Fine vita, nelle Marche il primo caso di suicidio assistito ma la legge è ferma ai box da tre anni

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ANCONA Un traguardo, un modello, una deriva pericolosa. È una sintassi di contrasti quella che annuncia la legge sul fine vita, approvata, lo scorso 11 febbraio, dall’Assemblea legislativa della Toscana. Con 27 voti a favore e 13 contrari, passa una scelta definita, dai più, coraggiosa. È la prima regione ad aver tradotto in una norma la battaglia, di libertà e dignità, condotta nelle Marche da Max Fanelli, Federico Carboni e Fabio Ridolfi, intrappolati in un corpo che era ormai uno scafandro impermeabile alla vita. Per loro è il tributo più emozionale alla memoria.

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Il precetto

Proprio nelle Marche, dove si narra del primo caso in Italia di suicidio medicalmente assistito, è bloccata da tre anni in commissione sanità una proposta di legge identica, nei contenuti, al precetto toscano. La firma che prelude a quel documento è di Maurizio Mangialardi, Pd, vice presidente dell’Assemblea legislativa, in minoranza nella Regione guidata dal centrodestra, con il leghista Giorgio Cancellieri che è relatore di maggioranza.

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Proprio nelle Marche. Era il 16 giugno 2022 quando Federico Carboni, “Mario” com’era conosciuto prima di rivelare la propria identità, 44 anni, tetraplegico da 12 in seguito a un incidente stradale, moriva nella sua casa di Senigallia: si era auto somministrato il farmaco letale. Dopo una battaglia legale di due anni, ottenne, per la prima volta a livello nazionale, il diritto di uscire da una esistenza-calvario. La sua. Tre giorni prima, il 13 giugno, le agenzie di stampa battevano la notizia del decesso di Fabio Ridolfi, il 46enne di Fermignano, che aveva scelto d’interrompere nutrizione e idratazione artificiali. Immobilizzato da 18 anni in un letto per una tetraparesi, stava tentando, con l’assistenza legale dell’Associazione Luca Coscioni, l’accesso al suicidio assistito. Senza soffrire, dopo ore di sedazione profonda, ha esalato l’ultimo respiro, non immediatamente come avrebbe voluto. Era il 2016 quando Massimo, detto “Max”, Fanelli, il 56enne malato terminale di Sla, moriva nell’ospedale di Senigallia per l’aggravarsi delle sue condizioni. Aveva condotto una vita normale fino al 2013, quando nella sua quotidianità s’insinuò la malattia. Ha combattuto con tutte le sue forze per colmare il vuoto legislativo in tema di fine vita, diventando il paladino dei diritti civili.

Il percorso in salita

Ripercorre la salita ardita lungo la quale la sua proposta di legge s’è incagliata, Mangialardi. «È stata depositata il 13 luglio del 2022 e giace da quasi tre anni in IV commissione. Ho più volte sollecitato il presidente Baiocchi e quello del Consiglio regionale Latini. Ho scritto affinché venisse discussa, esaminata e votata». S’appassiona nel riordinare i passaggi: «Ho chiesto l’iscrizione d’urgenza in Aula, dov’è approdata il 19 novembre dell’anno scorso, ma la maggioranza ha deciso di rinviarla in commissione». Rafforza gli argini: «Confido che l’approvazione in Toscana permetta una accelerazione». Mette in sequenza i punti imprescindibili: il proposito di suicidio deve essersi autonomamente e liberamente formato; la persona deve ricevere trattamenti di sostegno vitale; dev’essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili.

Scorpora gli elementi d’un ragionamento multiplo, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Ciccioli. «Il suicidio – premette – è sempre un corto circuito esistenziale, va scoraggiato con motivazioni forti e appoggi morali, psicologici e sociali». L’epilogo: «Vale sempre la pena vivere». Passa alla logica del viceversa: «Più complesso è il tema del fine vita che, nei prossimi decenni, diventerà ineludibile. I progressi della ricerca scientifica, farmacologica e interventistica, terranno legate a questa terra migliaia e migliaia di persone in stato vegetativo o pre-terminale». Instilla il dubbio: «Qual è la soglia dell’accudimento e dell’accanimento terapeutico? Una materia sulla quale sarà necessario pronunciarsi con leggi e norme etiche chiare, non interpretabili o manipolabili».

Categorico è l’arcivescovo Angelo Spina: «Non bisogna promuovere la cultura della morte. La dichiarazione del dicastero della dottrina della fede, dal titolo “Dignitas infinita”, è di una chiarezza immensa. Si deve sempre aiutare la vita. Le persone devono essere assistite e curate, così si sentiranno amate e mai sole». Non transige: «Non abbiamo il potere di privare o privarci dell’esistenza. In caso contrario, sarebbe una sconfitta dell’umanità».

L’armonia

Cambia il verso del procedere, Ines Corti. La prof di Diritto privato all’Università di Macerata, esperta di bio-diritto, va dritta al nucleo: «Sono favorevole, è una legge che introduce il diritto alla libertà. La dignità della vita non è un valore oggettivo, ma è legato al singolo individuo». Essenziale, ribadisce: «Viene stabilita una libertà personale entro un percorso garantito, idoneo a verificare se c’è la reale volontà». Il perimetro è netto, e già tracciato: «La nostra Costituzione afferma questi principi. La scelta compiuta dalla Toscana apre la strada a un legislatore silente, ben vengano le Regioni, ma si deve tendere a una norma nazionale». Armonia della sintassi.

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