Chi sono i nuovi governanti della Siria

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di Alessandro Maran

La Siria è ora governata da Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), la formazione armata islamista che ha capeggiato il rovesciamento di Assad (https://edition.cnn.com/…/ahmad-al-sharaa…/index.htm).

HTS ha attirato giudizi contrastanti per la sua passata gestione della provincia di Idlib, nella Siria settentrionale, che il gruppo ha governato prima di spingersi a sud per spodestare il governo di Assad alla fine dello scorso anno. Al Middle East Institute, Orwa Ajjoub ha riferito nei mesi scorsi del malcontento popolare per le pessime condizioni di vita, il malgoverno e la corruzione all’interno di HTS, sottolineando anche le tendenze autoritarie del gruppo (in particolare gli arresti di alcuni personaggi politici nel contesto di una lotta di potere interna alla formazione). Al tempo stesso, il gruppo ha cercato di “epurare” i “sostenitori della linea dura” per rendersi più gradito alla comunità internazionale e non attirare le sanzioni finanziarie, ha scritto Ajjoub (https://www.mei.edu/…/crossroads-idlib-hts-navigating…).

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Al contrario, al Wilson Center, Steven Heydeman ha descritto HTS come un gruppo relativamente moderato (per una formazione ribelle islamista di origini jihadiste) che ha governato Idlib “in un modo che penso dovrebbe tranquillizzare gli estranei. Non ha imposto una forma draconiana di governo islamico” (https://www.wilsoncenter.org/…/assads-reign-ends-rebel…). Al CSIS | Center for Strategic & International Studies, anche Mackenzie Holtz ha evidenziato nel 2023 l’apparente presentazione moderata di HTS che fa chiaramente “appello ai media occidentali” (https://www.csis.org/…/examining-extremism-hayat-tahrir…).

Ma chi sono? E cosa possono aspettarsi gli altri paesi dal leader del gruppo e presidente ad interim della Siria, Ahmad al-Sharaa (noto in precedenza con il suo nome di battaglia, Abu Mohammad al-Jolani)?

Nessuno lo sa davvero, scrive The Economist, intervistando Sharaa (l’articolo, infatti, si intitola: “Warlord, jihadi or nation-builder?”). Un giorno è apparso in divisa militare e il giorno dopo in completo. Ha promesso la democrazia, ma ha anche detto che ci vorranno tre o quattro anni per mettere in atto un nuovo sistema di governo. E “quando parla di democrazia, molti sospettano che intenda il governo maggioritario arabo sunnita. (‘Nella nostra regione ci sono varie definizioni di democrazia’, dice)”. Oltretutto, molte fazioni rivali esistono ancora all’interno del paese, rileva la rivista, e HTS non è affatto l’unico gruppo in gara per assicurarsi potere e influenza nella Siria del dopoguerra (https://www.economist.com/…/warlord-jihadi-or-nation…).

La ricerca sui ribelli siriani offre un indizio su quale potrebbe essere il modo giusto per impegnarsi con i nuovi governanti della Siria, sostengono Nafees Hamid, Nils Mallock, Broderick McDonald e Rahaf Aldoughli su Foreign Affairs. La loro ricerca indica che quello di cacciare Assad, un feroce dittatore, era considerato un obiettivo sacro dalla stragrande maggioranza dei ribelli siriani. “L’obiettivo esclusivo di estromettere Assad ha portato molti combattenti, in particolare quelli che hanno combattuto per organizzazioni senza denominazioni terroristiche, a cambiare spesso gruppo, unendosi a quello che ritenevano più efficace contro il regime”, scrivono gli autori. “Molti si sono persino spostati tra gruppi armati islamisti e laici”. https://www.foreignaffairs.com/…/right-way-engage…

Sapere cosa ha motivato gli ex ribelli siriani può essere molto importante per le potenze straniere, mentre si consolida il nuovo ordine siriano, sostengono gli autori. I governi internazionali spesso cercano di indirizzare leader come quelli del governo provvisorio siriano con incentivi economici: sanzioni come castigo e, soprattutto, aiuti condizionati per incentivare determinati comportamenti. Nel caso di ribelli che sono estremamente impegnati a raggiungere un particolare obiettivo o ad affermare un valore, questo può ritorcersi contro.

“I governi stranieri devono stare attenti a non essere visti come quelli che corrompono o comprano i leader siriani”, scrivono. “Coloro che sono percepiti come quelli che accettano favori dagli stranieri perderanno la loro capacità di plasmare il futuro della Siria (…) Se i governi stranieri sono ansiosi di influenzare i ribelli siriani, farebbero meglio a proporre concessioni simboliche ma significative, come l’apertura di ambasciate a Damasco, l’invio di delegazioni ufficiali in Siria e la condivisione discreta di informazioni di intelligence. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno già condiviso informazioni di intelligence con HTS su un attacco pianificato dallo Stato islamico, o ISIS, e hanno annullato una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa di Sharaa. Quando a soggetti votati alla causa vengono presentate concessioni simboliche ma significative, diventano meno propensi a sostenere la violenza e più disposti a scendere a compromessi, come dimostrato da uno studio del 2007 su israeliani e palestinesi condotto dai ricercatori Jeremy Ginges, Scott Atran, Douglas Medin e Khalil Shikaki”.





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