Caritas, le mille sfaccettature della povertà. Nanni: “I nuovi poveri e come sbloccare l’ascensore sociale”

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Di anno in anno i rapporti di Caritas, purtroppo, indicano sempre un ulteriore incremento della povertà. Un fenomeno, ampiamento analizzato da Water Nanni, responsabile servizio studi Caritas italiana, insieme al nostro direttore editoriale Matteo Valléro negli studi televisivi di Business24tv. Le diverse facce della povertà e le misure che bisognerebbe mettere in campo per cercare di arginare la preoccupante situazione sono state approfondite durante l’intervista.

Il 28 esimo rapporto di Caritas ha evidenziato che le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta è aumentato in 10 anni nel nostro Paese ininterrottamente ed esponenzialmente. Come si può arginare questo fenomeno e quali politiche attive che anche voi potete mettere in campo?

«È un fenomeno contenitore dove al suo interno ci sono delle situazioni molto differenziate. Pur vendo in comune la difficoltà di raggiungere un livello di vita dignitoso, quindi soddisfare quei bisogni essenziali compresi nel paniere Istat della povertà assoluta, all’interno possiamo trovare un commerciante vittima di usura o una persona senza dimora, uno straniero che arriva in Italia senza un lavoro con più figli. Ci sono situazioni diversificate, difficili da mettere a confronto, quindi anche la politica deve tenere conto di tali differenze. L’importante sottolineare che Caritas è un ente privato, che dà un accompagnamento alle persone ma non può sostituirsi agli enti pubblici».

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I dati sulla povertà in Italia sono sempre più allarmanti. La povertà sembra essere un fenomeno ereditario: chi nasce povero difficilmente riesce a riscattarsi da una situazione di indigenza. Come se esistesse un ascensore sociale bloccato. Perché a suo avviso?

«Abbiamo fatto uno studio chiamato “Pavimenti appiccicosi”: il problema è che l’ascensore sociale si è bloccato soprattutto per una scarsa fiducia nella generazione giovane. I giovani sono il motore del cambiamento e l’Italia non è un Paese per giovani, come si è detto più volte. Non si danno opportunità al primo impiego, c’è moltissimo sfruttamento anche per i laureati. In questo senso uno degli elementi forti è la formazione: tre generazioni che vanno alla Caritas di continuo, dove si vede nettamente l’ascensore bloccato. Il 70% delle persone che si rivolgono a Caritas in modo continuativo hanno la licenza media inferiore, questo non è accettabile in quanto si tratta di un titolo di studio non adeguato. Puntare sulla formazione e sui giovani diventa un modo per superare il blocco dell’ascensore sociale che deve essere accompagnato da politiche attive del lavoro più lungimiranti rispetto a quelle che ci sono adesso».

L’intervista completa a Walter Nanni (Responsabile servizio studi Caritas italiana) è andata in onda sul canale 410 del digitale terrestre

Continuiamo a parlare di emarginazione, in questo momento storico più attuale che mai, ad oggi ha il volto degli immigrati. La Caritas attraverso la sua attività ormai planetaria svolge da tempo un’attività di integrazione socio-culturale nel nostro paese e fuori. Quali sono le attività concrete in tal senso?

«Quando arrivano le persone nei centri di ascolto, e le ascoltiamo, nel 70% dei casi diamo un aiuto materiale ma non manca mai un orientamento ai servizi. Soprattutto per quanto riguarda gli stranieri, diventa fondamentale. Pensiamo al fatto che molte politiche sociali passano per una digitalizzazione: come lo spid, devi essere in grado di muoverti nel mondo di internet e online, anche nel 40% dei casi in cui si tratta di italiani questo accompagnamento nei confronti di famiglie che al massimo hanno la terza media, l’accompagnamento diventa indispensabile. Con gli immigrati tutto questo diventa molto più complesso e qui entrano in gioco i giovani. Noi spesso interagiamo con i figli che diventano gli intermediari con i servizi stessi».

Sentiamo sempre più spesso parlare di nuovi poveri: esattamente chi sono? E come è cambiato negli anni questo concetto?

«È un concetto che ultimamente facciamo fatica a digerire. Potrebbe far riferimento a persone che prima non erano povere e lo sono diventate oppure nuove forme di povertà che non esistevano in passato: la ludopatia da internet 40 anni fa non esisteva, così come la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale. Ci sono nuove dipendenze giovanili, come la cyber dipendenza e lo shopping compulsivo. C’entrano molto le crisi economiche, il Covid, la perdita del lavoro ma anche scacchi affettivi come le separazioni, quando il reddito complessivo si divide a metà».

Si parla spesso di indigenza economica ma la povertà rappresenta di più rispetto al solo aspetto economico?

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«Dobbiamo, infatti, fare attenzione anche al lessico: la povertà è spesso basata su aspetti relazionali, come ad esempio la dipendenza da gioco che può portare alla povertà e le dipendenze sono sempre legate alla soddisfazione di un bisogno, che sia psicologico, personale, di ansia. Ma è anche rischioso parlare di povertà in senso eccessivamente generale, perché se è quella della depressione, dell’insoddisfazione allora siamo tutti poveri, i veri poveri dove sono? È per questo che va differenziato e il termine della deprivazione relativa non è esattamente coincidente con le nostre insoddisfazioni».

È recente il rapporto dell’Unicef sull’impatto del debito pubblico sulla situazione della povertà soprattutto legata ai bambini, che hanno sulle loro spalle il peso del debito. Quali sono i dati di Caritas e cosa fare a riguardo per salvaguardare le nuove generazioni il più possibile?

«Abbiamo un milione e trecentomila minori in situazioni di povertà, sappiamo che i minori sono molto colpiti laddove dove le famiglie sono più numerose e sappiamo che il reddito di cittadinanza prima e l’assegno di inclusione poi non tiene molto conto di questo aspetto. La scala di equivalenza che serve per raddoppiare, triplicare il valore del reddito ricevuto non teneva conto che in famiglia i bambini possono avere spese che non sono usufruibili dagli altri, come l’acquisto dei pannolini. Ci sono spese che non possono essere ridotte a scala numerica e riducono l’impatto sulla famiglia. In quest’ottica è sicuramente un problema il debito pubblico perché ricade nella capacità dello Stato di investire in maggiori risorse. Ci sono stati nel mondo che hanno debiti internazionali pesantissimi, in questi casi lo Stato non riesce a intervenire sullo stato sociale sui servizi perché impegnato a rifondere l’entità dei debiti contratti. Nel nostro caso non si tratta di questo piuttosto nel tasso di inflazione, che attualmente è diminuito, ma è chiaro che gli alti livelli di consumo che si sono abbassati notevolmente nelle famiglie hanno portato a situazioni in cui i bambini sono stati quelli che ne hanno risentito di più. Quello che chiediamo è di evitare provvedimenti a pioggia, come alla nascita il bonus di 1000 euro, ma un’attenzione costante nella crescita con dei crediti e borse di merito nei confronti della crescita del bambino».

Ci seguono molti imprenditori, lanciamo un appello su come possono fattivamente aiutare Caritas a portare avanti la propria missione

«L’aspetto più importante sarebbe quello di offrire sempre più opportunità e stage e tirocini ai giovani, non possiamo illuderci che gli imprenditori possano assumere tutti i poveri d’Italia  perché non ne hanno il capitale formativo, ma per questo sui più giovani che vengono da famiglie in difficoltà e località particolari, a Roma se sulla carta d’Identità c’è scritto che viene da Tor Bella Monaca già è negativo, aprirsi e superare gli steccati dei pregiudizi non tanto con azioni una tantum ma fornire tirocini e stage per dare occasioni a queste nuove generazioni».

Uno degli elementi su cui il responsabile di studi Caritas italiana Walter Nanni si è maggiormente soffermato è sicuramente il tanto discusso ascensore bloccato, per cui, in tutto il mondo, ma particolarmente nel nostro Paese, chi nasce povero difficilmente riesce a riscattarsi da una situazione di indigenza.

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