Lasciamo parlare la terra – Scarbolo

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Oggi andiamo in Friuli. Ma non quello delle denominazioni collinari più note e apprezzate. L’azienda di Mattia e Laura Scarbolo si trova infatti a Lauzacco, una piccola frazione di Pavia di Udine, nella prima parte della pianura friulana.

Scommettere su un territorio così, che gode di una nomea non altrettanto buona – sono terre più fertili, ricche di limo e argilla, che si prestano a un’agricoltura più meccanizzata, e anche i varietali sono di per sé meno interessanti –, è una strada tutta in salita.

Ed è quello che hanno fatto i due fratelli Scarbolo, nei terreni coltivati prima dal loro padre.

L’ultima vendemmia?

Quella di Mattia per questi terreni non è la storia di un amore a prima vista. «Prima di tornare qua, lavoravo in banca, negli Stati Uniti. Ero ossessionato dai soldi, dall’edonismo, dal divertimento». L’idea di fare qualcosa di bello con l’azienda di famiglia non fu sua, ma di Laura, che forte degli studi in Enologia ne divenne responsabile nel 2017.

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«Decisi di seguirla, prima più per opportunismo che per un interesse autentico». Mattia entra in azienda nel 2018 e, neanche troppo lentamente, all’opportunismo iniziale subentra un’affezione vera. Potremmo quasi chiamarlo amore. Anche se, nel suo caso, le difficoltà non sono poche. Da una parte ci sono le resistenze del padre, legato a un’idea di agricoltura più convenzionale. Dall’altra un 2020 che, col covid, ha portato con sé una crisi economica da cui è stato difficile risollevarsi. «Quell’anno abbiamo perso il 94% del fatturato. Ci siamo chiesti se stavamo per affrontare l’ultima vendemmia…».

Ripartenza

Non è stato così. Perché proprio nel momento di maggiore difficoltà arriva una svolta bellissima, che proprio nella terra e nella natura trova i principali alleati. «Siamo ripartiti dall’idea di valorizzare questo territorio, di fare un’agricoltura diversa, di lasciare spazio alla natura. Io, come agronomo mi sono dovuto completamente reinventare, non avendo nessuna esperienza sul campo, il che nel mio caso, si è stato difficile e facile allo stesso tempo. Non avevo esperienza, ma non avevo neanche preconcetti, mi sono sentito sostanzialmente libero di trovare la mia strada».

Ecco allora che si scommette sul Pinot Grigio – nelle sue tre versioni Pipinot, Mepari e Salvadi – e sulla finezza e complessità del vitigno. Ecco che l’agricoltura diventa un’attività in cui gli elementi che manifestano l’impatto umano sono ridotti al minimo. Come fertilizzante viene utilizzato il compost ottenuto da sfalci e potature, e l’ambiente che circonda le zone vitate è ricco di biodiversità, a favore della sostenibilità del vigneto. L’inerbimento è una pratica a cui si tiene molto per la tutela dell’aspetto microbico dei terreni ed è una grande sfida considerando la quantità di umidità della zona.

Oltre ai Pinot, dalla cantina esce anche l’Areore, un uvaggio di Chardonnay, Sauvignon e Tocai Friulano, e il Peraria, un Refosco dal peduncolo rosso in purezza. Le etichette sono un sogno, belle, eleganti, anch’esse naturali.

Scarbolo in breve

  • Ettari 14 – Bottiglie 80.000
  • Fertilizzanti: organico, compost, sovescio
  • Fitofarmaci: rame, zolfo, organici
  • Lieviti: inoculo di lieviti indigeni
  • Uve: 100% di proprietà
  • Certificazione: biologico certificato

Il vero lusso è l’armonia

In tutto questo, è cambiato l’approccio alla terra, ma è cambiato tantissimo anche chi la lavora. Ricordate che si parlava di opportunismo? Ora la visione di Mattia Scarbolo sembra essere profondamente diversa. «Lavorando la vigna, ho cambiato i miei obiettivi. La vigna mi ha insegnato ad avvicinarmi a uno stile di vita più gentile, armonioso, equilibrato. Anche a comprendere il senso della fatica, del lavoro manuale».

Nulla all’eccesso, tutto dosato. Anche nella scelta di come promuovere i propri vini sulle guide – «amiamo le visite in cantina, e non mandiamo i nostri campioni alla cieca» – o presso il mercato – «lavoriamo tanto in Italia, con il settore HoReCa, mentre all’estero il nostro mercato più importante è la Germania, oltre a Stati Uniti, Inghilterra, Giappone». Si parte dalla scelta dei distributori giusti, non si fa marketing da social media. Si lascia parlare la terra.

di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it

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