Posso rinunciare al ritiro di un oggetto sequestrato?

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Quando si può rifiutare la restituzione e quali sono le conseguenze del mancato ritiro delle cose sequestrate da parte dell’avente diritto.

Un lettore ci chiede: «Posso rinunciare al ritiro di un oggetto sequestrato?» Ci specifica di essere stato chiamato e sollecitato più volte dai Carabinieri ad andare a ritirarlo, ma di non essere intenzionato a farlo; non vuole rientrare in possesso dell’oggetto, ma vorrebbe conoscere le conseguenze di questo comportamento.

Il nostro lettore non ci specifica di che tipo di oggetto si tratti, ma sicuramente non è una merce deperibile, altrimenti sarebbe stata distrutta per motivi di igiene, né un prodotto illecito, come le sostanze stupefacenti, altrimenti sarebbe stato confiscato, e quindi in entrambi i casi non ne sarebbe stata disposta la restituzione.

In effetti ci sono molti casi in cui l’avente diritto – solitamente la persona alle quale le cose erano state sottratte illecitamente e poi sono state rinvenute dagli inquirenti, oppure erano state sequestrate ad egli stesso per svolgere accertamenti – perde interesse a recuperarle, soprattutto quando è trascorso molto tempo e magari si tratta di oggetti di scarso valore e non più utilizzabili; quindi la situazione di cui ci stiamo occupando interessa molte persone.

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La complessa materia della restituzione degli oggetti sequestrati è disciplinata in parte dal Codice di procedura penale, per gli aspetti giudiziari, e in parte dal Testo Unico delle spese di giustizia, per le implicazioni amministrative. Ma procediamo con ordine e vediamo, innanzitutto, come funziona la restituzione degli oggetti sequestrati, per poi passare ad esaminare le conseguenze del loro mancato ritiro da parte dell’avente diritto, nonostante il rituale invito a farlo.

Restituzione di cose sequestrate: come funziona

L’articolo 262 del Codice di procedura penale detta i principi fondamentali che regolano la restituzione delle cose sequestrate nell’ambito di un procedimento penale.

Il cosiddetto “dissequestro” viene disposto dall’Autorità giudiziaria procedente quando non è più necessario mantenere il sequestro a fini di prova dei reati oggetto di accertamento.

In tali casi, il Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari, o il Giudice del dibattimento nel corso del processo, se già avviato, dispone, con decreto o con ordinanza, la restituzione delle cose sequestrate «a chi ne abbia diritto» (normalmente, la persona alla quale erano state sequestrate, oppure chi ne è risultato il legittimo proprietario; se sorgono controversie sulla proprietà e sull’attribuzione dei beni si applica la procedura descritta dall’art. 263 Cod. proc. pen.).

Tutto questo può avvenire – specifica la norma – «anche prima della sentenza», quindi non è necessario attendere la conclusione e definizione del procedimento penale nel cui ambito le cose erano state sequestrate.

L’interessato può sempre presentare un’istanza (al giudice o al Pm, a seconda della fase processuale) per ottenere la restituzione anticipata delle cose sequestrate, ferma restando la valutazione del magistrato sulla necessità o meno di mantenere ancora il sequestro a fini di prova dei reati per cui si procede.

Il decreto del magistrato viene comunicato all’interessato tramite la Polizia giudiziaria delegata, che prenderà contatti con l’avente diritto per concordare il luogo e le modalità del ritiro (le operazioni svolte saranno documentate in un verbale di riconsegna).

In ogni caso, dopo l’emissione della sentenza definitiva le cose sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia diritto, a meno che il giudice non ne abbia disposto la confisca.

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Le somme di denaro sequestrate, dopo che sono trascorsi 5 anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, se nel frattempo nessuno ne ha richiesto la restituzione e non è stata disposta la loro confisca, sono devolute allo Stato.

Rinuncia alle restituzione delle cose sequestrate

L’avente diritto può rinunciare alla restituzione delle cose sequestrate: non è obbligato a rientrarne in possesso, se non desidera farlo. La rinuncia può avvenire espressamente, tramite una dichiarazione scritta inviata all’Autorità giudiziaria, o, come più spesso avviene, implicitamente, cioè non presentando la richiesta di restituzione né riscontrando l’invito a ritirare gli oggetti sequestrati.

Cosa succede dopo la rinuncia alla restituzione?

A questo punto, la destinazione delle cose sequestrate può essere:

  • l’acquisizione al patrimonio dello Stato, se si tratta di beni confiscabili (secondo le norme sulla confisca obbligatoria o facoltativa: articolo 240 del Codice penale);
  • la distruzione, se gli oggetti sono privi di valore oppure pericolosi;
  • la vendita all’asta, in caso di oggetti che hanno valore economico, con il ricavato che va allo Stato;
  • la destinazione ad altri usi pubblici, mediante appositi provvedimenti amministrativi che attribuiscono gli oggetti a una determinata Pubblica Amministrazione.

In particolare, le somme o i valori sequestrati, decorsi tre mesi dalla rituale comunicazione senza che l’avente diritto abbia provveduto al ritiro, sono devoluti alla Cassa delle ammende, mentre gli altri tipi di beni sequestrati per i quali l’avente diritto non abbia provveduto al ritiro entro i suddetti termini, vengono di regola distrutti (art. 151 D.P.R. n. 115/2002) a meno che non si proceda alla loro vendita giudiziaria o all’assegnazione ad una P.A.

Conseguenze della mancata restituzione delle cose sequestrate

La disciplina delle conseguenze della rinuncia alla restituzione delle cose sequestrate è contenuta nel Testo Unico sulle Spese di Giustizia (D.P.R. n. 115/2002) agli articoli 149 e seguenti.

Queste norme generali si applicano se la materia non è regolata da leggi speciali (come avviene, ad esempio, per le sostanze stupefacenti, i prodotti inquinanti, le armi, munizioni e sostanze esplodenti, i prodotti petroliferi ed i tabacchi lavorati), che disciplinano le particolari modalità di distruzione (ad esempio, gli esplosivi vengono fatti brillare, le sostanze stupefacenti bruciate, i rifiuti vengono smaltiti nel rispetto delle normative ambientali, ecc.).

Spese di conservazione e di custodia: chi deve pagarle?

L’art. 150 del Testo Unico dispone che «la restituzione è concessa a condizione che prima siano pagate le spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate, salvo che siano stati pronunciati provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento ovvero che le cose sequestrate appartengano a persona diversa dall’imputato o che il decreto di sequestro sia stato revocato a norma dell’articolo 324 del Codice di procedura penale».

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Ciò significa che la persona offesa dal reato potrà ottenere la restituzione delle cose che gli appartengono (ad esempio, i beni che gli erano stati sottratti durante un furto o una rapina) senza dover pagare le spese di custodia.

Spese di custodia per mancato ritiro delle cose sequestrate

La norma, però, prosegue stabilendo che: «Le spese di custodia e di conservazione sono in ogni caso dovute dall’avente diritto alla restituzione per il periodo successivo al trentesimo giorno decorrente dalla data in cui il medesimo ha ricevuto la comunicazione del provvedimento di restituzione». Tale informazione deve essere anche contenuta nel provvedimento di restituzione, in modo che l’interessato venga reso edotto di questa conseguenza e possa regolarsi su cosa gli conviene fare.

Pertanto, bisogna fare attenzione: se gli oggetti non vengono ritirati, l’avente diritto – che nella maggior parte dei casi è il proprietario delle cose stesse – potrebbe essere tenuto a pagare le spese di custodia, che potrebbero essere consistenti se si tratta di beni soggetti a speciali cautele nella conservazione, o di veicoli a motore e altri beni mobili registrati, come i natanti ed altri tipi di imbarcazioni. Questo vale – ripetiamo, dopo il 30° giorno dalla comunicazione del provvedimento di restituzione – anche per la persona offesa del reato: ad esempio, il proprietario di un’autovettura rubata e che in seguito è stata ritrovata e sequestrata nell’ambito del procedimento penale di riferimento.

Per questi beni si applica un apposito tariffario delle indennità di custodia, stabilite con Decreto interministeriale, adottato dal ministero della Giustizia e dal MEF (ministero Economia e Finanze), in base alla tipologia, alla grandezza (e dunque all’ingombro), al luogo di custodia – che potrebbe essere coperto o scoperto – e alla durata della stessa, quindi al tempo trascorso oltre il 30° giorno dalla comunicazione del provvedimento di restituzione. Pertanto gli importi potrebbero risultare onerosi.



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