A Parigi gli europei provano a riprendere un posto nelle trattative sull’Ucraina, ma sulle truppe tentennano

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


Mentre Usa e Russia si danno appuntamento a Riad senza gli europei, Macron raduna una Unione “a più velocità” per dare una risposta a Trump. Starmer spinge per mandare soldati, altri dicono che «è prematuro»; il presidente Usa fa leva anche sul divide et impera

Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen, António Costa, Mark Rutte, Keir Starmer, Olaf Scholz, Donald Tusk, Giorgia Meloni, Pedro Sánchez, Dick Schoof e Mette Frederiksen: nelle stesse ore in cui Marco Rubio (per Trump) e Sergej Lavrov (per Putin) si dirigevano a Riad, un primo nucleo di leader europei – una Unione a più velocità organizzata per l’occasione da Macron – si incontrava a Parigi assieme al segretario della Nato per formulare le sue risposte a Donald Trump. «Si tratta dell’Ucraina ma pure della sicurezza di tutta Europa: siamo a una svolta, questi colloqui sono cruciali. Ci servono mentalità emergenziale e un’impennata nella difesa, e ci servono subito»: è arrivata in giubbino da guerra, Ursula von der Leyen, e sull’aumento della difesa i leader convergono da tempo.

Ma quando poi si tratta di entrare nel dettaglio – le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, stivali sul campo oppure no, cosa dare e cosa chiedere agli Usa – si apre tuttora un ventaglio di reazioni: il Regno Unito si fionda in avanti, la Polonia sulle truppe fa un passo indietro, Spagna e Germania liquidano la faccenda come prematura, la Francia tenta il compromesso nel dettaglio e l’Italia rievoca la task force assieme a forze extra Ue ed extra Usa…

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Va a finire che già prima di cena i grandi media internazionali come il Financial Times titolano sugli «scontri» e sui «leader divisi sulle truppe», mentre dagli Stati Uniti filtra un possibile piano: gli europei – spiffera il Washington Post – non sdegnerebbero truppe in qualche decina di migliaia, non sulla linea di contatto ma pronte a intervenire in caso di provocazioni russe; forze da rendere disponibili qualora davvero cessino le ostilità, e a patto che Washington non abbandoni del tutto gli europei.

In questa fase sventagliare possibilità può essere attitudine tattica (si spera) ma certo è che Trump sta già praticando – anche su questo dossier – il divide et impera.

La base negoziale

Ceci n’est pas une négociation: questo martedì a Riad l’amministrazione statunitense discute con il Cremlino sulle sorti dell’Ucraina, ma l’Ucraina al tavolo non c’è, così come non ci sono gli europei. E allora gioca sul surrealismo, Donald Trump: illude gli spettatori che quelli tra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina «non siano un avvio di negoziato» sull’Ucraina ma «una prosecuzione della telefonata tra Trump e Putin» (parole del dipartimento di stato Usa).

Ma al contempo vengono svelate ulteriori interlocuzioni già avvenute tra Mosca e Washington: la pressione sugli europei aumenta, la fretta pure, così come il tentativo di salvare la faccia con un qualche guizzo di leadership. Mettendo da parte la forma istituzionale, Emmanuel Macron si è assunto l’azzardo di una Europa a doppia velocità, in cui almeno alcuni reagiscano per tempo: serve una risposta credibile agli Stati Uniti, politica e non solo; ecco perché questo lunedì a Parigi si è svolto un summit di emergenza ristretto.

La scorsa settimana l’amministrazione Usa ha spedito ai leader europei tanto di questionario, chiedendo agli europei che tipo di assetto auspicano, quanto e come pensano di contribuire, quali richieste di sicurezza fanno agli Usa. Un test per verificare la reazione dell’Ue al disimpegno Usa nel continente – se si trova un accordo, chi garantirà la sicurezza degli ucraini (e dei vicini europei), e chi pagherà il conto? – o vista diversamente, un modo per far comprare agli europei un posto al tavolo negoziale.

Alla vigilia del vertice parigino, Trump ha rivelato che i suoi inviati hanno già interloquito per ore e ore con Vladimir Putin (com’era intuibile, la scorsa settimana Steve Witkoff non era mica al Cremlino solo per riportare a casa Marc Fogel) e l’Ue – quella stessa costruzione complessa a cui in passato è bastato un veto orbaniano per incepparsi – prova a tenere il ritmo forsennato degli annunci trumpiani, con il loro ciclo standard: prima l’imposizione brusca, poi la trattativa sotto traccia, come coi dazi.

Divide et impera

Anche se si nota meno degli annunci shock, la politica disgregatrice di Trump è applicata anche sul dossier Ucraina. Il premier britannico Keir Starmer – pronto già alla vigilia di Parigi ad annunciare che lui le truppe le manderebbe – verrà accolto alla Casa Bianca «molto presto», alla faccia non soltanto dei vari Orbán e Meloni (i wannabe interlocutori privilegiati) ma della stessa presidente di Commissione Ue; e dire che da tempo Ursula von der Leyen è in cerca di invito.

Anche alla Polonia gli Usa fanno intendere che sarà la prediletta, e la utilizzano (davvero) come tramite: a Varsavia era andato Pete Hegseth nella settimana di Monaco, e tornerà questo martedì Keith Kellogg (inviato Usa per Mosca e Kiev). I polacchi hanno già raggiunto il 5 per cento in difesa, comprano armi dagli Usa, sperano nel “Fort Trump” polacco e parlano non di autonomia ma di «armonia strategica» con Washington.

Contabilità

Buste paga

 

Peccato che, fino a questo lunedì pomeriggio, Tusk (con le presidenziali dietro l’angolo) andasse dicendo ai media che «di truppe polacche sul campo non se ne parla» (di altri aiuti invece sì). Sulla linea del «non se ne parla» (o meglio, non ora) anche Spagna e Germania. «Qualsiasi dibattito sull’invio di peacekeeper in Ucraina è inappropriato e prematuro», risponde il cauto Scholz con le elezioni alle porte. «Troppo presto per parlarne, pensiamo prima alla pace» (la Spagna).

Resta in campo la scommessa di Emmanuel Macron, che di boots on the ground parlava già un anno fa, azzardando: «Quel che oggi appare inconcepibile poi verrà discusso» (e lanciando stoccate a Scholz sui suoi cambi di passo). Come diceva in tempi non sospetti una copertina del Time, Macron è il leader che può ambire a governare l’Europa, «se solo riuscisse a governare la Francia» (era il 2017: altri tempi, altre crisi).

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese