Banche: Triennio Record, Bancassurance contro il Calo del Margine nel 2025 – PLTV.it

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17 Febbraio 2025

di Giuseppe Gaetano, editor in chief

Proventi operativi +5,6% a/a, risultato netto +7,2%, commissioni nette +8%, specie su attività di gestione, intermediazione e consulenza.

Nonostante la discesa dei tassi in corso da circa 7 mesi (gli interessi netti segnano “solo” +4,6%), le prime 5 banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps, Bper) archiviano un altro eccellente esercizio secondo i conti della Fondazione Fiba di First Cisl. La qualità del credito resta un punto di forza: in 12 mesi il costo del rischio cala dallo 0,31 allo 0,28%, mentre l’Npl ratio netto rimane stabile all’1,4%. Bene anche la patrimonializzazione (CET1 ratio a 14,90%), unico tasto un po’ dolente gli impieghi: -1,9%, trend cominciato ormai nel giugno 2022.
Ma – a giudicare dall’ultima tornata di bilanci – è stato un 2024 molto positivo per l’intero comparto bancario nazionale, inclusi gli istituti territoriali. Kearney ha considerato un panel di 14 gruppi: maggiori ricavi (+6% a 88,6 mld) e minori rettifiche nette sui crediti (-10%) han fatto sì che l’aggregato delle recenti relazioni finanziarie risultasse perfino migliore del 2023. Lo “scontrino” vede nel complesso: risultato netto +10% a 31,4 miliardi di euro; margine di interesse +5% a 51,1 mld; ricavi da commissioni +8% a 32,2 mld, trainati soprattutto dal risparmio gestito. Il report sottolinea anche l’ottimo contenimento dei costi da parte dei player. Certo, il risiko bancario avviato in Italia rende arduo prevedere ora costi e benefici delle eventuali future integrazioni, e quanto bene potrà fare il comparto nel 2025. L’outlook della società di consulenza resta comunque decisamente ottimista sul nuovo esercizio.

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Anche secondo Bankitalia il patrimonio del sistema bancario mostra gli effetti della lunga crescita della redditività. Questa diminuirebbe nei prossimi 2 anni, come il margine d’interesse, pur rimanendo ampiamente positiva e superiore alla media degli ultimi 5 anni. Tutti i Big rispettano ampiamente i requisiti patrimoniali Bce e superano bene il Supervisory Review and Evaluation Process. La dinamica del credito ai privati resta debole, ma l’incidenza del complesso dei finanziamenti deteriorati rimane su livelli storicamente bassi. Via Nazionale rileva meno maxi cessioni di Npl sul mercato e maggiore gestione interna, con aumento dei tassi di recupero e una stabilità dei prezzi spuntati nelle vendite.
Le rettifiche di valore su crediti crescerebbero nel 2025 e 2026, per il previsto rialzo del tasso di deterioramento dei prestiti, collocandosi comunque su valori inferiori a quelli pre Covid.

Non sono le uniche voci positive sul futuro. Secondo S&P Global la redditività delle banche italiane è destinata a perdurare, sostenuta da una maggiore domanda di prestiti a fronte di un costo del rischio stabile, mentre i tagli al costo del denaro si rifletteranno solo gradualmente sulle loro performance. Le perdite sul credito resteranno gestibili, ma al dato medio soggiaceranno differenze più evidenti tra i vari player. Si prevede una risalita media dell’1% sui prestiti erogati dai nostri istituti nel corso del 2025, dopo il -2% stimato sull’intero 2024, e un livello medio di ritorno sul capitale ancora oltre il 10%. L’agenzia di rating ha rivisto da “stabile” a “positivo” il trend di rischio per il settore bancario italiano: tassi d’interesse positivi e un ciclo del credito normalizzato contribuiscono a rafforzarne le prospettive di redditività, liquidità e capitalizzazione nel corso del prossimo anno”. Ad ogni modo, poiché i tassi in calo “mettono più pressione” sugli utili, così i player “saranno costretti a gestire il costo della raccolta, continuare a usare coperture sui tassi e aumentare il controllo sui costi operativi“. Un outlook stabile e moderatamente ottimista, dunque: i fondamentali sono incoraggianti, “tuttavia livelli elevati di deficit e debito pubblico pesano sulla capacità del governo di sostenere l’economia” avvisano gli esperti.
A livello globale S&P non crede che il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca impatterà negativamente sul comparto, ma tra i rischi in evoluzione – tra cui le nuove tecnologie come l’IA generativa – clima e cyber potrebbero ampliare la differenziazione del credito.

Per Scope, invece, “la normalizzazione dei margini di interesse netti continuerà nel 2025 e avrà un impatto negativo sulla redditività”. Almeno quella delle 8 Big esaminate (Intesa Sanpaolo, UniCredit, BPM, MPS, BPER, Mediobanca, Credem e Pop Sondrio), che devono trovare il modo di aumentare il reddito indipendentemente dagli interessi, perché l’incremento delle commissioni da attività a basso impiego di capitale non basterà a compensarne il calo. Non è escluso, infatti, che di questo passo la Bce arrivi a tagliare i tassi sotto il livello terminale del 2%.
Scope la pensa in maniera diversa da S&P anche riguardo l’effetto Trump, ad ogni modo la qualità degli asset rimane solida anche in quest’altra view, che non contempla un sostanziale deterioramento del credito né alle famiglie né alle imprese: le prime rifugiandosi nei mutui a tasso fisso, le seconde utilizzando buffer di liquidità accumulati per ridurre la leva finanziaria e assorbire l’impatto dei maggiori costi di beni ed energia. A onor del vero, va detto che sono migliorati anche gli standard di monitoraggio e erogazione da parte delle banche.

Non è finita. Secondo un’ennesima indagine – firmata Excellence Consulting – Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco BPM si distinguono come leader nell’aumento della capitalizzazione di mercato nell’area transatlantica: +25,6% la media del loro tasso annuo composto di crescita, dal 2020 al 2024. In particolare, Intesa Sanpaolo (69,141 mld al 31 dicembre) è prima in assoluto in Ue e – insieme a Unicredit – fra le prime 4 banche del continente con BNP Paribas e Banco Santander. Risultato trainato non solo dai dividendi distribuiti ma anche dal buyback, area in cui Unicredit spicca con volumi paragonabili a quelli delle principali gruppi Usa.
Sono lontani i tempi della foresta pietrificata – dice il Ceo della società, Maurizio Primanni -, i dati mostrano che sia il sistema italiano che quello comunitario possono fare affidamento sulle nostre banche per rilanciare l’industria”.

E i clienti? Bankitalia prevede “un graduale incremento del tasso di deterioramento dei prestiti alle imprese, che si collocherebbe intorno al 2,8% nel 2025, guidato dagli elevati livelli dei costi di finanziamento delle società e da una diminuzione della loro redditività”. Per le famiglie, l’indicatore rimarrebbe invece stabile all’1%. Tra l’altro, i modelli interni degli istituti per la valutazione del merito creditizio delle aziende tendono a risultare “leggermente meno prudenti” per i prestiti idonei come garanzia, rispetto al modello Bankitalia. Lo rileva un recente studio proprio di Via Nazionale sui rating assegnati dalle banche commerciali con i loro sistemi, da cui emerge una lieve sottostima strategica del rischio da parte delle banche, pur mostrando “un potere discriminante e una capacità predittiva soddisfacenti”, che indicano sostanzialmente “una valutazione adeguata del rischio di credito”. Ma, assolutamente, nessun credit crunch da parte degli intermediari.
Le parole d’ordine delle imprese sono sostanzialmente identiche a quelle del mondo retail: sicurezza e liquidità.

Per l’indagine sul risparmio e scelte finanziarie degli italiani, presentata da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi a fine anno, il 95% degli intervistati ha confermato la propria indipendenza finanziaria, sia pure con sensibili differenze di genere, educazione, professione e fasce di età. In un contesto complesso, la banca rimane il consulente più apprezzato dal 60% del campione interpellato, con picchi oltre i 2/3 per i cittadini tra 45 e 64 anni. Gli immobili pesano per il 63% del patrimonio medio: nell’ultimo anno i giovani proprietari sono passati dal 49,2 al 60% e – per chi ha acquistato con mutuo – prosegue il calo del rapporto rata/reddito, ora attorno al 17,3%.
Restano basse le adesioni alla previdenza complementare, ma crescono le sottoscrizioni da parte dei giovani. Aumentano anche le assicurazioni a copertura delle spese mediche, dal 14 al 17%. “Il potenziale di sviluppo è significativo, sia per colmare il vuoto di domanda di investimenti più evoluti che per rispondere alle crescenti esigenze previdenziali – notano i ricercatori –. Occorre migliorare istruzione e consapevolezza finanziaria superando l’eccessiva fiducia degli italiani nella liquidità, che offre rendimenti molto limitati e genera perdita di opportunità“.

In sintesi, possiamo ben dire che il biennio d’oro è diventato un triennio: in attesa, a partire da febbraio, dei resoconti finali sui 12 mesi, nelle terze trimestrali di ogni Big gli utili netti si avviano a superare i livelli già record del precedente esercizio. In quello appena cominciato la sfida, come detto, sarà far fronte al calo del margine di interesse da tassi incrementando volumi di credito e commissioni, specie quelle legate alla distribuzione di polizze assicurative.
Lato credito, il tallone d’achille continuerà ad essere rappresentato dalla parabola discendente della domanda delle imprese; lato bancassurance, i Gruppi con fabbriche prodotto interne partono indubbiamente avvantaggiati. Sebbene non sia mai il caso di cullarsi sugli allori, le banche italiane possono dirsi ai nastri di un esercizio col vento favorevole: la clientela farebbe bene a seguirle nella traversata.

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