Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump attacca l’Unione europea su quattro fronti. Il primo sono i dazi reciproci che rappresentano un significativo appesantimento delle tasse imposte sui prodotti europei. Con effetti particolarmente negativi nei confronti della Germania e dell’Italia, contro cui è probabile servirà poco l’accondiscendenza della premier Meloni.
Il secondo è costituito dall’acquisto da parte dei capitali americani, a cominciare dai grandi fondi, di partecipazioni azionarie sempre più rilevanti in società europee. Il terzo è rintracciabile nel continuo trasferimento del risparmio gestito degli europei verso fondi e banche statunitensi. Il quarto si traduce nell’attrazione di catene di produzione europee negli Stati Uniti per effetto di tassazioni di favore. Di fronte a tutto ciò la risposta europea è, al momento, incredibile: la Commissione ha dichiarato di non aver ricevuto ancora nessun documento ufficiale.
Lo scontro sull’intelligenza artificiale: ne rimarrà solo uno
Nel frattempo, in questo contesto, sta per partire la prossima grande guerra finanziaria. Sull’intelligenza artificiale si sta scatenando una vera e propria guerra i cui esiti sono legati, prima ancora che al numero dei “clienti” globali, alle dinamiche finanziarie. In estrema sintesi, la mole degli investimenti e i posizionamenti strategici servono, subito, a determinare la fortuna finanziaria delle società coinvolte nello scontro.
In tale guerra c’è un primo gruppo di società – Microsoft, Apple, Nvidia, Alphabet, Meta – che sono direttamente riconducibili alle Big Three. Contro questo monopolio si muovono Elon Musk e la cordata di “amici” che hanno sostenuto Trump. In particolare Peter Thiel e Joe Lonsdale, creatori di Palantir. A cui si aggiungono Vy Capital di Alexander Tamas, Valor Management, Atreides Management e Baron Capital Group.
Il loro primo obiettivo è comprare Open AI di Sam Altman, per smontare la cordata voluta dallo stesso Trump in Stargate con Altman, Oracle e Soft Bank. Tra questi gruppi, come accennato, lo scontro sarà molto duro. Perché chi riuscirà a dare la chiara impressione di vincere manifesterà subito la capacità di mantenere la propria bolla, costituita da un iper valore azionario che ha permesso negli ultimi anni favolosi dividendi.
Perché Trump rischia di favorire l’ascesa della Cina
Rispetto a tale guerra ci sono tuttavia tre variabili. La prima è costituita dall’impatto dell’intelligenza artificiale cinese, la cui forza reale può demolire la bolla con estrema rapidità. La seconda è riconducibile all’azione di Trump che può condizionare le sorti dei vari gruppi americani. Comprese quelle di Musk, nei confronti del quale non mi pare si possa dare per scontato l’appoggio incondizionato del presidente.
Infine c’è la questione, del tutto difficile da definire, di una possibile iniziativa europea, che si è mossa tardivamente e con una gran confusione fra fondi pubblici e società private. A oggi in larga misura assenti. In maniera quasi paradossale, proprio il futuro Eldorado dell’intelligenza artificiale può generare la crisi profonda del capitalismo finanziario. Divorato da una guerra dove i più forti e i più coesi, ora, sembrano essere quelli estranei a quel capitalismo: i cinesi che stanno attrezzandosi in più ambiti.
L’automotive e la crescita del mercato interno in Cina
In Cina le auto elettriche hanno superato le vendite delle auto tradizionali. Ne ha tratto beneficio in particolare la Byd. Una società per azioni con due grandi azionisti privati, Lu Xiangyang, che ne detiene quasi il 19%, e Wang Chuanfu con l’11%. A cui si affiancano una presenza statale e quella decisamente limitata di alcuni grandi fondi, Berkshire e Vanguard in particolare.
Per far fronte a questa crescita, il governo cinese ha deciso di puntare proprio sul settore delle auto tradizionali. In particolare sui due marchi Dongfeng e Changan. Dove lo Stato cinese è azionista di larghissima maggioranza e ha varato un vasto piano di investimenti, che prevede anche la possibile fusione. In estrema sintesi, il mercato interno si appresta a diventare un punto di forza decisivo per l’economia cinese, che non avrà più bisogno di esportare negli Stati Uniti. E dunque non risentirà in alcun modo dei dazi di Trump, qualora arrivassero.
Riuscirà Trump a proteggere i suoi amici?
Nel frattempo, gli annunci del presidente statunitense fanno tremare i listini americani. Mentre le società automotive cinesi stanno facendo impennare quelli di Shenzen e Hong Kong. Dove è probabile potrebbero finire sempre maggiori capitali “occidentali”, già in spostamento da New York alla Borsa indiana. A questo riguardo, tuttavia, occorre fare un’ultima precisazione.
Gli annunci di Trump deprimono alcuni titoli, ma ne fanno lievitare altri. Il caso di Palantir, la società dell’amico Peter Thiel, è in tal senso strabiliante: con un fatturato dipendente per due terzi dalle commesse del governo, e in particolare dal dipartimento della difesa, Palantir ha visto il proprio titolo crescere del 300% in meno di sei mesi, con un prezzo che è 50 volte il valore delle vendite. I famigli di Trump non hanno molto da temere, per ora.
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