Cartelle, Irpef, Santanchè, “fine vita”: nel governo Meloni è uno scontro continuo

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Si annuncia un mese cruciale per Giorgia Meloni: nel governo serpeggia lo scontro e sul suo tavolo incombono dossier che si appesantiscono con i giorni e sui quali i leader della maggioranza si trovano su posizioni divergenti. «La premier dovrà cambiare passo», invocano alcuni ministri


Si annuncia un mese cruciale per Giorgia Meloni e per l’Esecutivo che presiede. Scavallare la primavera è l’obiettivo di una premier che, per la prima volta da quando è seduta a Palazzo Chigi, si ritrova a dover affrontare un periodo non facile.
«Non ha più il tocco magico» teorizza un parlamentare assai influente della maggioranza. Ed è vero che i sondaggi sono ancora «anestetizzati», come usano dire a piazza Colonna: le oscillazioni all’interno della coalizione sono più o meno le stesse da mesi. Ma è altresì vero che qualcosa non sta funzionando.

Osserva un fine conoscitore del palazzo come Osvaldo Napoli, membro della segreteria politica di Azione: «Giorgia Meloni è prigioniera delle sue ossessioni. Si è rifugiata nel silenzio, come chi non riesce più a sintonizzarsi sull’agenda della quotidianità. Sul suo tavolo incombono dossier che si appesantiscono con i giorni: Santanchè, la rottamazione fiscale cara alla Lega, il taglio dell’Irpef desiderato da Tajani e il povero Giorgetti che guarda i cassetti e non trova un euro bucato per l’uno o per l’altro».

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In estrema sintesi, i dossier sul tavolo sono tanti, qualcuno sussurra «anche troppi». Giorgia Meloni sta riversando tutta la sua concentrazione sulle questioni di politica estera. In particolare, sul conflitto tra Russia e Ucraina dove «l’amico Trump» ha impresso l’acceleratore con la telefonata con Vladimir Putin. Ma prima o poi dovrà cambiare passo, come invocano alcuni ministri.

LO SCONTRO NEL GOVERNO MELONI: IL NODO SANTANCHÈ

I problemi per l’Esecutivo sono altri e non riguardano certo il caso Almasri. C’è una serie di scadenze da gestire. L’elenco, come si diceva, è lungo. In cima alla lista c’è il caso Santanchè: la ministra del Turismo è rimasta in sella, nonostante il tentativo di moral suasion. Meloni ha chiesto ai suoi colonnelli di provare a parlare con la diretta interessata. Ma Santanchè non intende cedere di un millimetro. E, a quanto pare, tutto sarà rimandato a un faccia a faccia con la premier che ancora non è stato stabilito. Anche perché altra cosa sarebbe un processo per truffa ai danni dell’Inps, cioè ai danni dello Stato, e di cui si saprà solo a fine marzo.

Come nel caso dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano, l’inquilina di Palazzo Chigi avrebbe voluto un’uscita light della titolare del dicastero del Turismo, senza scontri, con una sostituzione lampo. E invece si ritrova a dover affrontare un caso di difficile gestione, perché Santanché rappresenta un pezzo del potere di Fratelli d’Italia e la sua presenza all’interno dell’Esecutivo impatta sugli equilibri interni del partito.

CARTELLE ESATTORIALI E TAGLIO IRPEF

Sia come sia, Meloni non si aspettava la contrarietà di Forza Italia sulle cartelle esattoriali. Gli azzurri stanno giocando una partita opposta a quella della Lega, che propugna la pace fiscale e avrebbe fatto pressioni per una rottamazione quinquies da fare subito. Palazzo Chigi sta continuando a mediare tra le due spinte opposte, ma resta evidente che le ruggini non rientreranno con un battito di ciglio.

Al contempo, Forza Italia invoca la riduzione dell’Irpef (difficile da fare, perché le casse languono) e, soprattutto, fa pressioni sulla presidenza della Rai. Tajani non intende arretrare su Simona Agnes, figlia di Biagio, un profilo più o meno gradito al Pd, ma non al M5S di Giuseppe Conte che si pone di traverso ufficialmente «per una questione di metodo».

E se l’attivismo di Antonio Tajani, da vicepremier, sta in qualche modo dando filo da torcere all’azione dell’Esecutivo, più o meno lo stesso si può dire rispetto alle mosse di Matteo Salvini. Come lamentano diversi parlamentari in Transatlantico, «Matteo si è messo in testa di voler tornare a primeggiare all’interno della coalizione e sta dunque profittando dell’attuale contesto favorevole – vittoria di Trump e assoluzione dal processo Open Arms – per massimizzare i consensi e ridare peso specifico alla Lega». Un partito, il Carroccio, che nel mese di aprile dovrà svolgere un congresso e che sta investendo diverse fiche sulla pace fiscale. Al suo interno, però, c’è una guerra di posizionamento che, va da sé, non aiuta Meloni.

LO SCONTRO NEL GOVERNO MELONI: IL DIBATTITO SUL “FINE VITA”

Per ultimo, la presa di posizione sul “fine vita” del governatore del Veneto, Luca Zaia secondo il quale «serve una legge nazionale». Zaia sottolinea il fatto che «c’è la sentenza della Corte costituzionale del 2019 che stabilisce che un malato terminale può fare domanda se sono rispettati questi quattro requisiti: diagnosi infausta, mantenimento in vita da supporti, grave sofferenza fisica e psichica, libertà di scelta. In Veneto abbiamo avuto sette domande».
È evidente, allora, che il “fine vita” rappresenti un’altra grana per l’Esecutivo, a maggior ragione dopo l’iniziativa della Regione Toscana che ha da poco approvato una norma.

Fratelli d’Italia vorrebbe impugnare la mossa della Toscana davanti alla Consulta, ma all’interno del centrodestra ci sono diverse sfumature sulla questione. Per esempio, il vicepremier Tajani dichiara che «la posizione di Forza Italia è chiara: non può esserci una competenza regionale, deve esserci una competenza nazionale. C’è un dibattito in Parlamento e il Parlamento è sovrano. Sono convinto assolutamente che nessuno debba accanirsi e far soffrire una persona. Lo dico anche per esperienza diretta. Quando ho dovuto decidere per mia madre, ho deciso per il “no” all’accanimento terapeutico, perché non c’erano più speranze di poterla salvare».

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Non vanno dimenticati, infine, l’affaire migranti e il flop dei centri in Albania che dovranno essere convertiti in Cpr, così da diventare centri per gli irregolari che sono già presenti in Italia.
Insomma non sarà assolutamente facile barcamenarsi in questa agenda, così fitta e complicata. Ed è la ragione per la quale, in Transatlantico, il calendiano Osvaldo Napoli teorizza: «A palazzo Chigi è stato inserito il pilota automatico perché nessuno sa più quale direzione prendere su una scena internazionale che appare terremotata dopo pochi giorni di presidenza di Donald Trump».

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