Lo stupore del Ministro della giustizia turco a colloquio con il Ministro Nordio. Le nostre domande senza risposte

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E’ comprensibile che, in questa fase decisiva per il raggiungimento di un obiettivo “storico”, mai così a portata di mano come sembra oggi essere la riforma (“finale”) dell’assetto costituzionale della magistratura (che per mera comodità continueremo a chiamare “riforma per la separazione delle carriere”), si sia alla ricerca di ogni argomento utile alla difesa del percorso imboccato e a sgombrare l’orizzonte da ogni possibilità di ripensamento.

Ed è altresì evidente che si vuole continuare a guardare da una finestra molto stretta al contesto europeo, interessato da un diffuso processo di erosione democratica che implica l’attacco ai sistemi giudiziari e che, nei casi noti della Polonia ed Ungheria, ha portato a demolire le garanzie di indipendenza della magistratura: lo sguardo è rivolto solo verso quanto confermerebbe che lo statuto di indipendenza del Pubblico ministero è una anomalia tutta e solo italiana, o che altri esempi di “separazione”, come quella portoghese, dimostrano che questo assetto non pone problemi di sorta per l’indipendenza del pubblico ministero. E la comparazione con l’esperienza portoghese appare ancora più circoscrittta poiché non si confronta neppure con le specificità di quel sistema, nel quale il Procuratore generale, al vertice dell’ufficio e del Consiglio dei procuratori, è nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del governo, e solo il rispetto della tradizione politica, in assenza di garanzie costituzionali, ha sinora evitato la scelta – possibile – di un “non magistrato”[1]

Il richiamo all’Europa può tornare utile per sostenere che l’impegno a difesa della Costituzione dei magistrati e dell’ANM, con la presa di parola contro la riforma, non può essere considerato espressione di un diritto né, evidentemente, come affermano invece i principi europei, di un «dovere» di parlare quando a rischio sono i valori dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura[2]. Ancora una volta ci troveremmo invece difronte ad una anomalia nazionale, con associazioni giudiziarie che deragliano dal loro ruolo e interferiscono con le scelte del Parlamento e della politica. Da ultimo, con riferimento allo sciopero, l’Europa è tornata in gioco, richiamata per invocare – sull’esempio dei contesti dove lo “sciopero politico” non è ammesso – l’introduzione di un divieto espresso per i magistrati di «manifestazioni di dissenso ai provvedimenti del governo[3]».

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Sulla falsariga di un dibattito che guarda in modo selettivo oltre i confini nazionali, anche il Ministro Nordio ha in questi mesi richiamato la nostra attenzione verso esperienze europee e, in particolare, verso quella, molto più distante dalle altre sopra evocate, costituita dal modello di Pubblico ministro d’oltremanica: il Ministro ha infatti manifestato espressamente le sue preferenze culturali per il PM «avvocato dell’accusa» e le indagini affidate a «Scotland Yard». 

E, per ribadire la fermezza dei suoi propositi rispetto all’approvazione della riforma e sottolineare la pretesa anomalia della mobilitazione della magistratura italiana, pochi giorni fa il Ministro Nordio ci ha portato “a conferma” la reazione del Ministro della giustizia turco, incontrato durante una visita ufficiale ad Ankara e Istanbul. Informato dello sciopero annunciato dai magistrati italiani, il Ministro turco avrebbe manifestato «sorpresa», e posto un’esplicita domanda circa la possibilità che un simile sciopero sia considerato «legale». 

Non ci stupisce affatto che dal Ministro turco sia arrivata questa domanda. 

Ci colpisce invece, e molto, che il nostro Ministro abbia deciso di riferire questa circostanza come se il richiamo a ciò che non è «legale» in Turchia possa essere un argomento buono da spendere nel nostro dibattito sulla riforma e sulla legittimità delle forme di mobilitazione dei magistrati. 

E ci colpisce ancora di più che, al tempo stesso, il nostro Ministro non abbia reso noto se al suo “omologo” – con il quale ha firmato una dichiarazione congiunta sul rafforzamento della cooperazione giudiziaria in materia penale, e della «fiducia reciproca nei rispettivi sistemi giudiziari» – abbia rivolto le tante domande e richieste che l’Europa dei diritti e dello stato di diritto, e le sue istituzioni, devono continuare a porre con forza al governo di quel paese. 

Non c’è bisogno di ricordare che la Turchia è il paese degli arresti arbitrari, delle destituzioni di massa- seguite da condanne sommarie- di migliaia di giudici, avvocati, pubblici ministeri, giornalisti e di tanti altri: una repressione che, per le sue dimensioni e durezza, e per la gravità delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone, ha segnato nel luglio 2016 una svolta autoritaria senza precedenti. 

La Turchia è il paese dei giudici costretti a rischiare la vita con le loro famiglie per fuggire e sottrarsi all’arresto e che, ancora oggi, coraggiosamente, da esiliati portano la testimonianza pubblica di quegli eventi con il racconto di dolorose vicende personali, perché nessuno dimentichi i tanti che ancora sono arbitrariamente privati della libertà. 

La Turchia è il paese che sfida apertamente la Corte di Strasburgo, non dando esecuzione a sentenze che hanno riscontrato in noti casi di oppositori politici un uso dei processi e della detenzione strumentale ad indurli al silenzio. 

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E’ il paese dove restano ineseguite le pronunce che hanno ravvisato violazioni del principio “nullum crimen sine lege” e rivelato violazioni sistemiche della Convenzione, che riguardano migliaia di altre persone detenute e casi legati alle accuse di terrorismo, pendenti davanti ai tribunali turchi.

La Turchia è il paese dove, per la durissima repressione e le condanne sommarie che hanno riguardato tutti gli attori della giustizia e colpito l’esercizio delle loro funzioni – come quella degli avvocati, accusati e condannati per terrorismo per aver difeso persone detenute per lo stesso reato- si è giunti ad una situazione circa l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura definita dal Commissario per i diritti umani del Consiglio di Europa come «un rischio esistenziale per lo stato di diritto e, per estensione, per il rispetto di tutti i diritti umani garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo[4]».

La Turchia è il paese che, come sottolineato dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio di Europa, per effetto del continuo e persistente rifiuto da parte delle autorità turche di attuare le sentenze della Corte di Strasburgo, ha posto a rischio significativo la credibilità e la missione stessa del Consiglio d’Europa nel suo complesso[5]

Tramite le loro associazioni, i magistrati europei continuano a mobilitarsi e a sollecitare le istituzioni europee a compiere tutti i passi necessari perché siano ripristinate le condizioni richieste dallo stato di diritto, perché cessino le detenzioni arbitrarie e siano attuate le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo[6].

Nelle carceri della Turchia si trova ancora Murat Arslan, presidente dell’associazione indipendente turca di giudici e pubblici ministeri YARSAV, dissolta dopo il tentato colpo di stato, e vincitore del Premio Václav Havel per i diritti umani 2017, assegnato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Arrestato e condannato a oltre 10 anni di reclusione per il suo impegno nella difesa dello stato di diritto e dei diritti umani, Murat Arslan è detenuto arbitrariamente dall’ottobre 2016. Al 16 aprile del 2024, quando aveva scontato 3/4 della sua pena, nonostante la sussistenza di tutti gli ulteriori requisiti oggettivi per la liberazione condizionale, sulla base di motivi arbitrari, come i rischi non dimostrati di recidiva conessi alla mancanza di “pentimento”, Murat si è visto rigettare la richiesta di scarcerazione. E lo stesso è accaduto per le richieste successive. 

Anche di questo MEDEL e le altre associazioni europee hanno chiesto conto allo stesso Ministro della Giustizia turco[7]

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[1] José P. Ribeiro De Albuquerque, Il pubblico ministero portoghese: architettura istituzionale, principi, garanzie, sfide, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-pubblico-ministero-portoghese-architettura-istituzionale-principi-garanzie-sfide

[2] ECHtR, Żurek v. POLAND, (application no. 39650/18), 16 giugno 2022, par. 222; Affair Sarisu Pehlivan c. TÜRKİYE, 6 giugno 2023 (requête no 63029/19),par. 42 ; CCJE Opinion no. 18 (2015); CCJE Opinion no. 25 (2022); ENCJ Sofia declaration 5- 7, giugno 2013; ENCJ Athens declaration, 1-3 giugno 2022.

[3] «Lo sciopero “politico” dei magistrati sia vietato. Come fanno in Francia», https://www.ildubbio.news/interviste/lo-sciopero-politico-dei-magistrati-sia-vietato-come-fanno-in-francia-og0h6am5.

[4] Report following the visit to Turkey from 1 to 5 July 2019, https://rm.coe.int/report-on-the-visit-to-turkey-by-dunja-mijatovic-council-of-europe-com/168099823e. La Corte europea dei diritti dell’uomo – sottolineava già allora il rapporto- ha confermato la gravità della situazione attraverso le sue prime conclusioni di violazioni dell’articolo 18 della Convenzione nella storia della Turchia all’interno del sistema della Convenzione, a causa dell’abuso dei processi giudiziari per scopi strumentali.

[5] https://pace.coe.int/en/files/33148/html

[6] https://medelnet.eu/statement-of-the-platform-for-an-independent-judiciary-in-turkey-on-the-erosion-of-rule-of-law-in-turkiye/; https://medelnet.eu/joint-letter-to-european-institutions-on-the-anniversary-of-the-2016-coup-in-turkey2/; https://medelnet.eu/statement-of-the-platform-for-an-independent-judiciary-in-turkey/; https://medelnet.eu/jo-nt-statement-on-the-arrest-of-48-lawyers-and-7-intern-lawyers-in-ankara-turkey-16-9-2020-2/ https://medelnet.eu/the-tragedy-of-ebru-timtik-2/

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[7] https://medelnet.eu/letter-to-the-turkish-minister-of-justice-medel-eaj-aeaj-and-judges-for-judges-in-support-of-murat-arslan/  





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