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Di Orio Giorgio Stirpe

La situazione è sempre nebulosa, ed è per questo che me ne sto tranquillo da un po’, dedicandomi alla famiglia, al cane in particolare, e sfogo la mia passione per la scrittura dedicandomi alla narrativa piuttosto che a commentare cose ancora prive di sostanza.

Però gli eccessi emotivi che leggo sul web, le vesti stracciate di chi vede l’abbandono dell’Ucraina e i toni trionfalistici degli sciagurati che si divertono a gridare “l’avevo detto, io!” mi spingono ad un intervento puramente interlocutorio.

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Innanzitutto un “disclaimer” su Trump: chi mi legge sa che data la mia posizione di militare (in riserva), ritengo corretto non solo evitare qualsiasi commento sulla politica interna nazionale, ma anche su quella dei Paesi amici ed alleati in regime di democrazia; bene: questo rende complesso esternare il mio pensiero sull’attuale situazione politico-diplomatica che ruota in gran parte intorno alla figura del Presidente americano.

Ora: a livello umano Donald Trump non mi piace per niente. Ho un’istintiva repulsione per le personalità narcisiste e l’arroganza mi ripugna in generale. I fatti del Campidoglio poi li considero inqualificabili e squalificanti. Però Trump è stato democraticamente e legittimamente eletto dal popolo americano, e quindi ha pieno titolo a rappresentare l’America per i prossimi quattro anni: aggredirlo frontalmente non è solo sciocco ma anche inutile. Gli americani se lo sono scelto e se lo tengono; a livello diplomatico ce lo teniamo anche noi, e tanto vale farci l’abitudine almeno finché c’è. Il nostro rapporto non è con lui, ma con l’America, e la democrazia non è che valga solo quando il risultato ci piace.

Quindi l’attuale rappresentante dell’America va preso obiettivamente, indipendentemente dall’opinione personale che si ha su di lui. Sappiamo che è egocentrico, amorale e opportunista; sappiamo anche che è un abilissimo negoziatore economico, una persona intelligente e abituata a vincere, e che ha una serie di obiettivi davanti, prima fra tutte la sua “Legacy”, da stabilire migliorando le condizioni economiche e morali degli americani evitando le guerre e contrattando con le altre Nazioni secondo le modalità brutali della finanza americana. In sostanza, è un mercante: non ha amici, ma solo dipendenti, clienti e avversari. La sua Legacy dipenderà dai suoi risultati nei prossimi quattro anni da Presidente, che potranno essere ottimi oppure pessimi, e lui lo sa.

Ricordiamocelo.

Trump è stato eletto promettendo fra le altre cose di porre fine al conflitto in Ucraina e dicendo di avere pronto un piano. Ora, secondo me, come quasi sempre accade nelle dichiarazioni pubbliche di un mercante, quello che ha affermato è corretto solo in una certa misura. Tradotto in italiano, e sempre secondo me, Trump non ha mai avuto un “piano” articolato per risolvere il conflitto: piuttosto ha ben chiaro in mente il metodo con cui affrontare il groviglio diplomatico, e si fida della sua capacità di contrattazione da mercante.

Ma quale è la modalità di contrattazione di un mercante?

Nel momento in cui si posiziona come mediatore, il mercante – come qualsiasi diplomatico del resto – deve necessariamente dimostrare la propria imparzialità. Biden era schierato con l’Occidente e con l’Ucraina contro la Russia, e quindi non poteva (né voleva) essere un mediatore; Trump se vuole esserlo deve necessariamente “uscire” dalla squadra avversaria di Putin, altrimenti questi gli parlerà ma senza fidarsi… E il mercante vuole che gli altri si fidino della sua buona fede. Sa anche che si fideranno solo se vedranno che anche lui ha il suo ritorno economico dalla mediazione.

Questa prima considerazione spiega secondo me l’”uscita dai ranghi” occidentali da parte dell’America: era indispensabile per ottenere l’attenzione non solo interlocutoria da parte di Putin. Spiega anche le sparate sui “500 miliardi di dollari” in Terre Rare richiesti all’Ucraina come parcella per la mediazione e l’atteggiamento sprezzante nei confronti degli alleati.

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Ora però le famose Terre Rare non è che siano prontamente disponibili: non solo si trovano in area di combattimento, zone devastate coperte di campi minati e ordigni inesplosi, ma in massima parte sono in territorio occupato dai russi, e ben difficilmente Putin le concederebbe gratis all’America. Quindi, il ritorno economico per il mercante nella sua veste di “onesto sensale” – ritorno economico che per Trump deve essere immediato viste le sue esigenze di “Legacy” entro i quattro anni – dovrà trovarsi altrove.

Cosa hanno da offrire nel breve periodo i due contendenti al sensale?

Il fatto veramente interessante è che sia la Russia che l’Ucraina non hanno praticamente nulla da offrire: sono entrambe alla bancarotta per lo sforzo bellico, con un’infrastruttura obsoleta e fatiscente, e a parte le famose Terre Rare, le risorse naturali di cui sono dotate interessano solo marginalmente a un’America che in quanto ad esse vive di rendita. In realtà, Putin ha una cosa che Trump vorrebbe, ma è forse l’unica che l’autocrate non sarebbe disposto a cedere neppure in cambio dell’intera Ucraina: il suo arsenale nucleare strategico, il cui ombrello offre gratuitamente alla Cina coprendola nel suo confronto con l’America… E il confronto con la Cina è esattamente ciò che più interessa a Trump nella sua costruzione di una “Legacy” all’altezza di Ronald Reagan.

Quindi il ritorno per Trump, a parte il successo diplomatico in sé stesso, va cercato altrove.

Osserviamo nella nebbia quella che appare essere la strategia negoziale: trovare un qualche equilibrio territoriale che soddisfi da una parte l’ambizione espansionista di Putin e dall’altra l’esigenza ucraina d’indipendenza. Putin vuole inoltre l’Ucraina fuori dalla NATO, e Zelensky pretende garanzie credibili per la sua sicurezza. Ora: esiste una zona grigia fra le opposte esigenze entro cui tracciare una riga e fissare un accordo?

Obiettivamente, no. Per trovarla, occorrerebbe che uno o entrambi i contendenti si rimangiassero le proprie condizioni irrinunciabili: Zelensky dovrebbe accettare una mutilazione territoriale, e/o Putin riconoscere un’indipendenza ucraina militarmente garantita in qualche modo credibile dall’Occidente.

Non si tratta di prese di posizioni arbitrarie: entrambi i leader rispondono al loro rispettivo establishment (il popolo ucraino uno e la struttura di Regime l’altro), che non perdonerebbe loro una rinuncia in tali settori.

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Se però la “zona grigia” non esiste, per ottenere un risultato occorre che il famoso sensale forzi sensibilmente la mano ai contendenti, cosa che apparentemente Trump appare propenso a fare. La domanda è: può effettivamente farlo? Ha Trump la capacità di torcere il braccio sia a Zelensky che a Putin?

Qui il discorso si fa complesso, ma si avvicina anche alla mia area di competenza.

Se immaginiamo il conflitto come una partita a poker, osserviamo come l’Ucraina, la Russia e l’Europa hanno già giocato praticamente tutte le loro carte, esaurendo le rispettive risorse militari ed economiche; l’America invece, pur avendo escluso un coinvolgimento diretto nel conflitto, ha ancora una carta pesantissima in mano, che Trump ha già pubblicamente affermato di essere pronto ad usare. Gli Stati Uniti dispongono infatti dell’unica, grande riserva operativa di veicoli militari da combattimento moderni e in buone condizioni, pronti all’impiego anche se non più rispondenti agli elevati standard tecnologici delle Forze Armate americane. La Russia disponeva anch’essa di una riserva analoga, numericamente anche maggiore ma di materiale più scadente e soprattutto conservato molto meno bene; però questa riserva è stata impegnata massicciamente negli ultimi due anni, ed è in via di rapido esaurimento (qui si arriva alle mie competenze professionali, e al punto in cui alcuni saltano su a dire “lo state dicendo da due anni!”… Certo, lo diciamo da due anni perché per svuotare una vasca da bagno ci vuole del tempo, ma se si è tolto il tappo è facile prevedere il risultato finale anche quando la vasca è ancora piena e la mancanza del tappo non si vede).

La disponibilità di questo materiale pregiato, in quanto unico al mondo (l’Europa potrebbe produrlo, ma ci metterebbe molti anni), è la vera arma di pressione di Trump: può minacciare Putin di aprire i magazzini e armare Zelensky fino ai denti, proprio nel momento in cui l’arsenale russo si sta esaurendo. Oppure, può minacciare Zelensky stesso di non dargli più niente, nemmeno l’esile flusso che Biden ha concesso finora.

Si tratta di un’ottima carta.

Il problema però, è che gli avversari potrebbero essere abbastanza determinati (o disperati) da volerla vedere.

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Putin è un narcisista (ancora peggiore), innamorato della propria potenza militare: l’ha già sopravvalutata più di una volta, e potrebbe farlo ancora. Potrebbe pensare che gli aiuti americani prenderebbero troppo tempo, che gli europei potrebbero non voler pagare, e che gli ucraini non sarebbero capaci di impiegare il materiale in arrivo… O potrebbe pensare di non avere niente da perdere e volersi giocare tutto in un’epica “Gotterdammerung” (non sarebbe il primo dittatore narcisista a reagire così).

Zelensky, d’altra parte, conosce anche lui la situazione: l’Ucraina è sopravvissuta finora con aiuti molto limitati combattendo un’Armata Russa che era equipaggiata molto meglio che non adesso, e in più ha cominciato a produrre in casa equipaggiamenti moderni finanziati dall’Europa… Europa che potrebbe anche essere disposta ad aumentare il proprio sostegno economico per il tempo necessario, anche se l’America si ritirasse davvero del tutto.

Il fatto è che i giochi sono tutt’altro che fatti. Trump sembra convinto di essere in grado di forzare la mano a Zelensky e a Putin, obbligandoli a trovare una “zona grigia” che non esiste, e potrebbe avere ragione. Ma potrebbe anche sopravvalutarsi, e non sarebbe la prima volta.

Nel primo caso la sua “Legacy” sarebbe assicurata a spese del Diritto Internazionale infranto in via definitiva e dei valori etici alla base delle alleanze americane gettati dalla finestra in cambio di una dottrina mercantilistica della sicurezza (che potrebbe peraltro anche funzionare benissimo, forzando fra l’altro l’Europa al riarmo).

Nel secondo caso, ove Putin fosse il primo a rifiutare l’accordo, sarebbe costretto ad aprire i magazzini e a passare all’incasso presso l’Unione Europea, e avremmo una bella “escalation” convenzionale esattamente opposta a ciò che i pacifisti innamorati di Trump sperano, con il collasso militare della Russia e il trionfo di una NATO a riaffermata guida americana in perfetto stile “neocon”: proprio quello che i MAGA duri e puri vorrebbero evitare.

Infine, ove fosse Zelensky a far saltare il tavolo, Trump dovrebbe tener fede alle sue parole e lasciare il tavolo stesso: il sensale indignato lascerebbe il gioco lasciando che chi resta si arrangi da solo… A questo punto l’Ucraina dovrebbe arrendersi (poco probabile vista l’attitudine del popolo ucraino), oppure arrangiarsi con ciò che ha (come del resto ha fatto finora). …E l’iniziativa passerebbe ad un’Europa costretta improvvisamente a diventare adulta.

Osservazione: nel primo caso il Mercante guadagna rispettabilità, credito diplomatico, ritorni economici diversificati e in prospettiva le famose Terre Rare. Nel secondo caso, si fa pagare in contanti dall’Europa il materiale militare (peraltro obsoleto dal punto di vista americano) occorrente a far vincere l’Ucraina, riafferma la sua egemonia sull’Europa e acquisisce assai più rapidamente le Terre Rare. Nel terzo e ultimo caso si “brucia” come mediatore, perde credibilità internazionale, abbandona la sua leadership occidentale e – peggio che peggio – non guadagna proprio niente, lasciando le Terre Rare alla Russia.

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Conclusione: un mercante intelligente sa salvaguardare il proprio investimento, e giocherà le sue carte per vincere, non per perdere, ma soprattutto per guadagnare più possibile.

…E l’Europa?

Si trova di fronte ad un imprevisto esame di maturità. Quanto sopra ritengo sia più che evidente a Bruxelles, ed è facile immaginare come ci si stia organizzando alla bisogna. Vedremo presto come.

 

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