Alessandro Altobelli, come finirà l’attesissimo Derby d’Italia? “Impronosticabile, come tutte le volte che si gioca Juventus-Inter. La classifica dice che i nerazzurri sono avanti, ma nessuna delle due squadre può permettersi di perdere domani sera, per motivi diversi”.
Soprattutto la sua Inter. Quando Inzaghi inciampa, non gli si perdona nulla, come accaduto al Franchi dieci giorni fa… “È vero. A Firenze tutta l’Inter ha giocato male, era stanca e messa male in campo. Mai vista una squadra così brutta da quando c’è Simone in panchina. Però non è neanche giusto che ogni volta che qualcosa non va si debba indicare l’allenatore come unico colpevole. Ammiro Inzaghi perché è uno che protegge sempre il gruppo, ma tutti devono prendersi le responsabilità. Mi è piaciuta la reazione lunedì contro la Viola, ero a San Siro e mi sono divertito”.
Dopo Firenze sembrava che il Napoli potesse prendere il volo. “Adesso vedo una corsa a due fino alla fine fra Conte e Inzaghi. Con il possibile inserimento dell’Atalanta che ha grandi qualità. Credevo nella Juventus, ma ha lasciato troppi punti per strada… Resto dell’idea che l’Inter ha qualcosa in più delle altre”.
Per fortuna di Thiago Motta è arrivato Kolo Muani che ha risolto il problema del gol… “Un giocatore importante e di grande esperienza, anche se io ho sempre creduto nelle qualità di Vlahovic. Purtroppo ha avuto delle pause, qualche partita l’ha sbagliata, e se la palla non entra diventa un incubo per un attaccante. Bisognava aspettarlo, come ha fatto l’Inter con Lautaro Martinez che ora sta segnando tanto e gioca per la squadra. Ma ricordate quando in autunno alla terza partita senza gol anche l’argentino era un problema? Perché ad un certo punto attorno avverti sfiducia e anche se hai fatto centocinquanta reti in pochi si ricordano”.
Chi preferisce fra i due? “Dusan mi piace molto. Perché comunque i gol li fa, ti dà profondità, anche lui si mette al servizio dei compagni. Però se proprio devo scegliere uno mi prendo Lautaro. Ha qualcosa in più, è completo, ha carattere, è il simbolo dell’Inter che ha vinto la seconda stella. Però…”
Però cosa? “Anche da lui mi aspetto più continuità, nel senso che può e deve fare più gol perché l’attaccante viene giudicato per le reti che segna. E comunque, con tutto il rispetto Lautaro, Vlahovic, Kolo e Thuram sono bravi e mi piacciono. Ma per arrivare ai miei gol devono correre ancora un po’ (sorride, ndr)”.
Detto da uno come lei che ha realizzato 209 reti in 466 partite con la maglia nerazzurra andando in doppia cifra per otto stagioni è un’osservazione che ci sta tutta… “Erano altri tempi i miei, vero, però come attaccante sapevo fare tutto. Altrimenti Bearzot non mi avrebbe portato ai Mondiali del 1982 dove sono riuscito pure a far gol nella finale facendo alzare in piedi il presidente Pertini. Una gioia enorme, come tante vissute in carriera”.
Sia sincero: avrebbe mai pensato di mettere anche lei la firma in quella sfida diventata leggenda? “Mai. Era un sogno, l’euforia che arrivava dall’esterno l’avvertivamo. Aver reso gli italiani felici è la cosa più bella”.
Era un calcio molto diverso da quello odierno… “Certo, ma non peggiore. Niente tiki-taka, si prendeva la palla e si puntava diritto la porta avversaria per fare gol. Oggi il possesso stanca il pubblico. Per non parlare della nuova formula della Champions. Capisco gli interessi economici, ma i tifosi vogliono vedere belle partite”.
A proposito di sfide emozionanti: tornando all’eterno duello fra bianconeri e nerazzurri, c’è un match che ricorda con immenso piacere? “Ma certo, il 4-0 a San Siro del campionato ’79-’80. Segnai tre gol e feci un assist”.
La stagione dello scudetto con Eugenio Bersellini… “Si, indimenticabile. Un allenatore che mi fece crescere tantissimo, che mi caricava dicendomi “allenati forte e bene“. Il suo insegnamento era semplice: per vincere servivano sacrifici, e io gli devo tutto. Poi era una grande squadra, con un gruppo di amici, tutti italiani, molti cresciuti nel vivaio. Tanti bravi ragazzi, seri, senza teste “calde“, anche se Bersellini a volte ci teneva in ritiro tutta la settimana, tra campionato e coppe”.
Un compagno di squadra su tutti con cui ha legato di più? “Tanti, ma se devo fare un nome dico Beccalossi. Mi ricordo quando, nel 1981, appena atterrati in Giappone per un torneo, andammo a fare un giro per vedere Tokyo e fu un’impresa tornare in hotel. E poi in campo: io segnavo più di tutti, ma Evaristo era un genio. Ma non dimentico Oriali e Marini, che sono diventati campioni del mondo…”
Oggi l’Inter ha un leader come Barella in mediana… “E’ un giocatore fortissimo soprattutto fisicamente anche se a me sarebbe piaciuto giocare con uno come Calhanoglu. Però mi fa sorridere chi sostiene che ai nostri tempi si correva poco ed eravamo lenti: ma ve li ricordate Tardelli e lo stesso Oriali? Feroci, veloci, con personalità forte. Io li tengo nella mia squadra”.
Parla tanto della sua Inter ma lei ha giocato anche nella Juve…. “Mi trovai benissimo con allenatori come Bersellini, Radice e Marchesi. Meno col Trap. Non andai volentieri alla Juventus, a cui resto grato per avermi accolto nella stagione 1988/89. Ma la maglia nerazzurra non l’avrei mai tolta. Però il presidente Pellegrini e Trapattoni decisero di allontanarmi e io rinunciai anche a un contratto da 1 miliardo e 400 milioni di lire. E ci rimasi malissimo”.
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