La mattina del 15 febbraio, i Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza hanno finalmente posto fine alla lunga latitanza di Occhiuzzi Luca, eseguendo nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere. Il provvedimento, originariamente emesso dal GIP presso il Tribunale di Catanzaro, si basava sulla presunta responsabilità dell’indagato per una serie di reati gravi, tra cui tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso, detenzione e porto abusivo di arma comune da sparo, estorsione in concorso e lesioni personali, anch’esse aggravate dall’utilizzo della forza intimidatrice tipica delle organizzazioni mafiose. L’arresto è avvenuto dopo quasi tre anni di fuga, durante i quali Occhiuzzi si era sottratto all’esecuzione della misura cautelare originariamente adottata nel settembre del 2022 nei confronti di altri quattro indagati. Il fermo è il risultato di un’indagine complessa, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A.) di Catanzaro, e condotta con determinazione dai militari dell’Arma dei Carabinieri.
Dall’accusa di tentato omicidio alla latitanza
La vicenda giudiziaria di Occhiuzzi Luca affonda le sue radici in un episodio di sangue avvenuto nel giugno del 2021, quando, secondo l’ipotesi accusatoria formulata in sede cautelare, l’indagato avrebbe tentato di uccidere l’addetto alla sicurezza di un locale notturno di Belvedere Marittimo, località dell’Alto Tirreno cosentino. Il motivo del violento attacco sarebbe stato legato a una presunta condotta estorsiva: Occhiuzzi, insieme ad altri tre soggetti, avrebbe preteso di consumare bevande senza pagare il conto. Di fronte al rifiuto del buttafuori, l’uomo sarebbe stato vittima di una brutale aggressione, culminata nel tentato omicidio. L’inchiesta condotta dalla Compagnia Carabinieri di Scalea e dalla Compagnia Carabinieri di Paola ha ricostruito il quadro criminale, evidenziando il ricorso al metodo mafioso da parte degli aggressori, i quali avrebbero agito facendo leva sulla forza intimidatoria tipica delle organizzazioni mafiose radicate nel territorio.
L’operazione del 2022: un primo colpo alla rete criminale
Il primo significativo passo verso la giustizia era stato compiuto il 15 settembre 2022, quando i Carabinieri avevano eseguito misure cautelari nei confronti di quattro indagati, accusati a vario titolo di estorsione, lesioni personali e tentato omicidio, tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Tuttavia, Occhiuzzi era riuscito a sottrarsi all’arresto, facendo perdere le proprie tracce. Nei mesi successivi, le ricerche si erano intensificate, ma l’indagato aveva dimostrato una straordinaria capacità di eludere le forze dell’ordine, contando su una rete di fiancheggiatori e su una profonda conoscenza del territorio.
Una fuga lunga quasi 3 anni
Per quasi tre anni, Occhiuzzi Luca è rimasto nell’ombra, evitando qualsiasi contatto che potesse tradirne la posizione. Nonostante l’avanzamento delle tecnologie investigative, la sua latitanza ha rappresentato una sfida complessa per le autorità. Negli anni, le ipotesi sulle sue mosse si sono susseguite: alcuni ritenevano che si fosse rifugiato all’estero, magari sotto falsa identità, mentre altri ipotizzavano che vivesse in zone impervie della Calabria, protetto da una rete di complici. Il suo nome è rimasto tra i più ricercati d’Italia, fino a quando un’intensa attività investigativa, condotta con il coordinamento della D.D.A. di Catanzaro, ha portato alla svolta decisiva.
La cattura a Cetraro
Il 15 febbraio, dopo anni di indagini e appostamenti, i Carabinieri sono riusciti a individuare il rifugio dell’indagato: un’abitazione situata nel centro storico di Cetraro, cittadina della costa tirrenica calabrese. L’operazione, condotta con estrema riservatezza, ha visto impegnati uomini specializzati in cattura di latitanti. Una volta confermata la presenza di Occhiuzzi, le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nell’edificio, cogliendolo di sorpresa. L’arresto si è svolto senza incidenti: l’indagato, ormai sessantenne, non ha opposto resistenza, consapevole probabilmente di non avere più via di fuga. Nonostante la lunga latitanza, il procedimento penale a suo carico non si è mai fermato. Attualmente, il caso si trova nella fase dell’udienza preliminare, un passaggio fondamentale in cui il GIP dovrà valutare se rinviare l’indagato a giudizio. Le accuse mosse nei suoi confronti restano estremamente gravi e, se riconosciute fondate in sede processuale, potrebbero tradursi in una condanna a una pena detentiva molto severa. L’arresto di Occhiuzzi rappresenta un passo importante nella lotta alla criminalità organizzata, dimostrando che il tempo non cancella i reati e che la giustizia, seppur con tempi lunghi, è in grado di colpire anche i latitanti più sfuggenti. La cattura di Occhiuzzi Luca ha suscitato un forte clamore mediatico, sia a livello locale che nazionale. In Calabria, dove il suo nome era ormai sinonimo di latitanza e impunità, la notizia è stata accolta con un misto di sollievo e incredulità. Le forze dell’ordine hanno sottolineato che il successo dell’operazione è il risultato di anni di lavoro investigativo e di una strategia di contrasto alla criminalità mafiosa sempre più efficace. L’arresto rappresenta inoltre un messaggio forte per le nuove generazioni, dimostrando che lo Stato non dimentica e che chi si macchia di reati gravi non può sfuggire per sempre alla giustizia. L’arresto di Occhiuzzi Luca segna la conclusione di una delle latitanze più lunghe della storia recente della criminalità organizzata calabrese. Dopo quasi tre decenni di fuga, la sua cattura è la dimostrazione che la giustizia può attendere, ma non si arrende. L’operazione condotta dai Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza, sotto il coordinamento della D.D.A. di Catanzaro, rappresenta una vittoria dello Stato sulla criminalità e un monito per tutti coloro che credono di poter sfuggire alla legge.
Ora, il destino di Occhiuzzi sarà deciso nelle aule di tribunale, dove la magistratura valuterà la fondatezza delle accuse mosse nei suoi confronti. Tuttavia, un fatto è certo: la sua fuga è finita e con essa, forse, anche il mito dell’impunità per chi si rende responsabile di reati gravi.
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