Colombia. Rimpasto di governo a 18 mesi dal voto

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di Paolo Menchi

Il 9 febbraio, dopo un consiglio dei ministri trasmesso in diretta pochi giorni prima, il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha richiesto la rinuncia protocollare di “ministre, ministri e direttori di dipartimenti amministrativi”, dopo che l’incontro ha messo in evidenza una profonda frattura all’interno del suo governo. Questa richiesta ha portato alle dimissioni definitive dei ministri della Difesa, Iván Velásquez; dell’Ambiente, Susana Muhamad; della Cultura, Juan David Correa; e del Lavoro, Gloria Inés Ramírez, oltre al direttore del Dipartimento amministrativo della presidenza, Jorge Rojas, e al direttore generale della Polizia nazionale, il generale William René Salamanca Ramírez.
Questo è il quarto rimpasto ministeriale nel governo di Petro e mette in luce l’insoddisfacente esecuzione della sua amministrazione, un problema che il presidente ha cercato di correggere con cambiamenti all’interno dell’Esecutivo. Con meno di due anni rimasti alla fine del mandato presidenziale, alcuni analisti sostengono che il panorama politico non sarebbe favorevole in termini di governabilità, a meno che non si formi una coalizione di partiti rappresentati nel gabinetto, poiché il tempo disponibile per implementare politiche pubbliche prima della campagna del 2026 è ridotto. Un anno e sei mesi prima delle prossime elezioni, il presidente ha ammesso durante il consiglio dei ministri che su 195 “impegni presidenziali”, solo 49 sono stati realizzati, lasciando 146 impegni non ancora concretizzati. Ma i nuovi ministri riusciranno a ottenere risultati migliori entro il 2026?
Per l’analista politico Ricardo Galán, il successo della gestione dei nuovi nomi dipenderà da vari fattori: “La prima cosa è capire cosa vuole il presidente, perché non è chiaro. Se vuole portare a termine due o tre programmi chiave da lasciare come traccia nel futuro o meno, se vuole far passare riforme in Congresso o no, e con quale tono intende comunicarsi”. Galán sottolinea che un altro punto cruciale riguarda le persone che Petro manterrà nelle sue cariche e chi, invece, verrà definitivamente rimosso. “L’instabilità non è colpa dei ministri, ma del presidente. Quindi per chiunque è molto complicato capire cosa voglia il capo”, ha aggiunto.
Fin dal suo insediamento alla Presidenza nell’agosto 2022, Petro ha affrontato numerose crisi nel suo gabinetto. Tuttavia, nonostante l’ondata di dimissioni definitive, ha cercato di rassicurare dal suo viaggio negli Emirati Arabi Uniti, affermando che “non c’è motivo di preoccuparsi” e che non ci saranno cambiamenti significativi nei ministeri, con molti funzionari che rimarranno al loro posto.
Il recente rimpasto ministeriale, preceduto da numerose dimissioni nell’amministrazione, ha messo in evidenza l’instabilità all’interno del gabinetto di Petro. Nei 30 mesi di governo, 45 funzionari sono passati attraverso i 19 ministeri, con alcune cariche che hanno visto una rotazione straordinaria. In attesa della nomina dei sostituti per almeno sei dipartimenti, il numero totale di dimissioni potrebbe arrivare a 51.
I cambiamenti sono iniziati appena sei mesi dopo l’inizio del mandato, con le dimissioni dei primi tre ministri il 27 febbraio: Alejandro Gaviria (Educazione), Patricia Ariza (Cultura) e María Isabel Urrutia (Sport). Questi avvicendamenti sono proseguiti progressivamente, con un primo bilancio negativo per Petro, che al termine del primo anno aveva già visto 11 ministri abbandonare l’Esecutivo.
Jairo Libreros, docente di scienze politiche all’Università Externado, ha evidenziato che i ministri che se ne sono andati o che stanno partendo non erano in grado di garantire la realizzazione dei progetti di riforma previsti. A suo avviso, questo è il momento giusto per un “rinfrescamento” del gabinetto, ma solo se vengono integrati partiti politici di governo o indipendenti che facciano parte di una coalizione ampia. Se una coalizione di questo tipo dovesse essere formata, “si potrebbe sperare in un miglior risultato per le politiche pubbliche e i progetti di legge”, ha spiegato Libreros. Tuttavia, se il governo di Petro dovesse “radicalizzarsi” e adottare posizioni più estreme, limitandosi a includere solo il suo gruppo politico e escludendo altri partiti, “non ci sarebbe modo di garantire stabilità politica e, tanto meno, di portare avanti le riforme sociali. Sarebbe impossibile”, ha concluso.
Cosa aspetta la Colombia da qui al 2026? Secondo Viveros, “i colombiani si troveranno davanti a pura politica elettorale”. L’intero governo e il Congresso saranno concentrati su come rielezione dei membri del Congresso senza perdere troppi seggi nelle liste del partito di governo, il Pacto Histórico. Molti politici cercheranno di adattare la loro posizione politica per sostenere un candidato in grado di arrivare alla presidenza con il loro appoggio.
Galán ha anche messo in evidenza che il panorama economico, in particolare il deficit fiscale e le alte tasse d’interesse, rappresentano un aspetto cruciale da monitorare nella fase finale del mandato. Inoltre, i colombiani si preoccupano anche di questioni di sicurezza nazionale, il controllo del territorio e la lotta contro il terrorismo, che sembra essere in declino, nonché la possibilità di una rielezione del presidente. Anche se Petro ha dichiarato di non essere interessato alla rielezione, alcuni membri del suo partito hanno suggerito che potrebbero promuovere un’iniziativa per introdurre la rielezione presidenziale, che in Colombia è vietata dal 2015.
In definitiva, il futuro del governo di Petro dipenderà dalla formazione di una possibile coalizione ampia, ma la mancanza di chiarezza nelle decisioni presidenziali e l’instabilità ministeriale potrebbero complicare il panorama, in particolare per la riforma sanitaria e le relazioni con il Congresso

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