Pensioni, non solo Fornero. Ecco perché non devi aspettare 67 anni per smettere di lavorare

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Spesso si pensa che in Italia, a causa della riforma Fornero del 2011, si vada in pensione molto più tardi rispetto ad altri Paesi. La soglia di riferimento è quella della pensione di vecchiaia, fissata a 67 anni, considerata l’età legale per il pensionamento e utilizzata come parametro anche per l’accesso all’Assegno sociale e alla Pensione di inclusione – variante dell’Assegno di inclusione – destinata ai nuclei familiari composti esclusivamente da persone anziane o disabili.

Ma la pensione di vecchiaia non è l’unica strada per smettere di lavorare. Esistono numerose alternative e deroghe, alcune previste dalla stessa legge Fornero, altre introdotte nel tempo dai vari governi per offrire canali di accesso agevolati.

Tant’è che i dati Inps dimostrano che in Italia si va in pensione in media prima dei 67 anni. L’età media effettiva di pensionamento, infatti, negli ultimi anni si è attestata intorno ai 64 anni, un valore che ridimensiona molte convinzioni diffuse.

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Se confrontiamo questi dati con il resto d’Europa, scopriamo che la differenza non è così marcata: in Francia l’età minima è 62 anni (che saliranno a 64 entro il 2030 con la riforma Macron), in Svezia bastano 61 anni (ma anche qui si prevede un innalzamento a 64), mentre in Belgio si va in pensione a 66 anni, destinati a diventare 67 nel 2030.

Parlare di un “addio” alla legge Fornero può sembrare una provocazione, ma serve a sfatare molti luoghi comuni. Vediamo dunque perché, nonostante tutto, in Italia si smette di lavorare prima di quanto si creda.

Quando si va davvero in pensione in Italia

Anche nel 2025 l’opzione più gettonata per andare in pensione in Italia è quella di vecchiaia, il cui requisito anagrafico è stato portato per tutti a 67 anni dalla legge Fornero (tenendo conto anche degli incrementi dovuti alle speranze di vita avvenuti in questi anni).

Tuttavia, come anticipato, non è l’unica opzione e ciò fa sì che in media in Italia si vada in pensione molto prima dei 67 anni. A confermarlo è il Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano 2024, riferito al 2023, curato dal Centro studi e ricerche itinerari previdenziali sulla base dei dati ufficializzati dall’Inps.

Qui ne risulta un’età effettiva per il pensionamento che nel 2023 è stata pari a 64,2 anni, non tanto più alta rispetto alla media Ue pari a 63,6 anni. Il merito di questa notevole differenza rispetto all’età richiesta per la pensione di vecchiaia è data appunto dalle misure alternative, molte delle quali già previste dalla riforma Fornero.

Ne è un esempio la pensione anticipata che oggi consente l’accesso alla pensione indipendentemente dall’età anagrafica, a patto di aver maturato almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. A questa si aggiunge poi l’opzione riservata ai precoci, dove l’accesso alla pensione avviene con soli 41 anni di contributi, come pure le nuove misure di flessibilità di recente confermate dalla legge di Bilancio come Quota 103 con cui il collocamento in quiescenza è possibile a 62 anni di età e 41 anni di contributi e Opzione Donna (61 anni di età e 35 di contributi).

Come spiegato nel Rapporto, bisogna tener conto del fatto che le pensioni anticipate sono molte di più di quelle di vecchiaia, incidendo così sull’età media del pensionamento.

Serve davvero l’addio della legge Fornero?

Alla luce di queste considerazioni non ha senso parlare ancora di cancellazione della legge Fornero, specialmente considerando i benefici che una tale riforma ha avuto. Per quanto odiata dai lavoratori, infatti, la legge del 2011 è servita per mettere in sicurezza il sistema previdenziale italiano, permettendo di risparmiare oltre 30 miliardi di euro (di cui 22 miliardi erano già stati recuperati al 2020).

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Tant’è che lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che in queste condizioni, tenendo conto principalmente della situazione demografica italiana, non ci sono riforme sostenibili per il nostro Paese.

Senza dimenticare poi che una volta che tutte le pensioni saranno calcolate con il contributivo, intorno al 2030 secondo le stime, sarà maggiormente possibile pensare a soluzioni di flessibilità visto che l’uscita anticipata sarebbe a carico del lavoratore. Il tutto però facendo attenzione all’importo dell’assegno, in quanto dovrà comunque essere sufficiente per garantirsi una vita tranquilla senza pesare sulle casse dello Stato con la richiesta di misure assistenziali.

Un punto su cui la stessa Elsa Fornero, autrice della riforma tanto contestata, si era espressa favorevolmente in un’intervista rilasciata qualche tempo fa a noi di Money.it.



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