso viene denudato, chiede di essere condotto in infermeria, ma la sua richiesta viene ignorata e così rompe il lavandino, si ferisce e comincia a sanguinare fino a quando viene visitato.

Pochi giorni dopo, difeso dall’avvocato Luca Sebastiani, presenta una denuncia. Anche il tribunale del Riesame ha confermato l’ipotesi di tortura formulata dai pm e validata dal giudice per le indagini preliminari, in quel pronunciamento aveva ritenuto di non aderire alla richiesta della difesa di attribuire una rilevanza diversi ai fatti derubricando il tutto all’articolo 608, abuso di autorità. Il reato per il quale sono stati, invece, condannati gli agenti dalla giudice del tribunale di Reggio Emilia.

«Le immagini sono chiare ed inequivocabili. Incappucciare un uomo significa oggettivizzarlo, disumanizzarlo; calpestarlo e picchiarlo, quando era già bloccato, vuol dire trattarlo come una cosa; strappargli i vestiti di dosso, lasciandolo nudo e totalmente esposto al ludibrio è un gesto totalmente gratuito e umiliante, tale da azzerare quel residuo di dignità che forse ancora aveva. In uno stato di diritto ciò si chiama tortura. Siamo profondamente amareggiati, leggeremo le motivazioni e chiederemo un nuovo giudizio di merito», dice Sebastiani.

L’uso della federa al capo non sembra un caso isolato. «Lo stesso si presentava con una federa bianca legata al collo, era a piedi nudi, le manette ai polsi, il volto tumefatto, a stento riusciva a camminare (…) Appena liberati i polsi il detenuto portava la mano alla bocca, estraeva una lametta e veniva bloccato, ‘lasciami tagliare qualcuno, guarda cosa mi hanno fatto’», si legge in una relazione allegata agli atti per un caso poi archiviato.

Nella vicenda, approdata a sentenza, invece, sono le immagini a immortalare l’episodio, per il quale otto agenti sono stati condannati per abuso di autorità, percosse, i reati inizialmente contestati erano tortura e lesioni. «Sono soddisfatto per la derubricazione del reato di tortura e ricorreremo in appello per la posizione del mio assistito condannato per falso. Il video non è rappresentativo dell’intera vicenda, la decisione arriva anche alla luce dall’acquisizione di documenti e testimonianze che hanno condotto a questo verdetto», dice l’avvocato Federico De Belvis, difensore di quattro agenti, ed esponente locale di Fratelli d’Italia.

Il legale tiene distanti le aule di giustizia dall’attività politica. Ma dopo la sentenza i sindacati di area spingono per un intervento di modifica del reato.

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