Bergamo. Tutto pronto per la presentazione del libro “Emilio Moreschi. Uomo di cordata – La società bergamasca si racconta attraverso un protagonista della sua vita imprenditoriale e culturale”. Il volume sarà presentato sabato 15 febbraio alle ore 11, al Teatro delle Grazie anche alla presenza della sindaca Elena Carnevali. Presente in sala Moreschi stesso, dopo il saluto delle autorità, il lavoro verrà illustrato in un dialogo tra Remo Morzenti Pellegrini, ex rettore dell’Università degli studi, l’avvocato Ettore Tacchini, amico da più di sessant’anni di Moreschi, il notaio Armando Santus, presenti nel libro con le loro testimonianze, e il giornalista Carlo Dignola, coordinato dall’ex direttore de “L’Eco di Bergamo” Giorgio Gandola. Seguirà un breve confronto sulla gestione della cultura a Bergamo negli ultimi due decenni, di cui Moreschi è stato protagonista di primo piano.
Lui e l’ex sindaco Giorgio Gori tra queste pagine annunciano che la sua “straordinaria collezione di mappe antiche”, alla quale hanno fatto la corte importanti istituzioni italiane e straniere, rimarrà a Bergamo: “E’ in fase di realizzazione un prestito di lungo periodo alla Fondazione Bergamo nella Storia”.
Moreschi è tra i nostri imprenditori più noti, ha portato Rulmeca dalla dimensione di una piccola impresa familiare di Almè a quella di un grande gruppo internazionale. Ma è stato anche un manager culturale di primissimo piano: ha realizzato il primo Museo Diocesano, e ha guidato per 15 anni la Fondazione Bergamo nella Storia che ne governa 6. E’ stato al centro, come editore, del mondo dei mass media locali. E – come emerge dalle lunghe chiacchierate con il giornalista – è anche un grande esperto di storia bergamasca e veneziana e di cartografia, un dilettante di Classe A di fotografia (“mi ha insegnato a guardare il mondo”). E’ stato un alpinista di buon livello, compagno di ascensioni e amico di mitici arrampicatori come Mario Merelli e Walter Bonatti; in gioventù attore di teatro e di cinema (premiato) e persino, negli anni ‘50, terzino destro nei ragazzi dell’Atalanta, che giocava contro gente come Gianni Rivera e Giacomo Bulgarelli, sul campo di San Siro. Un personaggio sorprendente insomma, che ha affrontato la vita con gusto della sfida e ironia, avventurandosi spesso in territori ignoti e non sempre sicuri. Come nei suoi grandi viaggi, dai fascinosi deserti della Namibia ai voli sugli elicotteri degli oligarchi russi in Kamchatka, dalla spedizione in un “Jurassic World” venezuelano a luoghi sconosciuti del pianeta in cui “gli animali esotici eravamo noi”. Esplorazioni durante le quali, racconta, è “finito in prigione tre volte”.
Moreschi è “uomo di cordata” – come dice il titolo -, più che un egocentrico solista, grande mediatore di ambienti diversi, cattolici e laici, manager deciso nell’azione ma anche capace di trattare amabilmente con tutti, e di stringere amicizie che durano da sessant’anni. Il libro offre uno spaccato della nostra vita economica e culturale di questi anni, compresi alcuni retroscena. In dialogo con altri personaggi chiave come Giorgio Gori, monsignor Francesco Beschi, Lucio Cassia, Fabio Bombardieri, Massimo Cincera, Paolo Valoti, Gianni Limonta e altri.
A 87 anni Moreschi ha deciso di raccontarsi e anche un po’ di “confessarsi” in questi 14 capitoli, dall’infanzia in Borgo Santa Caterina alla grappa distillata di frodo in Valle Brembana, alla sera in cui Bergamo riaccese dopo anni tutte le sue luci perché la guerra era finita. Poi gli studi al “Vittorio Emanuele”, le sciate sotto le Mura, le vacanze in Vespa in giro senza soldi per l’Europa. Quindi una vita imprenditoriale di grande successo e “visione”, ma anche le difficoltà degli inizi, gli sgambetti degli Americani e gli “anni di piombo”, quando nella sua fabbrica si sparava. Moreschi racconta i “consigli” di gestione informali che si svolgevano nella sua baita isolata sopra Piazzatorre o nella sua casa di Venezia, e anche gli intoppi della sua azione come super-manager della cultura, un paio di fallimenti editoriali compresi. E poi ancora le discussioni politiche con Pepi Merisio, testimone il figlio Luca, le gite in montagna con il vescovo Roberto Amadei, i rapporti con i direttori dell’Eco di Bergamo, e soprattutto la sua passione per le mappe geografiche e quella per la storia, Mauro Codussi “archistar” bergamasca a Venezia, fino allo scherzetto che la città lagunare fece al vecchio Bartolomeo Colleoni e alla sua statua. E ammette il fascino che esercitano su di lui figure come Napoleone e Garibaldi, “che era un uomo più onesto. Troppo onesto: ha fatto sempre gli interessi dell’Italia più che i suoi”.
Ma in queste “memoires” compaiono anche personaggi famosi a livello internazionale come Maria Callas nella sua storica esibizione al Teatro Donizetti, Umberto Eco impegnato con Emilio tra i giovani di Azione Cattolica, un fugace incontro ad Arles con Pablo Picasso, la regina Maria Stuarda, morta da cinque secoli, che una notte in un resort tra le brume della campagna inglese lo tenne sveglio con i fantasmi della sua decapitazione. E poi ancora intrecci di sangue e politica nel Rinascimento italiano e persino un paio di storie piccanti: un amore bergamasco di Dino Buzzati, e soprattutto la breve e luminosa traiettoria di Simonetta Vespucci, cognata del celeberrimo Amerigo, gentildonna “senza pari” che fece innamorare tutta la Firenze del ‘400 e anche D’Annunzio, sulla quale Moreschi ha indagato per anni, spinto da amore non solo per la storia patria.
Né perde l’occasione di buttare là anche qualche idea per il futuro della vita culturale bergamasca: “Io metterei insieme Museo archeologico e Museo del Cinquecento, la storia di Bergamo ne verrebbe fuori bene; è un programma che non abbiamo potuto realizzare però: ognuno in questa città difende il suo orticello”. Moreschi nota il fatto che “non abbiamo un vero museo della montagna”, ma lui punterebbe con decisione sull’arte del ‘900: “L’Accademia Carrara ha raccolte ricchissime ma negli ultimi decenni il rapporto fra i grandi collezionisti e la città non si è sviluppato come potrebbe. Io cercherei di far crescere le raccolte di pittura degli anni ‘30, ‘40 e ‘50: sono sicuro che a Bergamo ci sono famiglie che hanno in casa opere importanti, e le metterebbero a disposizione della comunità civile, se invogliate”.
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