Giustizia riparativa: finalità inesplorate e controversie

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Dopo la riforma Cartabia in tema di giustizia riparativa, specie nei reati di violenza di genere, Codice rosso, si è aperto un ampio dibattito tra chi la considera una forma di rieducazione del reo e un modo per reinserire il reo nella società e chi la vede come un’ingiustizia per la vittima. Abbiamo approfondito l’argomento con il contributo dell’Avvocato Stefano Grolla, dello Studio Legale Grolla, specializzato nell’assistenza e contenzioso nei settori del diritto penale, diritto civile, diritto bancario e societario oltre che nel diritto di famiglia e tutela del minore.

Giustizia riparativa: un’opportunità di rieducazione o un’ingiustizia?

La giustizia riparativa vanta per la prima volta una disciplina organica grazie agli artt. 42 a 67 del D.Lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia), il quale, dettando le norme regolatrici in materia, si conforma a quanto già sancito a livello sovranazionale (è opportuno citare, inter alias, la Dichiarazione dei ministri della giustizia degli stati membri del Consiglio d’Europa sul ruolo della giustizia riparativa in materia penale del 13 e 14.12.2021 ovvero la Raccomandazione del Consiglio d’Europa relativa alla giustizia riparativa in materia penale CM/Rec(2018)8). L’istituto processual penalistico oggetto di disamina consiste nella partecipazione libera, consensuale, attiva ed impegnata della vittima del reato, della persona indicata come autore dell’offesa nonché di altri soggetti appartenenti alla comunità, ad un programma, elaborato da un terzo imparziale adeguatamente formato (c.d. Centro per la giustizia riparativa), volto alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato.

La disciplina di riferimento è oggi contenuta nell’art. 129 bis c.p.p., secondo cui l’accesso ai programmi riparativi avviene in qualsiasi stato e grado del procedimento – compresa la fase esecutiva della pena – indipendentemente dalla gravità del reato ovvero dal quantum di pena irrogata, d’ufficio o su istanza di parte, previa verifica da parte dell’Autorità giudiziaria procedente della sussistenza dei necessari presupposti applicativi: vale a dire che lo svolgimento del programma possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti (ai sensi del comma 3 dell’art. 129 bis c.p.p.).

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Come già preannunciato, la riforma Cartabia, meritevole di aver stabilito una disciplina uniforme in tema di Giustizia riparativa, ne ha anche innovato la rilevanza processuale. Difatti, la relazione redatta al termine dello svolgimento del programma, avente esito positivo:

  • concede il riconoscimento della circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 c.p.;
  • determina la remissione tacita della querela, qualora il querelante vi prenda parte con l’autore del reato;
  • rientra tra i presupposti applicativi della sospensione condizionale della pena (ex 163 ultimo comma c.p.).

Si converrà, quindi, che la ratio sottesa dal Legislatore è quella di incoraggiare un dialogo costruttivo nonché ampiamente inclusivo tra autore, vittima del reato e comunità, il quale richiede un concreto impegno reciproco, talvolta molto più appagante e satisfattivo di una giustizia “punitiva”. Tuttavia, nonostante le più rosee finalità, tale istituto permane in una “zona d’ombra”, tuttora inesplorato. Invero, la Giustizia riparativa si dimostra – ad avviso di molti – non accettabile nonché inutilizzabile in determinate circostanze ed è altresì stata oggetto di numerose critiche, in particolar modo in tema di Codice Rosso, ove l’aggressore si troverebbe a stretto contatto con la vittima degli abusi incriminati. Sul punto, ciò che è di precipua importanza sottolineare e comprendere è che la Giustizia riparativa non è volta al perdono del reo, bensì alla rielaborazione di quanto accaduto mediante un percorso strutturato e competentemente elaborato, il quale ha come interesse primario il bene dei soggetti coinvolti nella vicenda de qua: la vittima ha la possibilità di voltare pagina, mentre il reo di intraprendere un percorso rieducativo e di reinserimento sociale. Difatti, ciò che non è stato appieno compreso è che attraverso i programmi riparativi non si “ripara” il danno arrecato, ma si progettano e mettono in pratica azioni consapevoli e responsabili verso l’altro, che possono ridare significato, laddove possibile, ai legami fiduciari fra le persone. Affinché ciò accada e la Giustizia riparativa si affermi al punto da apprezzarne tutte le sfaccettature – ancora inesplorate – è però auspicabile un maggiore impegno sociale, dato in primis da una rete di associazioni disposte ad offrire la propria professionalità in materia, nonché da una cultura aperta al cambiamento, disposta ad accettarla.





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