dieci domande ad al-Sisi su Regeni

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Qualche giorno fa il presidente egiziano è stato convocato a testimoniare nel processo in corso presso la Corte d’Assise di Roma a carico di quattro ufficiali della sua National Security accusati di avere realizzato il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio Regeni. L’ambasciata egiziana a Roma ha rifiutato di ricevere la notifica per la convocazione. Caro ministro in partenza per una visita al Cairo, si faccia carico di chiedere chiarimenti

Gentile ministro Tajani, tra qualche ora Lei si recherà in Egitto per una visita istituzionale, non sappiamo se incontrerà il presidente Abdel Fattah al-Sisi, sicuramente avrà un incontro col suo omologo, Sameh Shoukry. Cinque giorni fa il presidente al-Sisi era stato convocato a testimoniare nel processo in corso presso la Corte d’Assise di Roma a carico di quattro ufficiali della national Security egiziana accusati di avere realizzato il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio Regeni. L’ambasciata egiziana a Roma ha rifiutato di ricevere la notifica per la convocazione del presidente e del suo Vice. Ci rivolgiamo, dunque, a Lei con la richiesta di farsi promotore nel corso del vostro incontro delle dieci domande che non è stato possibile rivolgere al presidente al-Sisi durante la sua mancata testimonianza.

  1. Quando il presidente al-Sisi ha saputo che Giulio Regeni era stato attenzionato dalla National Security; e se, invece, non ne era a conoscenza: può spiegare a quale catena di comando rispondono gli ufficiali delle vostre forze di sicurezza?
  2. Nel caso specifico, può dire quando il presidente è venuto a conoscenza del caso e se ha saputo chi e perché aveva permesso la sua cattura?
  3. Per quali ragioni non è stato ordinato ai funzionari di rilasciarlo e si è tollerato che venisse trattenuto in uno stato di fermo non ufficiale senza alcuna motivazione, e successivamente torturato e ucciso, e perché è stato impedito a Giulio di mettersi subito in contatto con l’ambasciata, la famiglia e un avvocato?
  4. Perché nei giorni del sequestro il ministro Khaled Abdel Ghaffar si è sottratto a una interlocuzione col nostro ambasciatore dell’epoca, Maurizio Massari, a cui è stato nei fatti impedito di conoscere le condizioni di Giulio e di andarlo a visitare?
  5. Quali sono i motivi che determinano il rifiuto di tutte le nostre notifiche: quella rivolta al presidente al-Sisi a comparire come testimone, quella ad ottenere i domicili degli imputati e quella sulle rogatorie che riguardano i testimoni egiziani?
  6. Perché non sono stati ancora restituiti gli indumenti di Giulio e i suoi effetti personali, quelli veri e non quelli “fabbricati” per alimentare il sospetto che Giulio fosse uno spacciatore?
  7. Può dirci perché la mattina del 3 febbraio 2016 e poi nuovamente nel pomeriggio dello stesso giorno il presidente al-Sisi non ha ritenuto di condividere con la ministra Federica Guidi, presente in Egitto con una delegazione ufficiale italiana, la notizia sull’avvenuto ritrovamento del corpo di Giulio?
  8. Perché, nonostante l’amicizia rivendicata con i nostri governi e le frasi di umana vicinanza alla famiglia di Giulio, il presidente al-Sisi e le altre autorità egiziane si sono sempre rifiutati di realizzare una effettiva collaborazione nell’unico interesse della ricerca della verità?
  9. Come potete tollerare che dei funzionari alle dirette dipendenze del governo possano aver sequestrato, torturato e ucciso un giovane ricercatore italiano e rimangano impuniti?
  10. Ma infine, come pensate lo possa tollerare l’Italia e il mondo democratico?
ANSA

La lettera dei genitori

Signor ministro Tajani, nel 2019, tre anni dopo la morte di Giulio, Paola e Claudio Regeni avevano scritto una lettera al presidente al-Sisi denunciando l’opera di depistaggio e la mancanza di una sincera volontà di collaborazione delle autorità egiziane nell’accertamento della verità. Sono passati altri cinque anni e forse merita che Lei rilegga alcune frasi di quella lettera: «Oggi sappiano che Giulio è stato sequestrato da funzionari dei Vostri apparati di sicurezza e lo sappiamo grazie al lavoro incessante degli investigatori e dei procuratori italiani e dei nostri legali. Lei è venuto meno alla sua promessa. Lei, lo apprendiamo dai media, ha un potere smisurato. Risulta, quindi, difficile da credere che chi ha sequestrato, torturato, ucciso nostro figlio Giulio, chi ha mentito, gettato fango sulla sua persona, posto in essere innumerevoli depistaggi, organizzato l’uccisione di cinque innocenti ai quali è stata attribuita la responsabilità dell’omicidio di nostro figlio, tutte queste persone abbiano agito a Sua insaputa o contro la sua volontà. Non possiamo più accontentarci delle sue condoglianze né delle sue promesse mancate. Presidente, Lei ha l’occasione per dimostrare al mondo che è un uomo di parola: consegni i cinque indagati alla giustizia italiana, permetta ai nostri procuratori di interrogarli, dimostri al mondo che la osserva che Lei non ha nulla da nascondere. Lei ha il privilegio e l’occasione di fare giustizia, sprecarli sarebbe imperdonabile. Con l’augurio di verità e giustizia».

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Queste, signor ministro Tajani, erano e sono le parole di una madre e di un padre. Siamo certi che Lei non rimarrà insensibile al loro appello. Grazie per quanto saprà e vorrà fare nel segno della giustizia per Giulio e della dignità del nostro Paese.

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