Il governo Meloni e l’insofferenza verso la giustizia internazionale

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L’intolleranza del governo nei riguardi del sistema di giustizia internazionale risale a ben prima del caso Almasri

I toni collaborativi usati qualche giorno fa dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, verso la Corte penale internazionale (Cpi) non sono serviti a evitare l’apertura, da parte della stessa Corte, di un procedimento nei riguardi dell’Italia relativamente al caso Almasri. La Cpi, con una nota, ha invitato l’Italia a fornire, entro il 17 marzo 2025, informazioni sulla mancata consegna del comandante libico dopo il suo arresto. I giudici chiedono anche spiegazioni sui motivi per cui Almasri non sia stato perquisito e i materiali in suo possesso non siano stati sequestrati.

Se la condotta di alcuni componenti dell’esecutivo rappresenta il primo caso in Europa di inosservanza degli obblighi di cooperazione verso la Corte, non va dimenticato che già in passato il governo non aveva assolto a quanto necessario per il funzionamento del sistema di giustizia internazionale, di cui la Cpi è uno dei protagonisti.

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La Corte e gli stati parte

Occorre premettere che, ai sensi dello statuto di Roma, istitutivo della Corte, «è dovere di ciascun stato esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti dei responsabili di crimini internazionali». In altre parole, tutti gli stati parte devono impegnarsi a perseguire i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio e l’aggressione. La Corte ha competenza a giudicare solo se uno stato non vuole o non può farlo.

Molti dei paesi aderenti allo statuto si sono dotati degli strumenti di diritto a ciò necessari. L’Italia, invece, non ha ancora provveduto, salvo che per profili di collaborazione, come la consegna alla Cpi di persone che si trovino sul territorio italiano (legge 237/2012, spesso richiamata per il caso Almasri).

Il Codice dei crimini internazionali

Nel marzo 2022, durante il governo Draghi, un’apposita Commissione aveva stilato – su incarico della ministra della Giustizia, Marta Cartabia – un “Codice dei crimini internazionali”, per dare finalmente «compiuto adempimento» agli obblighi derivanti dallo statuto di Roma, con l’introduzione nell’ordinamento dei crimini di competenza della Corte.

Nel marzo 2023, il Consiglio dei ministri del governo Meloni aveva approvato un disegno di legge inerente al Codice citato. Si contemplava il crimine di aggressione, si estendevano i crimini di guerra, ma si stralciavano i crimini contro l’umanità, per i quali si riteneva necessario un approfondimento, e non si faceva menzione del genocidio. L’articolato risultava molto ridimensionato rispetto al testo della Commissione. E, comunque, dopo il marzo 2023 non se ne è saputo più nulla.

In questo modo, il governo ha lasciato i giudici nazionali sprovvisti degli strumenti necessari non solo a perseguire i crimini internazionali previsti dallo statuto di Roma, ma anche a fornire alla Corte un utile supporto investigativo e di cooperazione, ostacolando così la piena operatività del sistema di giustizia internazionale. Una metafora spiega cosa ciò significhi: la Corte è come «un gigante senza braccia e senza gambe che abbisogna, per qualsivoglia attività, degli “arti” costituiti dagli sati parte». In mancanza dell’attività di questi ultimi, il sistema non può funzionare.

Le denunce alla Cpi

Qualcuno sostiene che siano state alcune denunce presentate alla Cpi per crimini contro l’umanità, commessi nei confronti di migranti, a indurre il governo a evitare che procure e tribunali nazionali possano svolgere indagini e procedimenti su tali crimini.

Ad esempio, nel 2021, è stato denunciato un piano comune tra attori libici e «funzionari di alto livello degli stati membri e delle agenzie dell’Ue» per fermare i migranti. Piano realizzato, da un lato, con il Memorandum d’Intesa Italia-Libia e altri patti; dall’altro lato, attraverso la fornitura alla Libia di «materiali, capacity building e supporto operativo, compresa la localizzazione di migranti e rifugiati». Per l’Italia sono stati indicati come «penalmente responsabili» ex ministri dell’Interno e un ex capo di gabinetto. Il riferimento pare essere a Marco Minniti, Matteo Salvini e Matteo Piantedosi.

Nel 2024 è stato denunciato alla Cpi il ministro Piantedosi, che su X vantava di aver collaborato a respingere «16.220 i migranti diretti verso le coste europee». Da ultimo, ci sono state denunce contro Giorgia Meloni, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi da parte di vittime delle torture di Almasri.

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Qualunque sia il motivo per cui il governo italiano non provvede ad attuare pienamente lo statuto di Roma, il rischio è che ne risulti minata l’autorevolezza della Corte. Un rischio che, alla luce dei fatti più recenti, potrebbe tramutarsi in certezza.

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