Considerato come “grazia o disgrazia” il ritorno del lupo in varie aree europee, tra cui Alpi e Balcani, è un dato di fatto. Per raccontare le sfide e le prospettive di una convivenza difficile, Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini ci invitano ad entrare “nelle tracce del lupo”. Una recensione
Negli ultimi tempi non c’è paese dagli Appennini ai Balcani, passando per le Alpi, in cui non si segnali la presenza o il ritorno dei lupi. C’è chi lo vive come una grazia chi come una disgrazia. I lupi sono tornati! nei boschi e nelle campagne, nei monti e nelle pianure, nelle cronache e nelle fantasie. Qualcuno evoca la bontà della Lupa capitolina che allattò Romolo e Remo, altri la ferocia del Psoglav, leggendaria creatura balcanica con testa di lupo e corpo di uomo.
Quello del lupo è un ritorno osteggiato o festeggiato, benvoluto o malvoluto, comunque di stringente attualità. Non solo nelle cronache locali ma anche nelle norme giuridiche, visto che è di qualche settimana fa la decisione del Comitato Permanente della Convenzione di Berna per ridurre la protezione del Canis lupus da “specie di fauna strettamente protetta” a “specie di fauna protetta”.
Una decisione che, secondo le associazioni ambientaliste e animaliste, di fatto renderà più facile tornare a uccidere i lupi, mentre secondo quelle contadine e pastorali, permetterà di tornare a difendersi dai lupi o a gestirli, per utilizzare parola più ecologicamente corretta.
Perché purtroppo esiste anche un pericoloso ecologicamente corretto e non solo un politicamente corretto e un artisticamente corretto, da cui ci ha recentemente messo in guardia Mauro Covacich.
Comunque la si pensi, certe sono le difficoltà di convivenza tra la specie animale più invasiva e feroce, quella umana, e le altre specie selvatiche, anche in Europa a partire da tre grandi mammiferi: cinghiale, orso e lupo. Una convivenza conflittuale che s’intreccia con una comunanza montanara tra la penisola italiana e quella balcanica, rinnovata da una recente storia lupesca che ha il sapore della favola.
È quella di vuk Slavak e di lupa Giulietta, lui originario delle montagne istriane, lei forse appenninica, incontratisi in Lessinia, Prealpi nordorientali. Anno 2012, origine del primo, nuovo branco di lupi alpini, che in una decina d’anni ha raggiunto i 40 esemplari. Nuovo perché sulle Alpi i lupi erano scomparsi, per mano dell’uomo, alla fine dell’Ottocento.
Una favola raccontata da Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini in Nelle tracce del lupo, pubblicato recentemente da Ediciclo (pp 125, 15 €). Un libro ispirato da un originale e interessantissimo podcast che i due hanno realizzato per RaiPlay Sound nel 2022, ancora ascoltabile.
Un lavoro narrativo incominciato tre anni prima, quando si sono messi nelle tracce del lupo e non sulle, perché essere nelle sue tracce significa anche rinunciare a vederlo, perché non è importante vederlo, ma sentirlo ascoltando la sua voce o quella di chi lo ha studiato, osservato, fotografato, come hanno fatto Sapienza e Pavolini nel loro lungo viaggio.
Ricco di incontri con biologi e poeti, guardiacaccia e pittori, pastori ed escursionisti, portatori di diverse emozioni e istanze, perciò capaci di arricchire un racconto dedicato a questo intrigante predatore, ma anche ai suoi significati nella cultura, storia, economia e geografia italiana.
Un lavoro che offre spunti per riflettere oggi, dentro una temperie climatica con nefasti effetti quotidiani, sui significati del limite, del sacro o per essere più prosaici sull’ecologia spontanea, rinnovando la lezione di uno dei padri dell’ambientalismo, l’americano Aldo Leopold (1887-1948), erede di Henry David Thoreau (1917-1862).
Una riflessione urgente, non rimandabile non solo per cercare di affrontare problemi economici e sociali enormi, ma anche per vivere meglio. Perché se “Nella natura selvaggia sta la salvezza del mondo” allora ognuno di noi deve cercare un suo ambiente selvatico, riprendendo una parola chiave del pensiero di Mario Rigoni Stern (1921-2008).
Un libro che non tralascia le problematiche conflittuali tra lupi e montanari, coloro che non vivono in maniera frivola e occasionale la montagna, ma presidiano e curano il territorio, stretti in una diabolica morsa economica: voracità turistica e abbandono abitativo. Frutto anche di annosi conflitti tra chi vive a valle e a monte. “Maggiore umiltà e attenzione da entrambe le parti farebbero bene allo sguardo selvatico, inclusivo per definizione”.
“Al lupo! Al lupo!”, urla un giovane pastore nella favola di Esopo. “Il lupo! Il lupo!”, sussurriamo noi all’orecchio di un figlio o un nipote accompagnandolo nelle tracce del selvatico, anche quello che circonda le nostre città, che stringe le nostre strade, che profuma le nostre periferie.
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