“Rete di Trieste”, l’impegno cattolico senza cattolicesimo

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Ci siamo già occupati della “rete di Trieste” e, più in generale, delle iniziative nate dopo la Settimana sociale dei cattolici del luglio 2024 tenutasi appunto nel capoluogo giuliano. Ieri e oggi gli amministratori cattolici aderenti a questa rete si sono riuniti in una assemblea di due giorni a Roma. I presenti, stando alle cronache, sarebbero circa 400, convocati dall’onorevole Francesco Russo, del Partito democratico e vicepresidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, coordinatore dell’iniziativa.

A vedere i nomi dei relatori di ieri si capisce che questa iniziativa si colloca nell’area culturale del cattolicesimo liberal che aveva dominato anche l’organizzazione e la realizzazione della Settimana sociale di Trieste. Tra i relatori di ieri spiccavano Paolo Ciani, di Demos e deputato del PD, e soprattutto Ernesto Maria Ruffini, punto di riferimento di  “Comunità democratica” e perno del recente attivismo politico dei cattolici democratici spinti da Delrio, Castagnetti e Prodi. La presenza tra i relatori di Paola Binetti e di Giorgio Vittadini non ha dato sufficienti garanzie di una linea diversa. La giornata conclusiva di oggi prevede l’intervento del vescovo di Catania, Mons. Luigi Renna, di alcuni cattolici amministratori locali e attori della società civile. Difficile che anche da costoro emerga qualcosa di nuovo rispetto alla non-linea tracciata a Trieste. In quell’occasione erano state date tre parole d’ordine: democrazia, partecipazione, mobilitazione dal basso. Nessuna delle tre è però sufficiente a qualificare un impegno cattolico che voglia ancora dirsi tale. Anche i non cattolici sono democratici, partecipano e si mobilitano dal basso.

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I partecipanti al convegno hanno lavorato in gruppi di studio su temi preventivamente preparati. Queste le tematiche più significative: Cohousing, nuove forme dell’abitare e vulnerabilità delle persone, Azioni a tutela dei richiedenti asilo e profughi, Comunità energetiche: un progetto sostenibile e solidale, Città 30 e valorizzazione dello spazio pubblico, Giovani e comunità hub, Formazione dei cittadini ad un consumo consapevole, Spopolamento dei piccoli centri, Formazione dei cittadini alla partecipazione nella coprogettazione e controllo dei servizi sanitari territoriali. Cosa dire davanti a questo “nulla”? Si va dall’ossequio alle mode politiche del momento, si passa dalle infatuazioni della Chiesa di oggi per sentirsi al passo con i tempi, e si arriva alle utopie partecipative molto accattivanti nelle parole ma vuote nei contenuti. Se veramente 400 amministratori cattolici sono andati a questo appuntamento per parlare di simili cose c’è molto da preoccuparsi, non per noi che fin dall’inizio abbiamo criticato l’impostazione di questo forzato dopo-Trieste, ma per chi lo ha promosso. E non dimentichiamo che dietro a chi l’ha promosso c’è la CEI, come testimonia la presenza del vescovo di Catania, presidente del Comitato delle Settimane sociali.

Nella “rete di Trieste” mancano le grandi visioni di fondo che stanno da sempre a cuore ai cattolici, importanti non perché stanno a cuore ai cattolici ma che stanno a cuore ai cattolici perché importanti. Non una parola su vita, famiglia, educazione, gender, cultura della morte. Le amministrazioni locali fanno spesso da traino al gender dietro la scusa dell’inclusione, in molti comuni anche le famiglie arcobaleno sono presenti nelle Consulte della famiglia, nelle scuole pubbliche molti progetti educativi distorti sono finanziati dalle amministrazioni locali per il tramite di associazioni ad hoc (altro che autonomia della società civile!). Dopo il crollo delle mitologie climatiste qui si parla ancora di “comunità energetiche”, nonostante le banalità già sentite alla Settimana sociale di Taranto. Si è ormai accertato che le “Città 30” (quelle con il traffico ai 30 all’ora), come del resto le Città di 15 minuti, siano controproducenti da ogni punto di vista compreso quello della lotta all’inquinamento, ma qui ancora si vorrebbe mobilitare i cattolici su questa infantile ideologia. Di fronte al generale ripensamento in atto in tutto il mondo occidentale delle politiche di accoglienza degli immigrati, non risulta retorico parlare a livello amministrativo locale di tutela di richiedenti asilo e profughi senza nessun ripensamento critico?

Oltre la debolezza intrinseca degli argomenti trattati, che può intendersi perfino come offensiva dei partecipanti, la questione principale è cosa c’entrino questi temi e questi tipi di approccio con l’essere cattolici e con la Dottrina sociale della Chiesa. È certo che questa espressione non verrà nemmeno adoperata al convegno, per il semplice fatto che non ha nessuna relazione con l’impostazione del convegno stesso: è stata defenestrata a priori. L’amministratore cattolico, per essere titolato a dirsi tale, deve dimostrare che quello che pensa e che fa deriva dalla sua coscienza illuminata dalla ragione e dalla fede, ossia dalla Dottrina sociale della Chiesa, che appunto si basa su queste due luci. Se egli, invece, raccoglie da terra i concetti di accoglienza, sostenibilità, inclusione, partecipazione, educazione … e li fa propri perché diffusi potrà ancora (forse) ritenersi un amministratore, ma non cattolico.




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