Meloni, Trump, il Governo, la tentazione di elezioni anticipate

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L’arrivo di Trump alla presidenza Usa, con i suoi roboanti decreti attuativi, mediante i quali si ripromette di mettere a soqquadro i rapporti internazionali, sta avendo alcuni rilevanti effetti anche sull’attività del governo italiano. 

La partecipazione della nostra premier, unica leader europea, all’insediamento del tycoon influisce in profondità sulla sua identità politica, in particolare verso l’Europa, nella quale risulta sempre più isolata. Questa situazione coincide con una fase di particolare difficoltà nell’attività del governo Meloni, impegnato in più fronti, nei quali la scelta trumpiana della premier accentua incertezze, ritardi e contraddizioni, che li rende più complicati. 

Il mancato arresto del generale libico Almasri, con l’invio degli atti al Tribunale dei ministri da parte del Procuratore di Roma Lo Voi, ha provocato uno scontro del governo con la Corte penale internazionale dell’Aja, la quale, anche a fronte delle piccate distinzioni e critiche dell’esecutivo, ha aperto un’inchiesta, mentre in Parlamento è stata presentata una mozione di sfiducia nei confronti del ministro Nordio. Contro il procuratore Lo Voi si è aperto un duro conflitto determinato da un esposto da parte dei Servizi segreti e da una denuncia dei componenti di centrodestra del Csm, con la richiesta del suo trasferimento. 

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Nello stesso tempo, un gruppo di giornalisti è risultato spiato, per via elettronica mediante uno spyware della società israeliana Paragon, in uso ai nostri servizi. La società sembra aver rescisso il contratto con il nostro governo per il non rispetto della regolarità del servizio e, nonostante le incerte e ripetute smentite del sottosegretario Mantovano, l’interrogativo romane. 

Continua inoltre il conflitto tra governo e magistratura sulla riforma della giustizia con la separazione delle carriere, e anche il cambiamento del presidente dell’Anm, con l’elezione al congresso del più moderato Parodi, non modifica il dissenso dei magistrati, e lo sciopero rimane confermato. Nel complesso si è determinato un conflitto mai visto nella storia della Repubblica tra gli organi dello Stato con il governo parte in causa protagonista.

Ma le difficoltà non finiscono qui. Sui centri in Albania per il rimpatrio dei migranti, dopo i diversi fallimenti nei precedenti tentativi di avviarli, si profila un nuovo provvedimento per ridurli a semplici Cpr come esistono in patria. In tal modo scomparirebbe il modello di rimpatrio dei migranti irregolari che era stato pubblicizzato in Europa. 

Continua inoltre lo scandalo delle mancate dimissioni della ministra del turismo Santanchè, plurindagata, anche per truffa a danni dello Stato, che verbalmente reagisce tra un “me ne frego e rimango”, e “mi dimetto se me lo chiede Meloni” mantenendo così un atteggiamento ricattatorio nei confronti della premier che non le chiede di dimettersi per non determinare un successivo rimpasto del governo che potrebbe facilmente tradursi in crisi dell’esecutivo. 

Questo quadro viene ulteriormente complicato dalla crescente fronda di Salvini nei confronti della premier. Sia sul grado di trumpismo partecipando a Madrid al congresso dei Patrioti europei, sia con la visita in Israele per incontrare Netanyahu e affermare una sorta di diplomazia parallela tesa a contestare da destra Meloni, sia infine rivendicando un più incisivo intervento sul fisco in materia di rottamazione delle bollette e di pace fiscale. 

Questo florilegio di problemi riguarda tutte questioni e conflitti provocati dai limiti e dissensi nel governo, a scapito dei problemi veri del Paese, che oggi passano dalla situazione economica e del lavoro in seria difficoltà, ai servizi di welfare, come sanità e istruzione, in netta regressione, alle condizioni di sicurezza e legalità ripetutamente messe in discussione.  Una condizione di squilibrio che, se non corretta, porta progressivamente alla paralisi. 

Per questo, e per cercare di uscire dall’isolamento, Giorgia Meloni tenta di cambiare metodo, verso rapporti meno tesi con i diversi interlocutori.  In particolare, migliorando la cooperazione con il Quirinale, reimpostando una linea di dialogo con l’Unione europea e la Corte dell’Aja, e rinviando un nuovo decreto sui centri migranti in Albania. Ma accanto a questo riaggiustamento della linea, nel caso in cui la situazione non migliori, per Meloni rimane possibile anche la scelta più radicale di provocare la crisi di governo per rafforzare la sua posizione politica attraverso le elezioni anticipate, fondate sulla persistente tenuta dei sondaggi che attualmente indicano FdI sopra il 30%. Naturalmente si tratta di una pura ipotesi, ancora lontana dalla realtà. Ma non vorremmo che, nel caso dovesse avverarsi, si trovasse di fronte un centrosinistra ancora impreparato, senza una alternativa credibile, e diviso.

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