Pensioni D’oro, Per la Consulta i tagli alla rivalutazione sono legittimi

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Disco verde della Corte costituzionale alle misure di raffreddamento della perequazione per gli assegni superiori a 4 volte il minimo Inps nel biennio 2023/2024.

Per la Corte Costituzionale è pienamente legittimo il taglio della rivalutazione delle pensioni superiori a quattro volte il minimo Inps (circa 2.100€ lordi al mese) del biennio 2023/2024. La legge n. 197/2022, infatti, con la quale il legislatore ha rivisto il modulo perequativo non ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza. La sentenza n. 19/2025 della Corte costituzionale ha dichiarato, pertanto, infondate le questioni di legittimità sollevate dalla Corte dei conti delle regioni Toscana e Campania. 

In sostanza, per la Consulta, la garanzia della perequazione delle pensioni non annulla la discrezionalità del legislatore nel fissare il quantum di tutela di volta in volta necessario (non c’è alcun imperativo costituzionale che impone l’adeguamento annuale di tutte le pensioni). Inoltre, sull’effetto «trascinamento» (il fatto, cioè, che la perdita della rivalutazione di un anno produca, a cascata, effetti anche sulle successive rivalutazioni), la Corte ricorda al legislatore la possibilità di rimediare con le future manovre sulle pensioni.

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La Questione

La sentenza riguarda due ricorsi sulle norme di adeguamento delle pensioni all’indice Istat del costo della vita (rivalutazione o perequazione), come riscritte dalla legge n. 197/2022 (legge di bilancio del 2023). Per l’anno 2023, è stata riconosciuta integralmente solo alle pensioni sino a quattro volte il minimo dell’Inps. A quelle superiori, invece, è stata accordata in misura decrescente e, comunque, non progressiva:

  • 85% agli assegni fino a cinque volte il minimo;
  • 53% a quelli d’importo tra cinque e sei volte;
  • 47% tra sei e otto volte;
  • 37% tra otto e dieci volte;
  • 32%, infine, alle pensioni oltre 10 volte in minimo.

Per l’anno 2024 il modulo è stato ulteriormente rivisto nel seguente modo:

    Finanziamo agevolati

    Contributi per le imprese

     

  • 85% agli assegni fino a cinque volte il minimo;
  • 53% a quelli d’importo tra cinque e sei volte;
  • 47% tra sei e otto volte;
  • 37% tra otto e dieci volte;
  • 22%, infine, alle pensioni oltre 10 volte in minimo.

I ricorsi contestano, in particolare, la mancata applicazione dell’articolo 1, co. 478 della legge n. 160/2019, che dal 1° gennaio 2022 prevede che l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni venga applicato per fasce di importo: a) nella misura del 100 per cento per quelle fino a quattro volte il trattamento minimo INPS; b) nella misura del 90 per cento per quelle comprese tra quattro e cinque volte tale soglia; c) nella misura del 75 per cento per quelle superiori a cinque volte il suddetto limite minimo. Disposizione che, come noto, ha ritrovato applicazione solo dal 1° gennaio di quest’anno.

La Sentenza

La Corte richiama i principi già espressi con la sentenza n. 234/2020 con quale aveva dato disco verde ad un analogo meccanismo perequativo valido nel triennio 2019-2021. Tale pronuncia ha ricordato che la perequazione automatica è uno strumento di natura tecnica volto a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici a fronte delle spinte inflazionistiche, nel rispetto dei principi di sufficienza e proporzionalità della retribuzione, che però non implicano un rigido parallelismo tra la garanzia di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. e quella di cui all’art. 36, primo comma, Cost.

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La garanzia della perequazione, spiega la Corte, non annulla la discrezionalità del legislatore nella determinazione in concreto del quantum di tutela di volta in volta necessario, alla luce delle risorse effettivamente disponibili. Non sussiste, del resto, un imperativo costituzionale che imponga l’adeguamento annuale di tutti i trattamenti pensionistici, purché la scelta contraria superi uno scrutinio di “non irragionevolezza”, calato nel contesto giuridico e fattuale nel quale la misura si inserisce.

La Corte ricorda che il principale indicatore della «non irragionevolezza» dell’opzione legislativa è costituito dalla considerazione differenziata dei trattamenti di quiescenza in base al loro importo, atteso che le pensioni più elevate presentano margini più ampi di resistenza all’erosione inflattiva. Per legittimare tali riduzioni, prosegue la Corte, occorrono due requisiti; da un lato che sia adeguatamente e dettagliatamente illustrato il quadro economico-finanziario che giustifica la scelta del legislatore, in base a dati oggettivi e, dall’altro, che le misure di sospensione e di blocco del meccanismo perequativo siano limitate nel tempo, ferma restando la necessità di scrutinare ciascun provvedimento nella sua singolarità e in relazione al quadro storico in cui esso si inserisce.

Secondo la Corte il modulo perequativo fissato per il biennio 2023/2024 è valido per diverse ragioni. In primo luogo perché risulta meno severo di quello vigente nel triennio 2019/2021, già positivamente scrutinato dalla Corte proprio con la sentenza n. 234/2020. In secondo luogo perché le ragioni delle scelte legislative in rapporto alla situazione generale della finanza pubblica sono emerse chiaramente dalle relazioni, sia illustrativa sia tecnica, che accompagnano il disegno di legge di bilancio per il 2023. E, peraltro, i risparmi derivanti dalla misura sono stati destinati al finanziamento di misure a sostegno della flessibilità in uscita (Q.103, Ape sociale, Opzione Donna) oltre che ad interventi per la famiglia.

Escluso l’effetto trascinamento

Riguardo all’effetto «trascinamento», cioè la diminuzione strutturale del potere d’acquisto delle prestazioni pensionistiche che hanno formato oggetto del taglio alla rivalutazione, la Corte ribadisce che «il principio di adeguatezza non determina la necessità costituzionale dell’adeguamento annuale di tutti i trattamenti pensionistici, né d’altronde la mancata perequazione per un solo anno incide, di per sé, sull’adeguatezza della pensione». La Corte osserva, peraltro, che seppur in modo modesto anche i trattamenti d’oro hanno avuto una rivalutazione nel biennio 2023/2024 e che il legislatore potrebbe tener conto delle perdite, in occasione di eventuali analoghe misure sulle pensioni.

Il Monito

In ultima analisi la Corte stressa, tuttavia, i vantaggi che deriverebbero da una «disciplina più stabile e rigorosa» della perequazione, in sintonia con quanto auspicava la Corte dei conti proprio sulla legge di bilancio 2023. In tal senso, l’art. 1, comma 478, della legge n. 160 del 2019 avrebbe già fissato una regola strutturale che il legislatore non dovrebbe modificare in futuro per non incidere improvvisamente sui comportamenti di spesa delle famiglie.



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