La crisi del modello tedesco tra debito e la necessità di riforme

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Dall’analisi a cura di Florence Pisani, chief economist e Stefan Keller, senior multi-asset strategist di Candriam, emerge che: “Oggi la situazione della Germania appare molto diversa da come era in passato. L’economia tedesca è stagnante e sembra addirittura rimanere indietro rispetto ai suoi partner europei”.

Florence Pisani, chief economist

“Tra il 2005 e il 2017, mentre la maggior parte delle economie dell’Eurozona registrava cali sia nel peso delle rispettive industrie che nelle loro quote di mercato nelle esportazioni, la Germania si distingueva per la sua potente industria, le sue solide quote di mercato e il suo rigore fiscale. Durante questo periodo, il PIL tedesco è cresciuto del 10% più velocemente rispetto al resto della regione. Così la Germania e il suo modello di co-gestione sociale (Mitbestimmung) sono stati a lungo considerati un esempio.

Oggi la situazione appare molto diversa. L’economia tedesca è stagnante e sembra addirittura rimanere indietro rispetto ai suoi partner europei. Mentre la maggior parte dei paesi dell’Eurozona è ora tornata ai trend di crescita precedente alla pandemia, il Pil della Germania rimane ancora inferiore di oltre il 6%. In termini reali, non registra progressi dal 2019. I consumi delle famiglie sono rimasti stagnanti, gli investimenti residenziali si sono contratti del 10% e nonostante l’aumento del 10% degli investimenti in diritti di proprietà intellettuale (R&S), gli investimenti totali sono comunque diminuiti di circa il 5%. Le esportazioni, il pilastro dell’economia tedesca, sono ferme dal 2017, e peggio ancora, come già successo a Italia, Francia e Spagna, anche la Germania sta perdendo quote di mercato.

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Il settore industriale si muove al rallentatore

Il settore industriale, il motore della crescita tedesca, è in fase di stallo. Il settore automobilistico, che rappresenta quasi il 5% del Pil e il 16% delle esportazioni di beni – già danneggiato dallo scandalo Dieselgate – si trova ora a dover affrontare il rallentamento della domanda europea: per molti consumatori, i modelli di fascia alta sono troppo costosi e nelle grandi metropoli sono sempre meno popolari a causa delle limitazioni imposte al traffico. Il settore si trova inoltre a dover far fronte al rallentamento della domanda in Cina e alla concorrenza dei produttori cinesi, i cui prezzi sono molto più competitivi e che ora competono con i produttori tedeschi sul loro stesso territorio, in particolare per quel che riguarda i veicoli elettrici. L’aumento dei prezzi dell’energia ovviamente non ha aiutato: dall’inizio del 2022, la produzione industriale nei settori ad alta intensità energetica – in particolare la chimica, che rappresenta quasi il 4% del Pil e il 17% delle esportazioni – è diminuita di quasi il 20%.

Stefan Keller, senior multi-asset strategist

Un urgente bisogno di investimenti

Le conclusioni di un recente rapporto della Bdi – la Federazione dell’industria tedesca – riassumono bene lo scompiglio in cui è precipitata l’industria tedesca. In assenza di investimenti pari a 1.400 miliardi di euro entro il 2030, una cifra quasi il doppio rispetto al piano europeo “Next Generation Eu”, l’industria tedesca non riuscirà a diventare di nuovo competitiva. Questo grido d’allarme, proveniente da un’organizzazione tradizionalmente favorevole al libero scambio e alla libera concorrenza, è tanto più sorprendente se si considera che il rapporto suggerisce che un terzo dei fondi necessari debba essere fornito dal settore pubblico. Questa richiesta di investimenti massicci nei prossimi anni sarà ascoltata dai leader tedeschi? I problemi del settore industriale spingeranno la Germania a lascia andare il freno di bilancio e a investire di più a livello nazionale per aiutare il paese a ritrovare il suo lustro? Il fatto che il cancelliere Olaf Scholz abbia finalmente deciso di separarsi dal suo Ministro delle Finanze, Christian Lindner (strenuo difensore del freno al bilancio), potrebbe suggerire che almeno una parte della classe politica tedesca sia disposta a intraprendere questa strada.

Anche la Bundesbank e il Sachverständigenrat – il Consiglio di esperti economici della Germania – sembrano favorevoli a una riforma che aumenterebbe leggermente la flessibilità della politica fiscale, senza mettere a repentaglio la sostenibilità del debito pubblico. Un’altra opzione potrebbe essere quella di consentire la creazione di fondi “fuori bilancio” – non soggetti al freno al debito – per finanziare infrastrutture o esigenze di difesa. Sono sempre di più le richieste di riforme, anche da parte della stessa Angela Merkel o di Friedrich Merz, evidenza di un allentamento delle regole. Tuttavia, la modifica di quest’ultime richiederebbe una maggioranza qualificata di due terzi nel nuovo Bundestag, una maggioranza che difficilmente sarà raggiunta, soprattutto dopo il fallimento del tentativo di Merz di far passare una legge anti-immigrazione con il sostegno dell’estrema destra.

Tuttavia, qualsiasi progresso in questa direzione fornirebbe innegabilmente maggior margine di manovra al prossimo governo che, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe essere guidato dalla Cdu. Inoltre, potrebbe evitare che una politica fiscale inutilmente restrittiva deprima un’economia già fiacca.

Resta da vedere se i tedeschi avranno la saggezza di portare al potere partiti disposti a investire nelle infrastrutture fisiche e sociali che potrebbero permettere alla Germania di tornare competitiva in futuro. Lo si deve sperare, per la Germania ovviamente, ma anche per l’Europa”.





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