Tacconi e la casa popolare, la moglie: “Nessun favore, necessario per le sue condizioni”

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Le polemiche per il cambio di alloggio assegnato dall’Aler a Milano, la risposta: “Necessario per le sue condizioni, volevamo un appartamento dove non ci fossero barriere. Stefano? Mai avuto paura, ha visto la morte e le ha sorriso”




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Un pugno di anni fa Stefano Tacconi ha incrociato la morte e l’ha sfidata come faceva con Giampiero Boniperti ai tempi della Juve, quando gli mostrò l’ultimo contratto. “Mi propose una cifra che non mi stava bene, così gli feci vedere le coppe in bacheca”. Otto: dai due scudetti alla Champions del 1985. Con la nera mietitrice è andata più o meno così. Nel 2022 Stefano ha rischiato la vita per un’ischemia celebrale, è stato in coma per diversi giorni e poi ha riaperto gli occhi dopo aver fatto casino nel limbo. Voleva riabbracciare sua moglie Laura e i suoi quattro figli, Alberto, Andrea, Virginia e Vittoria, quindi no, calcioni sui cancelli e proteste. Il Paradiso può attendere ancora. 

A casa Aler

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Meglio vivere la sua famiglia a testa alta – la stella polare di una vita – mai vinto e mai fermo, neanche tra le difficoltà. Da un anno e mezzo la famiglia Tacconi vive in una casa popolare dell’Aler – l’Azienda lombarda di Edilizia Residenziale controllata dalla Regione – in una zona di Milano Sud. Sua moglie ha partecipato a un bando che si è chiuso il 17 aprile 2023. Il 5 maggio è uscita la graduatoria e il 7 luglio ha firmato il contratto. Sono entrati nella nuova casa dopo aver vissuto un paio di mesi alle porte di Milano, ottenendo subito lo scambio. Tradotto: due case popolari in sessanta giorni. La rapidità ha creato polemiche. Carmela Rozza, consigliera regionale del Partito Democratico, ha parlato a “Il Giorno” di “tempistiche eccezionali”. “Mai visto dei cambi di alloggio così veloci: sarebbe bello che l’Aler ci abituasse a tanta rapidità”. Laura Speranza, moglie di Tacconi e sua compagna di vita da più di trent’anni, replica dall’ospedale dove suo marito sta affrontando la riabilitazione: “Volevamo una casa dove non ci fossero barriere architettoniche. In quella di prima, nell’hinterland milanese, c’era una scala curva, difficile da affrontare per un uomo in sedia a rotelle, oltre a una serie di altre problematiche. Aveva l’ascensore, si trovava al primo piano, ma era tutto più complicato del previsto, così ho fatto la richiesta per ottenere un altro appartamento più consono a noi”. Da qui la rapidità d’esecuzione. Di solito per cambiare alloggio ci vogliono almeno dodici mesi, ma secondo l’Aler “in caso di comprovati e sopraggiunti aggravamenti medici o in altro tipo di circostanze documentate, è possibile ricevere una deroga”. Oltretutto alcune case, nonostante l’ascensore, non presentano un accesso diretto alla cabina per via di alcuni scalini all’ingresso. 

Quotidianità

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L’Aler è un ente pubblico con più di settantamila case distribuite tra Milano e l’hinterland, assegnate tramite un bando. Parliamo di circa duecentomila inquilini. La famiglia Tacconi si è rivolta a loro in seguito all’ischemia che ha colpito Stefano e ha ottenuto due case in sette mesi, con un cambio di alloggio in meno di due. “Le polemiche non mi sono piaciute – ci ribadisce Laura -, ci sono rimasta male. Mio marito ha una disabilità del 100% e quindi ha il diritto alla casa. Il tutto è stato fatto rispettando la procedura nei tempi giusti. Tra l’altro, al netto di una ripresa graduale, quando c’è da fare tratti più lunghi deve spostarsi sempre e solo con la sedia a rotelle. Per lui è fondamentale avere una casa funzionale alle sue esigenze. Nell’ultimo periodo le cose stanno andando meglio, si sta riprendendo ed è sempre forte, il più forte di tutti, ma abbiamo vissuto un incubo”. Iniziato un pomeriggio d’aprile di tre anni fa mentre si trovava in macchina con Andrea, il figlio maggiore, il primo a soccorrerlo: “Mi ha salvato la vita – ha raccontato Tacconi -, mi ha fatto un massaggio cardiaco. Io non ricordo più niente, mi sono svegliato dopo 15 giorni dal coma”. 

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La sua Juve

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Tacconi ha iniziato il suo secondo tempo. Ha 67 anni, una bella famiglia e punta a tenersi stretto la vita tra le mani come faceva col pallone dopo un tuffo in mezzo al fango, in quel calcio anni Ottanta in cui è stato protagonista con la Juve. Ha vinto tutti i trofei europei dei bianconeri, dalla Coppa dei Campioni alla Coppa delle Coppe, passando per la Coppa Uefa e la Supercoppa Europea. Sempre a testa alta. Ha vestito la maglia bianconera per nove stagioni scandite da 382 partite. Stefano ha messo da parte l’indole anarchica e libertina del numero uno che salta più in alto del mondo a favore della consapevolezza di non essere invincibile: “Prima dell’incidente mi sentivo immortale, ero convinto che nessuno potesse dirmi quello che dovevo fare, ma se sono uscito dal tunnel è perché ho seguito le indicazioni di chi mi stava accanto”. Ora si affida ai suoi cinque angeli custodi, che affettuosamente chiama “i badanti”. “Lavora molto – ribadisce Laura -, è sempre forte e tiene duro, soprattutto mentalmente. Neanche i dottori avevano ipotizzato un miglioramento simile. Il suo recupero è stato tosto: è come se gli avessimo insegnato di nuovo tutto, anche a parlare, a stare su col busto, a camminare, ad afferrare le cose, ma Stefano non ha mai avuto paura. Non gli appartiene. Ha visto la morte e le ha sorriso”. E adesso vuole godersi ogni frammento di vita, soprattutto se ha i colori bianconeri: “Guarda tutte le partite. Ogni tanto, quando la Juve subisce un gol, si arrabbia e spegne la televisione. Ci tiene troppo. Il calcio di oggi non gli piace molto, ma resta un grande tifoso. E domenica vedremo tutti insieme il derby d’Italia”. Prima la Signora.





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