Pestaggio in carcere a Reggio Emilia, condannati 10 agenti. Ma non fu tortura.

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Pene basse e reati riqualificati nel processo a carico dei poliziotti penitenziari accusati, a vario titolo, di aver pestato un detenuto tunisino il 3 aprile 2023. La tortura è stata ridimensionata ad abuso di autorità, in pratica incappucciare e colpire un recluso è «una misura di rigore non consentita». Regge invece l’accusa di falso verso tre agenti. L’avvocato della vittima: «Attonito e preoccupato».

Un detenuto incappucciato, senza la possibilità di vedere, colpito, picchiato e trascinato per metri. È accaduto nel carcere di Reggio Emilia, il 3 aprile 2023, ma non fu tortura, lo ha stabilito la giudice del tribunale, Silvia Guareschi, che ha derubricato il tutto ad abuso di autorità contro un detenuto, articolo 608 del codice penale. Non furono lesioni, ma percosse aggravate. Così nel giudizio abbreviato gli agenti sono stati condannati a pene basse, in dieci erano a processo per le violenze avvenute all’interno dell’istituto, lo scorso anno, nei confronti di un detenuto tunisino, rivelate da Domani con la pubblicazione in esclusiva dei video. Secondo la giudice incappucciare un detenuto, colpirlo e trascinarlo non è tortura, ma l’applicazione di «misure di rigore non consentite», come recita l’articolo del codice penale che punisce l’abuso di autorità. 

Nel pomeriggio di lunedì 17 febbraio si è chiuso il processo nei confronti degli agenti in abbreviato con il ridimensionamento delle contestazioni originarie nei loro confronti che erano, a vario titolo, di tortura, lesioni e falso. Quest’ultima accusa ha retto per i tre imputati a cui era contestata. 

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Le condanne nei confronti dei dieci agenti vanno da quattro mesi a un massimo di due anni, pena sospesa e non menzione.

La sentenza contestata

In tribunale erano presenti anche molti parenti e colleghi degli imputati, che hanno atteso insieme a loro e ai difensori per tutta la giornata la lettura arrivata alle 19.15 dopo quasi quattro ore di camera di consiglio. Una sentenza che fa discutere perché in altre occasioni, ad esempio per i fatti accaduti nel carcere di San Gimignano, aveva retto l’imputazione di tortura nonostante una minore gravità delle condotte. Anche in quel caso c’era il video, un trasferimento di un cittadino straniero che è stato prelevato a forza dalla sua cella e condotto in un’altra, un trattamento inumano e degradante, definito «un’aberrante opera di pedagogia carceraria» dai giudici che hanno condannato in primo grado a pene severe gli agenti per tortura.

In questo caso le condotte sono manifestamente più gravi, ma la giudice ha ridimensionato la portata delle violenze accadute il 3 aprile 2023 nel carcere emiliano ai danni di un detenuto tunisino. Inizialmente le difese avevano parlato del rinvenimento di diverse lamette, ipotesi mai confermata in dibattimento, per quelle attestazioni sono arrivate le condanne per falso. La difesa ha sempre parlavano di un detenuto fuori controllo che, nel tentativo di divincolarsi, era caduto sul pavimento e, per evitare che si ferisse o che ferisse qualcuno, era stato trattenuto per 5 minuti in quella posizione. Prima i pubblici ministeri, poi il giudice, così come il tribunale del riesame avevano, invece, confermato l’ipotesi della tortura. 

Gli imputati sono ancora tutti sospesi dal servizio. «Sono perplesso, preoccupato e attonito», ha detto l’avvocato Luca Sebastiani che difende il detenuto, vittima del pestaggio, che si è costituito parte civile. «Leggeremo le motivazioni con attenzione ma la sentenza di oggi ci lascia attoniti e francamente preoccupati. Quello che è successo nel carcere di Reggio Emilia quel giorno è un fatto gravissimo, un qualcosa che esula dai limiti del nostro ordinamento e che non dovrebbe accadere a nessuno e per nessuna ragione. Il detenuto, inerme, bloccato e già privato della libertà è stato incappucciato, calpestato, pestato, denudato con violenza, anche delle mutande. Una condotta di questo genere, in uno stato di diritto, non può che essere definito come tortura. Tuttavia, di fronte a fatti così gravi ci deve essere una linea che separa ciò che è giusto da ciò che non lo è. Ed in questo caso, basti guardare le riprese del sistema di videosorveglianza, questo confine è stata senz’altro superato», dice Sebastiani.

Le reazioni

La giudice ha riconosciuto 10mila euro di provvisionale al detenuto e il risarcimento da liquidarsi in sede civile, oltre che al tunisino, ai garanti nazionale e regionale (il garante dell’Emilia-Romagna Roberto Cavalieri era presente in aula) e alle associazioni Antigone e Yairaiha Ets. «Sono soddisfatto  per la derubricazione del reato di tortura e ricorreremo in appello in ogni caso», dice l’avvocato Federico De Belvis, difensore di tre agenti. De Belvis è anche esponente locale di Fratelli d’Italia, partito da sempre critico con il reato di tortura. «La sentenza ha ascoltato le nostre tesi, se c’erano state sbavature, come le abbiamo definite, certo non si poteva parlare di fatti di tortura», ha detto Nicola Tria, difensore di un altro imputato. «È stato un contenimento di un detenuto molto problematico, prima di venire a Reggio Emilia era stato allontanato da altri carceri», ha aggiunto l’avvocato Pier Francesco Rossi.

La pubblicazione del video del pestaggio non era stata gradita, a chi scrive erano arrivati messaggi anonimi sui social, uno aveva questo tenore: «Lei è un uomo imbarazzante (…) Siete dei criminali! Spero che finisca lei a processo, lei mi imbarazza. Che schifo». Nella comunicazione anonima si fornivano dettagli relativi alla vittima del pestaggio, destinatario di «32 rapporti disciplinari (…) violento, aggressivo, sobillatore», continuava l’anonimo molto informato. Una vicenda che non è chiusa, ora si attende il deposito delle motivazioni e i successivi, già annunciati, ricorsi delle parti. 

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