European Union, 2023
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Source: EC – Audiovisual Service
La storia dell’Unione Europea è stata fatta dagli Stati nazionali che la compongono e che rischiano oggi di disfarla nel nuovo quadro internazionale.
Una responsabilità particolare incombe a questo proposito ai suoi Paesi fondatori in particolare, per le loro dimensioni, a Germania, Francia e Italia, non senza un ruolo dei Paesi del Benelux, Olanda in testa.
Un rapido sguardo al passato racconta di responsabilità nazionali diffuse nel contrastare la costruzione europea. Da quelle della Francia, con l’affondamento della Comunità europea della difesa nel 1954 e del Progetto di Costituzione europea nel 2005 (in compagnia con l’Olanda) a quelle della Germania, Paese leader ma riluttante per la sua tragica storia ad esercitare un ruolo forte di guida verso l’integrazione, in particolare in materia di politica estera e di difesa, preferendo ripararsi sotto l’ombrello americano.
Forse più complessa la traiettoria italiana verso il processo di integrazione comunitaria. Convinto Paese fondatore delle prime Comunità europee all’uscita dalla tragedia nazi-fascista, con Alcide De Gasperi che nel 1954 invocava a Parigi la “Patria Europa” e una lunga tradizione di governi fedeli al progetto europeo, anche se non del tutto quello federale disegnato nel “Manifesto di Ventotene” da Altiero Spinelli, rimasto però uno stimolo costante per l’europeismo italiano.
L’onda lunga generata per l’UE, prima dalla crisi economica del 1973, poi dall’abbattimento del Muro di Berlino e infine dal grande allargamento ad est con lo spostamento del baricentro politico continentale, accompagnata dalle crisi economiche-finanziarie a cavallo del primo decennio del secolo e, più recentemente, dall’irruzione della pandemia e delle guerre ai confini dell’UE, ha contribuito a modificare il quadro politico europeo e, con esso, anche quello italiano.
I governi giallo-verdi a cavallo del secondo decennio e quello, oggi al potere, dopo il breve intervallo di Mario Draghi, hanno progressivamente modificato la traiettoria italiana verso il processo di integrazione comunitaria, con un ritorno nostalgico alla sovranità nazionale, mai particolarmente solida e ulteriormente indebolita dall’evoluzione della politica internazionale, compresa quello europeo.
A livello internazionale la perdita di ruolo dell’UE ha influito anche su quella dell’Italia, aggravandone da una parte l’irrilevanza e dall’altra la ricerca di protezione che il governo Meloni sta cercando negli Stati Uniti di Trump e Musk.
Un’opzione filo-atlantica che convive difficilmente con quella europea in una stagione che si annuncia di crescenti conflitti tra la due sponde dell’Atlantico e che sarà destinata a sciogliere le ambiguità di Giorgia Meloni, fin qui esercitate con un’acrobatica abilità di breve periodo.
È possibile che nei giorni che verranno si assista contemporaneamente in Europa a una svolta e una controsvolta. Una svolta UE, magari di un numero limitato ma rilevante di Paesi non disponibili al vassallaggio alla corte di Trump, con Francia, Germania e Spagna in testa e la controsvolta di Paesi come l’Italia e complici di Visegrad (Ungheria, Slovacchia e non solo) pronti ad andare nella direzione opposta.
Una dinamica che renderebbe vana l’ambizione della Meloni di proporsi come “ponte” tra le due sponde dell’Atlantico, un ruolo che esige agli occhi dei nostri partner europei un’affidabilità politica internazionale che questo governo è lungi da avere.
Eventi recenti, come la vicenda della mancata detenzione in Italia del libico Almansri e l’attacco del governo alla Corte penale internazionale (CPI) con il rifiuto di firmare all’ONU (in compagnia per l’UE della sola Ungheria) il sostegno alla CPI contro le sanzioni annunciate da Trump per la Corte obbligheranno, con altre decisioni analoghe, a gettare la maschera di un’Italia candidata a trasformarsi da Paese “fondatore”della Comunità europea a Paese “affondatore” dell’UE, non senza prima avere affondato se stessa.
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