Migranti: sempre più italiani e stanziali

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 La foto di un paese in cui il numero della presenza di origine migrante non cresce perché diventa italiana

Trent’anni di numeri per raccontare un fenomeno complesso e sfaccettato come quello migratorio che, per essere visto come opportunità, ha bisogno di una politica che faccia quadrato tra chi studia questa realtà e le esperienze che già esistono e se ne occupano, come ad esempio i corridoi umanitari. Con questa premessa è iniziata oggi la presentazione del 30esimo Rapporto sulle migrazioni Ismu. 

Un Rapporto che racconta di quasi 6 milioni di persone (5 milioni e 755mila) di origine straniera che risiedono in Italia in maniera sempre più stanziale e regolare. Cui si aggiungono quelle prive di regolare permesso, che però rispetto agli anni scorsi sono in calo, attestandosi a circa 321mila, con una diminuzione di 137mila rispetto all’anno precedente.  

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Una presenza sempre più regolare, stanziale che diventa italiana. 

Un dato, questo dei quasi 6 milioni, che si mantiene costante nel tempo per un aspetto non secondario: crescono le acquisizioni di cittadinanza. Cioè il numero delle persone che non solo decidono di vivere in Italia, ma chiedono di diventarne cittadine e, così facendo, scompaiono dai radar del conteggio dell’esser straniero, facendo sì che da tempo si rimanga fermi sulla stessa soglia.

Nel corso del 2023 infatti, sono state registrate 214mila acquisizioni, per un totale di circa un milione e 700mila nuove cittadine e cittadini italiani dall’anno 2011. 

Quando si parla di migrazioni dunque, si dovrebbe parlare meno di sbarchi (in netto calo) e più di consolidamento. Vista la crescita della popolazione residente di origine straniera, che ha registrato un incremento di quasi tre milioni tra il 2001 e il 2011, e di regolarità, nonostante la difficoltà che ancora oggi si registra nell’ottenimento non solo di permessi e documenti, ma anche di ingressi attraverso il sistema dei flussi. Secondo quanto riportato da Livia Elisa Ortensi del settore statistica Ismu, che ha proiettato e commentato dati e numeri. 

Numeri che raccontano di come esistano due Italie, con al nord una popolazione di origine straniera più numerosa e stabile che, forte di una presenza regolare sul territorio, chiede cittadinanza (87,7%) e mette su famiglia, facendo nascere i propri figli e figlie (94% dei minori senza cittadinanza nati in Italia) nel nostro paese. 

Il 65,4% di chi frequenta la scuola è nato in Italia 

Tra gli oltre 8 milioni di studentesse e studenti frequentanti le scuole, dall’infanzia alle superiori, l’11,2% è figlio o figlia di genitori non italiani. Nel 65,4% dei casi nato in Italia.

Un aumento costante dai primi anni Novanta, in cui la popolazione scolastica con origine straniera era di sole 31mila persone, e che nell’anno scolastico 2022/23, principalmente a causa dell’arrivo di minori dall’Ucraina, è arrivato a 914.860 minori frequentanti.  

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Una presenza che, a sentire Mariagrazia Santagati del settore educazione Ismu, ha tutt’oggi luci e ombre. Perché se è vero che la scuola è il centro di una integrazione/inclusione, rimangono alcuni ritardi e soprattutto preoccupazioni per l’accesso dei minori stranieri non accompagnati: solo uno su cinque dei msna infatti frequenta la scuola.  

Dopo trent’anni persistono ancora diseguaglianze, seppur in calo. Se per chi nasce e cresce in Italia, avendo la possibilità di iniziare e concludere il proprio percorso per intero, le difficoltà di rendimento scolastico di fatto calano, rimane un ritardo rispetto al ciclo di studi.

Soprattutto per chi si inserisce nelle scuole in corsa: nel 2022, il 28,7% dei ragazzi stranieri tra i 18 e i 24 anni aveva interrotto gli studi alla licenza media, rispetto al 9,7% di coloro che hanno la cittadinanza italiana, mentre il 29% tra chi aveva i 15 e i 29 anni non frequentava la scuola, contro il 17,9% degli italiani. 

Cittadinanza, lavoro e diritti 

Quando si parla di persone minori figlie e figli di genitori stranieri, torna a imporsi il tema della cittadinanza che, fa notare il professor Ennio Codini dell’università Cattolica Sacro Cuore, in Italia continua a essere condizionato dal legame che si è soliti fare con il governo dei flussi. “Un legame errato – secondo il docente –, che fa sì che il tema diventi conflittuale, mentre deve essere chiaro che modificare la legge sulla cittadinanza non ha alcun impatto sui flussi migratori. È un tema quello degli sbarchi che nulla a che fare con quello delle naturalizzazioni. La cittadinanza è invece legata al tema della integrazione, che deve accompagnare e promuovere. Per cui la domanda da porsi è quale sia la legge più adatta affinché questo avvenga tra chi nasce o cresce qui”. 

E se quando si parla di cittadinanza si fa riferimento soprattutto alle persone minori presenti sul territorio, una nota di realtà la aggiunge Laura Zanfrini del settore economia, lavoro e welfare di Ismu: “Cittadinanza non è solo appartenenza, ma anche tensione verso una eguaglianza. Oggi invece continuiamo a vedere che le persone di origine straniera ricoprono lavori poveri e a salari bassi quale modello di integrazione corrisponde? Discutiamo di diritto di cittadinanza,ma tolleriamo lo schiavismo. Le stesse aziende che parlano di benessere dei dipendenti vedono morire lavoratori sottopagati nelle catene dei subappalti”. 

Così, se è vero che nel 2023, c’erano 2 milioni e 317mila persone straniere occupate, rispetto alle 160mila dell’inizio degli anni ’90. “I lavori – prosegue Zanfrini – rimangono principalmente non qualificati per gli stranieri, anche se dobbiamo sottolineare un cambiamento con le cosiddette seconde generazioni che accedono a professioni più qualificate”.  

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Con un gap però non banale nel tasso di occupazione: tra le persone laureate di origine straniera ammonta a 69,6%, rimanendo inferiore di 15,7 punti percentuali rispetto a quello dei laureati italiani. Spesso poi, si sa, l’origine diventa pregiudiziale e ingabbia in determinati tipi di occupazione. Anche quelle in cui vengono messe le cosiddette quote d’ingresso con i decreti flussi, emblematico è il caso del lavoro domestico. 

 





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